Le guerre dimenticate di cui nessuno parla
Mentre il conflitto in Ucraina ha monopolizzato l’informazione, ci sono oltre 50 guerre in corso di cui non ci interessiamo, vittime che non valgano neanche un passaggio al TG
L’esplosione del conflitto in Ucraina ha ormai monopolizzato l’informazione, trasformando le prime pagine dei giornali e i TG in veri e propri “bollettini di guerra” quotidiani, totalmente privi di qualsiasi anelito di obiettività, ma ricchissimi di notizie di ogni genere, vere o false che esse siano. I carri armati, i missili, le cartine geografiche modello Risiko, gli esperti militari, veri o presunti tali, hanno sostituito nel volgere di un battito di ciglia i virologi, i medici, gli infermieri e tutto il circo Barnum legato alla pandemia che da un paio d’anni aveva fagocitato ogni briciola d’informazione.
Una sovraesposizione mediatica di questo tipo può essere in parte giustificata dal fatto che la guerra si svolga in Europa (metaforicamente alle porte di “casa nostra”) e che il nostro Paese si sia posto in una posizione di co-belligeranza, scegliendo di fornire armi e sostegno a uno dei contendenti, ma non si può evitare di prendere atto del fatto che attualmente nel mondo, secondo i dati della Ong Armed conflict location & event data project, siano ben 59 le guerre in corso. In alcuni casi si tratta di conflitti locali, la cui portata non è certo paragonabile a quella della guerra in Ucraina, in altri di guerre sanguinose che da anni stravolgono la vita di intere popolazioni, ma sempre e comunque producono il proprio pesante carico di vittime civili e sfollati, senza che i media mainstream le giudichino in tutta evidenza degne del proprio interesse.
IN YEMEN
Si combatte da ormai 7 anni, dopo che i ribelli Houthi nel 2015 hanno deposto l’allora presidente Hadi costringendolo all’esilio. Da quel momento, grazie all’aiuto dell’Arabia Saudita e di altri otto stati dell’area è iniziata una sanguinosa contro offensiva del governo esiliato, nel tentativo di riprendere il potere.
Come risultato fino ad oggi oltre 4 milioni di persone (la metà delle quali bambini) sono state costrette ad abbandonare le proprie case ed almeno 150mila civili hanno perso la vita a causa dei bombardamenti, mentre 400mila bambini sono in pericolo di vita a causa della malnutrizione acuta grave.
IN ETIOPIA
Dopo un anno e mezzo di feroce guerra civile fra i ribelli del Tigray e le forze governative, alla fine dello scorso mese di marzo è stata proclamata una tregua umanitaria che si spera possa durare nel tempo. Come risultato del conflitto i profughi sono oltre due milioni e almeno 5 milioni di persone si trovano in stato di elevato bisogno alimentare, mentre non esistono dati attendibili sul numero di vittime civili.
IN MALI
Dopo 9 anni di guerra civile, fra indipendentisti tuareg e milizie etniche di autodifesa, con l’ingerenza di 5mila soldati francesi e tutta una serie di colpi di stato, l’ultimo dei quali a maggio dello scorso anno, Parigi ha formalmente ritirato la propria presenza nel Paese, che rimane comunque nelle mani di svariate fazioni di gruppi armati antagonisti fra loro. Dall’inizio del conflitto almeno 2 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case in cerca di riparo in altre aree del Mali o nei paesi limitrofi, mentre oltre 15mila civili sono rimasti uccisi.
IN NAGORNO KARABAKH
La guerra infuria dal 2020, contrapponendo le forze armene del Karabakh, sostenute dall’Armenia, e quelle azere, appoggiate dalla Turchia ed ha già provocato circa 6mila morti. Nel mese di novembre dello scorso anno, dopo tre cessate il fuoco falliti, il presidente azero Ilham Aliyev, il Primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente russo Vladimir Putin hanno firmato un accordo di pace che è stato in grado di limitare solamente gli scontri più aggressivi.
IN LIBIA
Dopo la guerra di aggressione della Nato di 10 anni fa e l’uccisione di Gheddafi, il Paese non è mai tornato alla normalità, restando vittima di tutta una serie di conflitti interni irrisolti. Attualmente il Paese rimane diviso fra le sfere d’influenza del Governo di Accordo Nazionale (Gna) e quello fedele al maresciallo Khalifa Haftar, con sede a Tobruk, mentre imperversano i trafficanti di esseri umani e le milizie che li sostengono, oltre a nutriti gruppi di mercenari stranieri. Non è in atto al momento una vera e propria guerra, ma il conflitto è pronto a riaccendersi da un momento all’altro.
IN BURKINA FASO
Imperversa una situazione di emergenza umanitaria, sociale e politica, causata dall’azione sempre più violenta dei gruppi estremisti islamici, sponsorizzati segretamente dal governo francese, che hanno assalito a più riprese le scuole, i mercati e le fonti di approvvigionamento dell’acqua, causando negli ultimi 7 anni oltre 1.600 vittime. Proprio l’incapacità del governo di contrastare efficacemente il terrorismo islamico è stata la molla che ha dato il via lo scorso 24 gennaio ad un colpo di Stato militare promosso dal Patriotic Movement for Safeguard and Restoration (Mpsr), che ha visto arrestare e deporre il Presidente Roch Marc Christian Kaboré.
Ma le zone del mondo in cui lo spettro della guerra cova sotto le braci, pronto a riaccendersi al primo alito di vento sono moltissime. Dalla Palestina, dove di fatto si combatte da decenni senza soluzione di continuità, alla Siria, dalla Somalia al Myanmar, dalla Nigeria ad Haiti, dal Sudan alla Colombia, dal Mozambico al Congo e molte altre ancora.
Il numero di conflitti a livello globale, nell’ultimo decennio sta continuando ad aumentare, così come sono aumentate le spese destinate agli armamenti da parte della maggioranza degli stati, in un’escalation che definire preoccupante sarebbe riduttivo. Basti pensare che solamente nel 2020 la spesa militare mondiale è aumentata del 2,6% arrivando a sfiorare i 2mila miliardi di dollari, mentre l’incremento è stato del 9,3% nell’ultimo decennio.
Secondo l’organizzazione no profit Oxfam Italia, che si dedica alla riduzione della povertà globale, ben 82 milioni di persone nel mondo sono in fuga da guerre “dimenticate”, persecuzioni e catastrofi climatiche. Sarebbe giunto il momento di domandarci se è davvero questo il futuro che vogliamo, per noi e per i nostri figli.