«Grazie alla cannabis sono tornata a vivere!», ma le istituzioni ai pazienti devono dare risposte
«Grazie alla cannabis medica sono tornata a vivere! Negli ultimi mesi ho avuto la fortuna di avere la continuità terapeutica, sono riuscita a tenere a bada l’anoressia nervosa, ho preso 7 kg e finalmente mi sento in forze! Per aver ottenuto questi risultati devo ringraziare i medici che mi seguono, mi supportano e mi sopportano e soprattutto il mio fantastico farmacista che mi ha garantito la continuità terapeutica nonostante la situazione di emergenza: non finirò mai di ringraziarli. Stiamo lavorando h 24 assieme ai professionisti che ci supportano in questa battaglia. Presto vi aggiorneremo su tutte le news e i progetti in cantiere».
Un messaggio in cui c’è tutto il bene della cannabis e tutto il male della politica italiana. Rileggendolo non ho potuto che fermarmi, rileggere nuovamente, meditare e poi mettermi a scrivere. Non per sottolineare i benefici che questa pianta donata da Madre Natura per il nostro benessere continua a darci, me perché Santa Sarta, del Comitato Pazienti Cannabis Medica, probabilmente senza accorgersene, ha toccato quello che è il vero punto della questione.
«Negli ultimi mesi ho avuto la fortuna di avere la continuità terapeutica», scrive. Perché in Italia, avere garantita la continuità terapeutica nelle terapie a base di cannabis, non è un diritto, è, come dice bene lei, una fortuna. O meglio, la brutta storia dell’ennesimo diritto negato. Che per un paziente è peggio di uno schiaffo. Perché equivale a mostrargli che esiste una sostanza che è in grado di ridurre i suoi dolori, i suoi spasmi, le sue contratture, i suoi attacchi epilettici, la sua emicrania, la sua fibromialgia etc., e poi a togliergliela perché non ne produciamo abbastanza, perché costa troppo o perché il fabbisogno dei nostri pazienti è continuamente sottostimato dalle istituzioni.
Sono passati 13 anni da quel fatidico 2007 in cui una molecola della cannabis fu introdotta anche in Italia. 13 anni in cui, nonostante come paese abbiamo iniziato una produzione di cannabis medica, i passi in avanti sono stati pochi, fatti con fatica e sempre grazie alle battaglie di pazienti e associazioni nate dal basso, mai perché la politica abbia deciso di assumersi le proprie responsabilità.
E quindi i pazienti, oltre al peso della malattia, oltre all’inerzia della politica impassibile anche di fronte al dolore, e oltre alla rinata speranza spesso soffocata dalla carenza di cannabis che si verifica puntuale ogni anno, devono subire anche questo: la sfortuna di necessitare della cura “sbagliata”, che non interessa alle multinazionali perché troppo complessa per farci profitti, e, a quanto pare, nemmeno ai governi dei paesi civili e democratici.
Ancora oggi ci sono Regioni italiane in cui un paziente deve sborsare centinaia se non migliaia di euro ogni mese per seguire il proprio piano terapeutico e altre dove invece i pazienti la ottengono gratuitamente; ancora oggi si verifica ciclicamente la carenza di tutte o alcune varietà di cannabis che produciamo o importiamo, ancora oggi in Italia i medici che prescrivono la cannabis sono poco più di un centinaio. Ancora oggi i pazienti sono costretti a rifornirsi dagli spacciatori per strada, o a lanciare una disobbedienza civile per poter farsi ascoltare e coltivare le proprie piante di cannabis, come hanno fatto i ragazzi del Cannabis Cura Sicilia Social Club. Ancora oggi, nel 2020, in Italia, se necessiti di cannabis per curarti, sei un paziente di serie B e ti devi arrangiare, oppure usare altri farmaci: quelli ci sono sempre, li passa la mutua e li prescrive chiunque.
Fonte: cannabisterapeutica.info