“Il governo ignora la Costituzione e rischia di distruggere l’intera filiera della canapa”
Canapa Sativa Italia risponde al Dipartimento per le Politiche Antidroga dopo la richiesta unificata di tutte le Regioni italiane di fare un passo indietro sull'art. 18 del decreto sicurezza
“Il comunicato del Dipartimento Antidroga sul DL Sicurezza del 29 aprile 2025 contiene affermazioni gravi e fuorvianti. È falso che l’articolo 18 non danneggi la filiera della canapa: vietare l’uso dell’infiorescenza certificata e tracciata rende insostenibile ogni altra attività agricola sulla pianta. Chi lo nega, semplicemente non conosce la filiera”.
È la risposta di Canapa Sativa Italia al comunicato del Dipartimento per le Politiche Antidroga dopo che tutte le Regioni, comprese le 14 governate dal centro-destra, hanno chiesto all’esecutivo, per l’ennesima volta, di fare un passo indietro sulla parte del decreto sicurezza che inserisce il fiore di canapa, indipendentemente dai livelli di THC contenuti, tra gli stupefacenti.
IL COMUNICATO DEL DPA SULLA CANAPA
Il Dipartimento ha risposto con un comunicato stampa in cui scrive che il decreto “non vieta la coltivazione della canapa anche a bassissimo contenuto di Thc” e che: “Sono altrettanto infondati i rischi per il settore della canapa evocati dalla medesima fonte”. Viene anche ribadito che il provvedimento “non modifica quanto previsto dalla legge 242/2016 ‘Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa’” e resta comunque “vietata anche l’importazione delle inflorescenze, in linea con quanto sancito dalla Cassazione”.

LA RISPOSTA DI CSI PER RISTABILIRE UN MINIMO DI VERITÀ
“Il comunicato del 29 aprile 2025 del Dipartimento per le Politiche Antidroga, che pretende di giustificare l’articolo 18 del DL Sicurezza come semplice “chiarimento” normativo, si fonda su una lettura parziale e fuorviante della realtà giuridica e agricola italiana”, spiegano infatti dall’associazione.
“È falso affermare che l’articolo 18 non danneggia la filiera. Al contrario: vietare l’uso dell’infiorescenza certificata e tracciata significa rendere economicamente insostenibile ogni altra parte della coltura, fermando un settore che vive dell’equilibrio tra tutti gli usi della pianta”, afferma Mattia Cusani, Presidente CSI.
LE MENZOGNE SULLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
È altrettanto scorretto sostenere che questo decreto si limiti a “ribadire” la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 30475/2019. “La Cassazione – continua l’associazione – ha infatti affermato che le infiorescenze certificate e prive di efficacia drogante non sono punibili, perché ogni valutazione penale deve fondarsi sul principio di offensività: solo ciò che è concretamente pericoloso perché stupefacente può essere sanzionato come reato. Se davvero il Governo volesse applicare correttamente quel principio, non potrebbe vietare l’attività dei negozi che vendono infiorescenze certificate, prodotte legalmente in Italia, tracciate, con contenuto di THC non stupefacente e indice psicotropo”.
“Quelle attività, già oggi, non sono pericolose per la salute pubblica e non possono essere trattate alla stregua del traffico di stupefacenti dopo quasi 9 anni di attività e di tasse e contributi pagati. L’articolo 18, se male interpretato, stravolge il diritto vigente, calpesta i principi costituzionali di legalità (art. 25), proporzionalità (art. 3) e libertà economica (art. 41), oltre a violare il diritto europeo”.
“Non c’è nulla di neutrale – continuano da CSI – in questa norma: essa crea ancora incertezza giuridica, espone le imprese a rischi penali ingiustificati e frena bruscamente un settore che occupa oltre 22.000 lavoratori”.