I giganti della tecnologia boicottano la cannabis
Né Google né Facebook, le due più importanti società presenti su Internet, accettano la pubblicità sulla cannabis ed entrambi sono noti per aver cancellato account relativi alla pianta senza nessun preavviso. Entrambe le aziende dicono di volere consentire discussioni sulla sostanza ma senza volerne facilitare il commercio.
Instagram, di proprietà di Facebook, è forse oggi la piattaforma dominante nel mondo della cannabis. È lì che gli appassionati vanno a scoprire gli ultimi prodotti e le novità in genere.
Anche la nostra pagina Facebook ed il nostro canale social sono stati colpiti dalle censure. E’ successo alla nostra pagina ufficiale Dolce Vita Magazine nel marzo 2017, dopo la pubblicazione di una fotografia che mostra due piantine di Cannabis, ed al nostro canale Youtube, rimosso e poi reso di nuovo disponibile senza alcuna spiegazione. E a noi è andata bene, perché ci sono decine di canali Youtube, una delle prime fonti di informazione sulla cannabis con migliaia di video informativi e tutorial, che non sono mai stati riattivati.
Nel frattempo Facebook e l’industria della cannabis hanno più o meno raggiunto una dimensione in cui le aziende possono pubblicare post ma non fare pubblicità. Ci sono state e ci sono tutt’oggi delle eccezioni perché l’applicazione delle regole può essere imprevedibile e arbitraria.
O almeno così sembrava: l’ultimo episodio che ci riguarda ha colpito la nostra pagina proprio in questi giorni, dopo la pubblicazione di un prodotto, del tutto legale in Italia, a base di CBD. Il post è stato cancellato intimandoci di non pubblicare più contenuti simili, pena la chiusura della pagina. Quindi se prima Facebook non accettava pubblicità e sponsorizzazioni di prodotti riguardanti la cannabis, ora censura anche i semplici post, in modo del tutto arbitrario, su un prodotto completamente legale. Così come in precedenza erano state chiuse le pagine di decine di aziende che producono o vendono infiorescenze di canapa industriale, operazione del tutto legale nel nostro Paese.
La censura al nostro post è avvenuta proprio nei giorni in cui la nostra pagina raggiungeva l’ottimo risultato di oltre 200mila “mi piace”. Un traguardo che ci ha lasciato con l’amaro in bocca: preferiremmo avere molti meno like, ma in un social network più trasparente, democratico ed attento ai diritti umani.
Intanto un’altra iniziativa di Facebook ha nuovamente inasprito la situazione: si tratta di un “divieto ombra” che rende la vita più difficile alle pagine ed ai gruppi correlati alla cannabis attraverso le ricerche di Facebook, comprese quelle provenienti dalle principali fonti di informazione e agenzie governative. Una censura che riguarda tutte le pagine, le aziende o i gruppi, che nel proprio nome contengono la parola cannabis o marijuana, in un divieto che non comprende invece le parole hemp o l’italiano canapa. Praticamente le pagine continuano ad essere presenti sul social network e sono visibili a chi già le segue, ma, provando a fare una ricerca, non appaiono più tra i risultati.
Le alternative a questa situazione che perdura da diversi mesi sono poche: c’è chi ha iniziato a sponsorizzare i propri prodotti ad esempio su Yahoo, oppure nelle Instagram stories dove il lavoro di influencer ed agenzie è quello di far diventare virali dei post senza sponsorizzarli.
Per le imprese del cannabusiness, le limitate opzioni pubblicitarie rispecchiano la lotta per operare finanziariamente in un mondo quasi legale. E mentre molti esperti parlano di una possibile bolla della cannabis con la possibile bancarotta sullo sfondo, è evidente che per avere dei soldi in banca è necessario essere in grado di fare pubblicità in modo efficace e quindi ancora prima del problema legato alle banche, che non vedono di buon occhio il fenomeno, c’è quello di sponsorizzare i propri prodotti in modo efficace.