Milioni di persone stanno lasciando il lavoro ed è una buona notizia
La spiegazione dietro le dimissioni di massa in tutto l'Occidente coincide con lo scricchiolio dei valori che finora i più non osavano mettere in dubbio
Nel nostro lavoro di informazione sulla possibilità di uno stile di vita alternativo all’insegna della libertà e felicità, dunque di un benessere generale in armonia con il pianeta, noi di Dolce Vita abbiamo affrontato spesso il tema del lavoro, sia mostrando le tendenze verso la settimana corta, sia raccontando lavori differenti, sia sollecitando riflessioni su quanto sia importante staccare, oziare, dedicarsi ad altro.
Ecco perché ora che il mondo del lavoro sta attraversando un cambiamento potenzialmente epocale non siamo sorpresi. Prima o poi le persone avrebbero dato un nome al proprio disagio: tra orari massacranti e stipendi spesso insufficienti persino per il sostentamento minimo – particolarmente tra i giovani –, la concezione del lavoro come fattore principe per nobilitare l’esistenza umana sta dando i primi importanti segnali di cedimento.
E così, negli Stati Uniti d’America, nella patria dell’ambito sogno americano che premia – o meglio dovrebbe premiare – chi vota la propria esistenza alla fatica e al lavoro, sono oltre ventiquattro milioni i lavoratori che, negli ultimi anni, hanno abbandonato la propria posizione alla ricerca di condizioni più favorevoli, più umane.
Ma sarebbe sbagliato pensare che il fenomeno interessi solo i lontani USA.
Secondo un recente studio realizzato da McKinsey, oltre il 40% dei lavoratori a livello mondiale sarebbe intenzionato a cambiare lavoro e, dall’inizio della cosiddetta Great Resignation, ovvero Grandi dimissioni, nel 2021, anche in Italia sono quasi mezzo milione le persone ad aver dato le dimissioni, persone sfinite e deluse da tirocini e stage non pagati, dall’assenza di una normativa sul salario minimo e da un generale clima di precarietà che spesso rende anche la sola pianificazione di una vita al di fuori dall’ufficio un’utopia.
DA DOVE NASCE IL FENOMENO DELLE GRANDI DIMISSIONI DAL LAVORO?
Una prima risposta va ricercata nelle modalità lavorative introdotte durante la pandemia e in particolare nella misura simbolo delle politiche sul tema lavoro degli ultimi due anni e mezzo, lo Smart Working. Il lavoro da remoto, seppur inserito in un contesto drammatico come quello di una crisi sanitaria globale, ha, infatti, avuto il pregio di aprire una discussione sull’equilibrio tra vita personale e vita lavorativa dovuta da tempo.
Non ci sono, per l’appunto, dubbi che misure come lo Smart e l’Home Working abbiano contribuito ad avvicinare gran parte della popolazione a una realtà lavorativa di massa mai vista prima, una modalità che, oltre a tradursi in ovvi benefici per i lavoratori affetti da disabilità, ha reintrodotto – o forse introdotto per la prima volta – la possibilità di bilanciare la routine lavorativa con quella familiare e personale.
Ma, nonostante il successo riscosso dalla misura, l’allentamento delle misure pandemiche si è presto tradotto nel conseguente allontanamento dal lavoro da remoto, una scelta presentata in modo plateale da molti governi come l’agognato ritorno a quella normalità che per anni milioni in tutto il mondo di lavoratori hanno tentato di abbattere.
Si arriva così alla Great Resignation, e sono molti a domandarsi se il fenomeno sia solo passeggero o se si tratti di un incipit di qualcosa di più grande, possibilmente di una rivoluzione di quei sistemi non in grado di valorizzare e tutelare appropriatamente la forza lavoro.
Non è difficile, allora, comprendere perché i licenziamenti di massa stiano diventando sempre più comuni anche in Italia. Il Bel Paese è uno dei soli sette stati europei a non aver ancora introdotto alcuna normativa sul salario minimo, lasciando che la determinazione dello stipendio orario in diversi settori sia rimessa ai contratti collettivi nazionali, con risultati spesso avvilenti.
A questa situazione deve poi aggiungersi la frequenza di tirocini e stage non pagati per i giovani lavoratori, sconfitti ancora una volta anche al Parlamento Europeo, dove la destra e i partiti liberali di centro italiani hanno contribuito ad affossare l’emendamento per vietare il lavoro non retribuito.