Guè Pequeno – Bravo ragazzo (recensione)
“Bravo ragazzo” è il secondo album solista di Guè Pequeno: le presentazioni ci appaiono superflue, non quanto rimarcare di trovarsi difronte uno che, a dispetto dei titoli dei suoi dischi, ragazzo non è più, dovendo spegnere 33 candeline il prossimo 25 dicembre. Un lavoro che arriva in un momento storico importante per l’hip hop italiano che probabilmente lui stesso, assieme ai fidi soci, ha contribuito a creare e settare. Un lavoro a cui molti di noi si sono approcciati con disincanto, chi scrive in primis, oramai assuefatti al concept filo-adolescenziale di buona parte delle sue ultime produzioni. “Bravo ragazzo” è anzitutto un disco maturo da ogni latitudine lo si guardi, in notevole controtendenza con le scialbe pubblicazioni disseminate negli ultimi anni, in special modo coi Dogo.
Guè si presenta con diciannove tracce nuove, un dato di per sé già significativo in quanto molto più ampio della media-fast delle ultime release italiane. Ancor più importante poiché è la riprova che, nonostante la prolificità con le altre due teste del cane, avesse l’esigenza di assecondare le sfaccettature più personali ed intime della sua indole, magari soffocate in un disco di gruppo. Ampi rimandi alla sua personalità, dunque, che si diramano tra il lato serio e quello cazzone, i rapporti con l’altro sesso filtrati da cinismo e disillusione, il sociale, ma anche –e ci mancherebbe- la buona dose di sboronate e zarrate. C’è tutto, dunque. E ogni prova dimostra sempre credibilità, come per altro potrebbe certificare l’interesse gossipparo che si è scatenato nei suoi confronti negli ultimi mesi. Guè ha una personalità sopra le righe, di sicuro vincente: è partito dallo street rap arrivando ad avere numeri impressionanti, un brand di abbigliamento e un buon successo personale. Gli haters, per questi motivi, ci saranno sempre: ma badi bene che vi è un lucido fondo di verità nelle critiche che gli si rivolgono.
“Bravo ragazzo” è uno dei migliori dischi usciti negli ultimi anni. Coagula il suono nuovo dell’hip hop mondiale ad un rap di assoluto carisma, abbracciando melodie e trattazioni differenti, ma che comunque suonano in omogeneità. Pochissime tracce skippabili, molte più quelle notevoli: “Rose nere” è il brano trainante, “Brivido” quello più sentito, con una strofa eccezionale di Marracash, “In orbita” il lisergico incontro con Fibra, “Il drink e la jolla” e “Barbie vs Marley” clamorose hit tamarre. Certo, non mancano i passaggi a vuoto: non è un caso, ad esempio, che siano Fedez e Emis Killa a mettere il sigillo sugli episodi più smaccatamente materialisti e fondati sull’apparenza; e che il brano contro-contraddizioni “Come mai” con Ensi non celi un retropensiero populista. Anche stilisticamente, Guè rivolta come un calzino alcuni stilemi dell’hip hop italiano: eliminando quasi sempre l’avverbio nella similitudine (faccio musica da boss: Nino Rota), oppure additando come capro espiatorio non più il wack mc, ma quello che non ce l’ha fatta, quello a cui prende in prestito la tipa. Tra i tanti producers occorsi da varie parte del mondo, come non citare gli italianissimi 2nd Roof, autori di una serie di perle che sanno di geniale compromesso tra il boom bap e il suono più mainstream. In linea generale, importante l’impatto sonoro del disco, aiutato da un mixaggio eccezionale (fatto a NYC…).
Dicevamo: vi è un lucido fondo di verità nelle critiche dei cosiddetti haters. Ed è quella, innegabile, che la differenza tra i dischi in solitaria e quelli di gruppo è nettissima. A questo punto della sua carriera, sente ancora la necessità di prodotti easy e semi-inutili come tutti gli ultimi firmati Club Dogo? Non sarebbe artisticamente più soddisfacente perseguire sul filone intimo dei dischi solisti, piuttosto che immergersi nella spersonalizzazione della musica fatta per gli altri, e non per se stessi in primis? Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto, ci teniamo stretto questo “Bravo ragazzo”, al momento disco più interessante dell’anno.
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Nicola Pirozzi