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Hashish: il filtraggio è quel che conta!

La resina può essere filtrata in vari modi, ma l’aspetto importante è il range di filtraggio che può migliorare nettamente la qualità dell’hashish

Panetta di hashish

Qualunque consumatore che conosce bene le tecniche di lavorazione con le quali viene creato il prodotto che vuole acquistare ha sicuramente un metro di giudizio ampio per valutarne la qualità. Al contrario, ignorando come esso venga prodotto, l’acquirente può essere tratto in inganno facilmente ed è quello che spesso accade ai fumatori di hashish. 

Chi vende hashish può decidere di farlo in maniera anonima o può distribuirlo con un proprio logo, etichettandolo a piacimento. Fino a un decennio fa i marocchini si limitavano a scrivere a penna il nome della genetica su una piccola etichetta, mentre negli ultimi anni non solo si è optato per etichette stampate e colorate, ma sono state inventate denominazioni che alludono alle tecniche di lavorazione e creano tanta confusione. 

Uno per tutti è per esempio l’hashish chiamato erroneamente “semidry“. Per quanto riguarda invece le qualità più alte spesso si legge sulle etichette 120 o 90 o x2, x3. Conoscendo come viene prodotto l’hashish è evidente che i numeri così scritti ci dicono poco e che addirittura filtrato x2 e x3 non significa proprio niente.

Premetto che la qualità di qualsiasi estrazione cannabica dipende non solo dalle tecniche e/o strumenti utilizzati, ma soprattutto da come è stata coltivata l’erba utilizzata e che quindi a parità di tecnica e strumenti, può comunque esserci una differenza abissale nel prodotto finale. Un hash prodotto da cannabis coltivata in maniera mediocre e con semi scadenti o di seconda generazione, può anche essere filtrato, ma resterà un hash mediocre.

In Marocco l’hashish viene estratto con la battitura classica e in seguito filtrato. In passato usavano una sola maglia per filtrare, da circa 220 micron a zero, e questo implicava il passaggio di più vegetale, ovvero foglie e parti del fiore, e quindi ottenevano un’estrazione meno pura, meno buona. Da quando invece si usano screen e maglie con fori di misure diverse la qualità è decisamente migliorata. La resina può essere filtrata in vari modi, ma quello che conta e che ci dice effettivamente la dimensione dei tricomi è il range di filtraggio. 

Scrivere che un dry è 70 micron è un dato incompleto perché non specifica se la resina è passata attraverso lo screen da 70 fino a 0 e quindi comprende anche le parti di scarto dei tricomi rotti o se invece è una resina che va da una maglia più grande (220,160,140,120,90) a 70 micron. Lo screen più grande da 220 micron permette di eliminare gran parte del materiale vegetale che sporca la resina, le maglie più piccole ci permettono di separare varie misure di tricomi e quindi avremo, tra uno screen e l’altro, anche una selezione diversa che varia in tutti gli aspetti organolettici del prodotto. Tra una panetta di hash estratta dalla stessa erba, ma con un diverso range di estrazione, e un’altra noterete differenza di texture, terpene, sapore e effetto. 

L’hash viene estratto a secco o mediante l’uso di acqua, che funge da vettore facilitando il passaggio della resina negli screen (water hash). Per l’estrazione a secco si prediligono screen con fori fino ai 70 micron e se si trova del 45 micron quasi sempre non è di ottima qualità come non lo è il 25 nel water hash. Avendo la cannabis varie caratteristiche interessanti che vanno oltre l’effetto e che riguardano principalmente l’odore e il sapore, si può affermare che il range 120-70 è di solito quello che rispetta di più l’ampiezza di queste caratteristiche, ma ciò riguarda anche il gusto personale e vari fattori in gioco. Non esiste un range migliore in assoluto perché la resina cambia da genetica a genetica. 

Scrivere che un hash è doppio o triplo filtrato, non ha senso in quanto potrebbe essere stato filtrato in qualsiasi screen e spaziare da una qualità commerciale a una qualità migliore. Dubito che chi produce hashish di alta qualità usi termini equivocati ed è molto probabile invece che sia solo un tentativo di far passare un prodotto scarso per buono.

A cura di Hilde Cinnamon
Grower residente a Barcellona. Ha un cultivo, un’associazione cannabica e una selezione di genetiche più che rispettabile. Instagram: @hilde.cinnamon



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