I principali caratteri dell’articolo 73
Con questo articolo inauguriamo una serie di “dispense giuiridiche” scritte dall’avvocato Carlo Alberto Zaina, per fornire a tutti una spiegazione di quelli che sono i parametri che si applicano giurisprudenzialmente nei processi
L’art. 73 è, senza dubbio, l’architrave attorno alla quale ruota il sistema delle norme funzionali alla repressione delle attività illecite, contenuto nel Titolo VIII del DPR 9 Ottobre 1990 n. 309.
Si tratta di una norma concepita e strutturata per individuare ed abbracciare la massima estensione possibile di condotte e di ipotesi fattuali suscettibili di essere considerate penalmente illecite.
Essa appare coerente con l’architettura del T.U. sugli stupefacenti, che al suo apparire (e pure in prosieguo) intese innovare la precedente legislazione in materia (L. 22.12.1975 n. 685), in senso di palese e maggiore rigore.
Fu, in tal modo, accentuata la scelta di reprimere i comportamenti connessi all’uso, detenzione e spaccio di stupefacenti. Tale impostazione afflittiva avrebbe dovuto subire, in teoria, un forte temperamento, se non addirittura un totale ridimensionamento, a seguito dell’esito della consultazione referendaria del 18 Aprile 1993 (decorrente dal 6 Giugno 1993) che ebbe ad abrogare il divieto di uso personale di stupefacenti, sino allora sancito dall’art. 72 comma 1.
Questa auspicata conseguenza non ha avuto, però, purtroppo, piena attuazione.
A tutt’oggi – trentatre anni dopo l’emanazione del Dpr 309/90 e trenta dopo il referendum – per formulare un esempio significativo, il tema della rilevanza penale della condotta di detenzione di sostanze stupefacente, fattispecie che riveste una posizione di assoluta centralità nella trama del T.U., riceve, ancora nella quotidianità, le più svariate, contraddittorie e controverse risposte giurisprudenziali.
I FINI DELL’ARTICOLO 73
Al di là di valutazioni di politica legislativo-giudiziaria, per potere focalizzare le peculiarità della norma in esame è necessario precisare che l’art. 73 ha inteso assolvere, nelle intenzioni del legislatore a due precisi fini, tra loro diversi, ma tra loro complementari.
Da un lato, si palesa lo scopo di tutelare in generale la sicurezza pubblica. Dall’altro, si rileva la specifica palese preoccupazione di fronteggiare e reprimere ogni forma di attentato alla salute della collettività1.
Tale osservazione trova conferma nell’orientamento della Suprema Corte, sez. IV, 15 Maggio 2003, n.299582, la quale ha affermato che “In tema di stupefacenti, scopo dell’incriminazione delle condotte previste dall’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 è quello di combattere il mercato della droga, espellendolo dal circuito nazionale poiché, proprio attraverso la cessione al consumatore viene realizzata la circolazione della droga e viene alimentato il mercato di essa che mette in pericol o la salute pubblica, la sicurezza e l’ordine pubblico, nonché il normale sviluppo delle giovani generazioni”3.
I due suindicati scopi costituiscono, quindi, il bene giuridico4, che la norma mira a presidiare, inserendosi nel binario tracciato dalla sentenza della Consulta n. 333 del 10-11 luglio 1991 e, che, prioritariamente, attiene alla “pubblica salute”5.
Queste duplicazione dei due fini perseguiti – prefissata anche dall’assetto della prcedente L. 22.12.1975 n. 685 – ha suscitato perplessità in dottrina.
Luigi Domenico Cerqua6, infatti, partendo dal rilievo che la norma sanzionatoria ha evidente natura di reato a condotte plurime, sostiene che tale aspetto deriva dalla corretta individuazione del bene giuridico tutelato e cioè la salute pubblica minacciata dagli effetti nocivi dell’assunzione di stupefacenti.
La rilevanza del precipuo ed inderogabile interesse ai beni oggetto della tutela penale, e che, come appena indicato, possono essere individuabili in quelli della salute pubblica, della sicurezza e dell’ordine pubblico e della salvaguardia delle giovani generazioni, ha fatto sì di giungere, addirittura, alla conclusione che non assuma rilevanza scriminante, ai fini della punibilità del fatto, neppure la circostanza che il principio attivo contenuto nella singola sostanza oggetto di spaccio possa non superare la cosiddetta “soglia drogante” fissata tabellarmente (come da illustrazione che segue) per ciascuna sostanza da abuso dal DM 20067.
Quanto sopra sta a significare – sul piano giurisprudenziale – che anche lo spaccio di dosi di stupefacente, contenenti un principio attivo al di sotto della cd. soglia drogante determina, pertanto, la messa in pericolo dei beni istituzionalmente tutelati dalla norma in disamina.
Come tale, siffatta condotta deve essere, per i supremi giudici, sanzionata8.
Ha sostenuto, infatti, Cass. Sez. VI con la sent., 20/12/2019, n. 51600 (rv. 277574-01) che “In tema di stupefacenti, il reato previsto dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è configurabile anche in relazione alla cessione di dosi inferiori a quella media singola di cui al d.m. 11 aprile 2006, con esclusione delle sole condotte afferenti a quantitativi di droga talmente minimi da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l’assetto neuropsichico dell’utilizzatore”9.
Quella sin qui richiamata è indubbiamente un’interpretazione spiccatamente rigida e severa, se non addirittura estrema e che suscita perplessità.
LA DOSE MEDIA SINGOLA
Se è vero che la “dose media singola” (D.M.S.) deve essere intesa10 come la quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo”, ci si deve, pertanto, domandare a quale fine sottende una deroga ermeneutica, destinata – de facto – a ridurre il concetto in questione ad una mera indicazione astratta priva di efficacia probatoria.
Appare, pertanto, evidente che il parametro in questione, abbia costituito un pessimo esempio di compromesso privo del carattere di tassativa determinatezza, di ancoraggio a genesi scientifiche legato, soprattutto, a valutazioni e scelte di discrezionalità politico-ideologica.
Il canone della d.m.s., invece, di rispondere alle attese, per le quali è stato concepito, cioè offrire soluzioni concrete nella quotidianità forense e giudiziaria, ha, invero, complicato non poco l’iter di selezione di criteri valutativi, provocando conclusioni giurisprudenziali ondivaghe e sovente contraddittorie.
Non si dimentichi che il canone in questione, infatti, che avrebbe dovuto decisivamente sostituire quello della dose media giornaliera (il quale presentava, se non altro, una forma di aggancio affatto superfluo con un criterio di carattere quanto meno temporale) è stato – alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale maturata – malamente utilizzato.
Esso è apparso disancorato dalla realtà, in quanto non ha individuato la vera quantità di principio attivo, che si ponga come elemento scriminante o meno rispetto all’ipotesi di reato. La possibilità che il giudice possa operare una valutazione che allarghi la sfera del penalmente rilevante, anche in presenza di quantitativi inferiori alla soglia di cui alla d.m.s., è cartina di tornasole di quanto si va sostenendo.
Si deve, infatti, ribadire lo stato di assoluta incertezza giurisprudenziale sull’argomento11, che fa si che, come sostiene Mazzi “rimane dunque centrale la questione della prova in concreto del superamento della soglia dell’offensività”12.
LA QUANTITÀ MASSIMA DETENIBILE
La dose media singola è rimasta, così, funzionale a servire esclusivamente (attraverso il connubio con il moltiplicatore che, ex lege, varia da sostanza a sostanza) per determinare la Quantità Massima Detenibile, così come si può evincere assai chiaramente dalla tabella che segue.
Questo parametro – che ritengo di elevatissima importanza ai fini decisori – è ancora troppo poco conosciuto e, purtroppo, molto ignorato in concreto dalla quotidiana esperienza forense, sia da magistrati, che da avvocati.
Anche se esso non sfugge ad un profilo di compromissorietà, non si può, però, non sottolineare che esso – pur in presenza di perplessità suscitate dall’adozione di fattori moltiplicatori tra loro differenti a seconda della sostanza esaminata – risulta di ausilio fondamentale nella pratica giudiziaria.
Esso costituisce una soglia utile per valutare l’effettiva offensività di condotte inerti (quali, ad esempio, quella genericamente detentiva di droghe o quella coltivativa, quest’ultima specialmente in materia di cannabis) che si differenziano da quelle di cessione o vero e proprio spaccio.
L’accertamento del numero di dosi può, infatti, risultare di teorico ausilio in presenza di sostanze rinvenute nella disponibilità di soggetti, colti nell’atto dello spaccio, al fine di operare una prognosi in ordine alla diffusività dell’attività illecita, al bacino di utenza cui la droga può essere destinata, alla capacità criminale dell’agente ed al ritorno economico che lo stesso può ottenere .
La pregnanza del paradigma della Q.M.D. si manifesta, invece, maggiormente, qualora il soggetto possa – a propria difesa – produrre attestazioni della condizione di assuntore della sostanza (qualunque essa sia) e, in particolare, in ipotesi di coltivazione di piante di cannabis, per attestare – tra i vari parametri apprezzabili13 – la compatibilità del prodotto ottenuto con una destinazione al consumo personale del coltivatore14.
In materia di applicazione del parametro del Q.M.D. è interessante il punto di vista di Froldi (2007)15 osserva che, de jure condito, sarebbe stato preferibile conteggiare la QMD su base settimanale anziché giornaliera
L’”uso esclusivamente personale” andrebbe parametrato tenendo conto della provvista necessaria ad un tossicodipendente durante un’intera settimana.
Rimane sintomatica la circostanza che, essendo la QMD di canapa molto più alta della QMD delle droghe dure, il legislatore, implicitamente, ha voluto accettare la tesi della minore pericolosità tossicologico-forense della cannabis16.
Altro aspetto sul quale ci si deve soffermare in via preliminare, concerne la vera e propria struttura della previsione dell’art. 73. In primo luogo emerge un carattere di particolare atipicità. Come sostenuto, infatti, da Cass. sez.II, 01/02/2019, n.37294, l’art. 73 configura una tipologia di norma che presenta una natura giuridica consistente in più fattispecie.
Per la prospettabilità del reato è, quindi, sufficiente, ovviamente, che il soggetto abbia posto in essere semplicemente una sola delle condotte previste nel testo normativo. Sotto altro aspetto risulta evidente il carattere composito della norma.
Non si tratta, infatti, di un precetto correlato ad una o più condotte, tra loro congiunte od atelrnative, come rilvabile in altre fattispecie.
L’ipotesi di violazione dell’art. 73, invece, presuppone:
a) un profilo comportamentale posto in essere dall’agente (le 17 condotte descritte al co. 1 – che si riferiscono a qualunque tipo di droga17),
b) l’assenza di una condizione giuridica positiva18, in capo all’agente,
c) la specifica necessaria e preventiva qualificazione di stupefacente o psicotropo, in relazione alla sostanza oggetto della condotta sanzionata19, con inserimento tassativo negli elenchi di legge.
Questo ultimo requisito estremamente qualificato evidenzia non solo il profilo della tassatività dell’inserimento della sostanza in una delle tabelle previste dall’art. 14, ma, sopratutto, la natura strettamente legale della nozione di stupefacente.
Grillo20 evidenzia, infatti, la centralità nel nostro ordinamento dell’inclusione “della sostanza in una delle tabelle (formate sulla base dei criteri) di cui all’art. 14 del medesimo d.P.R.”, richiamando la pronunzia di SSUU 24.6.1998 Kremi ed altre successive tra il 2003 (Sez. VI Hassan) ed il 2011 (Sez. III, Ndreu).
Ovviamente vengono inseriti in tali elenchi tabellari solo quei prodotti che contengano un principio attivo idoneo a produrre effetti di alterazione psicofisica nell’assuntore21.
Si addiviene così all’affermazione del principio della nozione legale di stupefacente22, alla quale, peraltro, rimangono estranei i cd. precursori che rientrano nella disciplina dell’art. 70 dpr 309/9023.
Il precetto normativo, quindi, nella fattispecie, oltre alla descrizione della condotta illecita, contiene un duplice requisito di carattere amministrativo, l’uno soggettivo negativo, l’altro oggettivo positivo.
Ulteriore osservazione pertinente alle peculiarità dell’insieme degli illeciti contemplati dall’art. 73 è della appartenenza alla categoria dei reati di pericolo e non già in quella di danno od evento.
L’intervenuta inclusione nella citata specie normativa, frutto anche di una progressiva, quanto rilevante evoluzione della materia, appare ormai pacifica, nonostante l’evidente osservazione che le plurime condotte, delineate dal comma 1° della norma in oggetto, ben potrebbero indurre a ritenere necessario per il perfezionamento materiale della fattispecie illecita e per la di lei punibilità l’evento della dazione o, comunque, della presenza fisica dello stupefacente.
Cass. Sez. IV Sent., 22/07/2019, n. 32513 (rv. 276686-01), affrontando il tema della’pplicabilità delle circostanza attenuante di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. l’ha esclusa riguardo al reato di cessione di sostanze stupefacenti, sia perché, vertendosi in materia di salute della persona si deve tenere conto del pericolo derivato al consumatore dall’azione dello spacciatore. (In CED Cassazione, 2019).
Analoga impostazione, che involge un comportamento prodromico alla vera e propria cesssione, proviene dalla Corte d’Appello Napoli Sez. VI Sent., 05/07/2019, che ha rilevato come la detenzione di numerose dosi preconfezionate in cellophane di due diverse sostanze stupefacenti di tipo eroina e cocaina sia caratterizzata da un elevato grado di pericolo per la salute umana24.
La qualità di reato di pericolo, come detto, permette di anticipare il momento di sanzionabilità della condotta illecita anche ad una fase anteriore al vero e proprio trasferimento o cessione della sostanza.
E’ fondato, quindi, ritenere perfezionato l’illecito anche in assenza di una vera e propria traditio del bene, per tutte quelle condotte che presuppongono un passaggio della stesso tra persone.
Questa considerazione permette di affermare, ulteriormente, che la punibilità di molte tra le condotte illecite descritte dalla norma è determinata dal criterio consensualistico (di evidente estrazione civilistica).
La natura dirimente del consenso è stata sancita da Cass. pen. Sez. III, 19/02/2018, n. 7806, al fine di distinguere fra reato consumato e tentativo.
Precisano, infatti, i supremi giudici che “In tema di stupefacenti, tutte le condotte che si collocano nel momento antecedente all’incontro di volontà che determina il passaggio della proprietà delle sostanze oggetto dell’illecita importazione, possono collocarsi nella sfera del tentativo punibile, o non punibile, in ragione della natura delle trattative intercorse tra le parti, dovendosi ritenere che, nei contatti tra le parti e nella formazione progressiva del consenso che demarca la fattispecie consumata del reato, assumano rilievo ai fini della punibilità del tentativo le trattative che presentano una connotazione di univocità e idoneità rispetto al raggiungimento di quel consenso”. (In Quotidiano Giuridico, 2018).25
E pure la Corte d’Appello Palermo Sez. IV, 26/11/2017, ha affermato che “Il reato di cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra venditore ed acquirente, indipendentemente dalla effettiva consegna della merce e del pagamento del prezzo”.
Per concludere queste note preliminari, si osserva che un reato che dovrebbe avere, per apparente definizione comune carattere reale (attesa la tipologia delle condotte previste che indurrebbe a ritenere necessaria la traditio del compendio illecito dal venditore all’acquirente), va, invece, equiparato, (come si vedrà più diffusamente nell’esposizione delle singole condotte previste) ad un vero e proprio contratto (illecito) ad effetti reali, posto che la consegna dello stupefacente assume veste di mero elemento complementare e successivo alla fase perfezionativa del reato e non incidenza sulla stessa.
Ultima notazione.
Si deve sottolineare come la norma in esame sintetizzi e riassuma al proprio interno le distinte previsioni degli artt. 71 e 72 della L. 22.12.1975 n. 685.
Si tratta di una scelta legislativa evidente, che si pone quale naturale conseguenza dell’abolizione del concetto di modica quantità (caposaldo della L. 685/75) e, quindi, “con la non necessità di dover correlativamente diversificare la risposta sanzionatoria dell’ordinamento”26.
NOTE:
1 La difesa del diritto alla salute, va necessariamente richiamata, onde comprendere come, in progresso di tempo, soprattutto la tutela preventiva delle giovani generazioni, meno difese e più deboli rispetto alle seduzioni degli stupefacenti e del relativo mondo, sia stata percepita dalla giurisprudenza quale preponderante preoccupazione ispiratrice la normativa in questione.
2 De Paoli, in CED Cassazione, 2003
3 Concetto riaffermato da Cass. Sez. VI Sent., 21/01/2009, n. 2701 (rv. 242687)”..In materia di stupefacenti, la norma incriminatrice di cui all’art. 73, comma secondo-bis, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 prevede un delitto-ostacolo allo scopo di ridurre la soglia di punibilità per fini di prevenzione generale, ricomprendendovi esclusivamente l’illecita produzione o commercializzazione, e non la mera detenzione, delle sostanze chimiche di base e dei precursori di cui alle categorie 1, 2 e 3 dell’allegato I al d.P.R. n. 309 del 1990” in CED Cassazione, 2009. Cfr. anche Sez. V, 29 Novembre 1999, n.5791, Aparo, Cass. Pen., 2001, 125, che ha individuato nella difesa della salute individuale e collettiva e nella tutela contro l’aggressione della droga e della sua diffusione i cardini dell’intervento giurisdizionale in materia, mutando radicalmente un orientamento precedente di segno decisamente opposto.
4 In senso analogo, in dottrina Bologna, Bosco, Spitaleri La disciplina dei reati n materia di stupefacenti, Maggioli 2021, pg. 47.
5 Sul concetto di pubblica salute è interessante richiamare altra pronunzia della Corte Costituzionale (20 maggio 2016 n. 109) che ha respinto la questione di costituzionalità dell’art. 73, in relazione alla sanzionabilità della condotta di coltivazione, proprio sul presupposto della difesa della salute, intesa come diritto diffuso derivante “dalla sommatoria della salute dei singoli individui”.
6 L’art. 71 della legge sugli stupefacenti: norma penale a più fattispecie, in Giur. Merito, 1982, 152
7 La efficacia della tabella in questione prevista in allegato alla L. 21.2.2006 n. 49 – che convertiva gli artt. 4-bis e 4-vicies ter, commi 2, lettera a), e 3, lettera a), numero 6), del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 e che furono dichiarati costituzionalmente illegittimi con la sentenza 32 dell’11- 25.2.2014 – è stata ripristinata con la L. 16.5.2014 n. 79 di conversione del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36.
8 Si tratta di un radicale mutamento di rotta, posto che, in precedenza, infatti, si era sostenuto “che ove la quantità di sostanza, pur rientrante nelle tabelle allegate alla legge, non sia idonea a produrre tale effetto a causa dell’insufficienza del principio attivo, questa non può considerarsi stupefacente con il conseguente venir meno di un indispensabile presupposto oggettivo del reato ed a nulla rilevando, peraltro, che la sostanza stessa, di accertata inefficacia farmacologica, possa essere aggiunta ad altra, sì da produrre l’effetto suo proprio che costituisce il presupposto (e rientra nella “ratio”) della norma incriminatrice”. Cass. sez. IV, 19/12/1996, n.3189, Bongiovanni, Cass. Pen., 1998, 663.
9 in Studium juris, 2020, 7-8, 942, conf. Cass. Sez. III Sent., 19/11/2014, n. 47670 (rv. 261160)
10 Cfr. relazione della Commissione tecnico-scientifica predisposta del DM 11.4.2006
11 Le pronunzie di rito oscillano fra la necessità che la dose spacciata possa produrre un reale effetto drogante, con conferimento di poteri discrezionali valutativi al giudice – Sez. 4 12.5.2010, n. 21814 – ed una presunzione di illiceità legata alla circostanza che la stessa contensse comunque principio attivo – Sez. 4 6.10.2009 n. 47999
12 MAZZI L. DIRITTO DEGLI STUPEFACENTI, Pacini Giuridica, 2022, pg. 56
13 Cfr. SSUU sent. 12348/20
14 Cass. Sez. III, 11/01/2021, n. 644, L.M.A.
15 Commento all’ Art. 4 quinquies DL 30.12.2005, n. 272, in LP, 2007.
16 BAIGUERA ALTIERI A. 6.2.2023 in www.dirittopenaleglobalizzazione.it/droghe-pesanti-e-droghe-leggere-negli-anni-duemila
17 “…Coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo….” .
18 “….Senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17…”, intendendosi il rilascio di un provvedimento amministrativo che permetta l’esercizio di poteri di cui il privato è gia titolare, ma che non può esercitare, senza il beneplacito della P.A. .
19 Co. 1 “Sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14. Co. 41 “Sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall’articolo 14”.
20 Stupefacenti: illeciti, indagini, responsabilità, sanzioni. IPSOA Milano, 2012, pg. 21.
21 In tal modo – ad esempio – rimangono esclusi dalla tabelle i semi di cannabis, qualunque siano le loro caratteristiche, posto che essi non contengono in origine quale principio attivo , il THC, che si sviluppaerà (o meno) nella pianta
22 Tale principio permette di evitare incertezze di sorta, anche se sussiate un limite che consiste nella necessità che intervenga un aggiornamento costante e tempestivo, atteso il proliferare della produzione e commercializzazione di sempre nuove sostanze.
23 Il d.lgs n. 50 del 24 Marzo 2001, ha modificato radicalmente il regime governato dall’art. 70 dpr 309/90. Significativo appare, prima facie,il passaggio dalla locuzione “Sostanze suscettibili di impiego per la produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope” a quella “Precursori di droghe”, che connota la rubrica di apertura dell’articolo in questione.
24 E’ stata, così, esclusa la configurabilità della fattispecie autonoma di reato prevista dall’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990
25 Per la costanza e pacificità del principio Cfr. Sez. VI, 2 Luglio 2002, n.30135, Gjinarari e altri, che “L’individuazione del momento consumativo del reato di acquisto di sostanze stupefacenti è quello in cui si raggiunge il consenso tra venditore e acquirente in ordine a quantità, qualità e prezzo dello stupefacente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce e dal pagamento del prezzo”. La descritta impostazione viene ripresa dalla Sez. II, della Corte Suprema, 22 Maggio 2001, n.32299, Bua. Il Collegio ha, infatti, affermato che in tema di commercio di sostanze stupefacenti, nel caso venga raggiunto un accordo per la cessione di un determinato quantitativo di droga, ma manchi del tutto la prova dell’avvenuta consegna di questa, non si configura a carico del venditore il reato di tentata cessione, bensì il reato consumato di “offerta in vendita” della sostanza, espressamente disciplinato dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.
26 AMATO- FIDELBO La disciplina penale degli stupefacenti, Giuffrè, Milano, 1994 pg. 141.