Gli studi a favore dell’uso del glifosato non sarebbero affidabili
L’uso del glifosato in agricoltura è sempre stato un tema caldo. Nonostante siano 130 i paesi, Italia compresa, che hanno approvato l’utilizzo del composto nel settore agricolo, gli studi sui parametri di sicurezza e sulla potenziale cancerogenicità del composto hanno spesso portato a risultati contrastanti tra loro, fomentando uno scetticismo diffuso sul suo utilizzo, e con l’avvicinarsi del rinnovo da parte dell’Unione Europea dell’autorizzazione all’uso del glifosato come erbicida, in scadenza a dicembre 2022, il dibattito ha ritrovato terreno fertile in diversi stati dell’Unione.

Proprio negli scorsi giorni, l’AGG, Assessment Group of Glyphosate, composto dalle autorità nazionali di Francia, Ungheria, Paesi Bassi e Svezia, ha presentato alla EFSA, l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare, e alla ECHA, l’Agenzia Europea delle sostanze chimiche, un documento di circa 11.000 pagine dove sono riportate tutte le prove fornite da diverse società favorevoli al rinnovo del Glifosato a partire dal 2022 e fino al 2027. Le posizioni contrarie sono però molteplici. Già nel 2017 infatti, il rinnovo dell’autorizzazione per l’utilizzo del composto aveva sollevato alcuni dubbi, e un recente studio indipendente portato avanti da Siegfried Knasmueller e Armen Nersesyan, studiosi dell’Istituto per la Ricerca sul Cancro del Centro Ospedaliero di Vienna, sembra avvalorare la tesi secondo cui gli studi che hanno portato al rinnovo dell’utilizzo del Glifosato nel 2017 non avrebbero rispettato gli standard attualmente fissati dalla comunità scientifica e non sarebbero, dunque, stati affidabili.
Secondo quanto riportato nel documento di 187 pagine, che prende in esame 53 studi tra quelli alla base del rinnovo del 2017, la maggior parte degli studi consegnati al tempo all’UE non rispettava i richiesti canoni di rigore scientifico e non aveva condotto i moderni test necessari per una corretta individuazione degli effettivi rischi di cancerogenicità del glifosato. “La qualità di questi studi, non di tutti, ma di molti, è molto bassa” ha affermato Siegfried Knasmueller, “Le autorità sanitarie hanno accettato alcuni di questi studi di scarsa qualità come informativi e accettabili, cosa che non trova giustificazione da un punto di vista scientifico”.
Gli studi presi in considerazione dal report di Knasmueller e Nersesyan vertono sulle proprietà genotossiche del glifosato, dunque sugli eventuali danni al DNA, e sono studi principalmente svolti o commissionati da differenti multinazionali, tra cui anche la Monsanto, che, secondo un reportage del 2017 de Le Monde, principale quotidiano francese, avrebbe tentato di influenzare il risultato degli studi forniti all’UE per spingere il rinnovo del 2017. Le modalità degli studi in esame, che prevedevano la raccolta di dati su eventuali danni ai cromosomi nelle fasi iniziali della sperimentazione partendo dai globuli rossi del midollo osseo di ratti e topi, avrebbero permesso l’identificazione di una percentuale di cancerogeni intorno al 50-60%, particolarmente bassa se paragonata a quella dei test più moderni.
Il report arriva in un momento dove il dibattito sull’uso del glifosato a livello europeo si sta facendo particolarmente acceso, una discussione destinata a diventare ricorrente nei prossimi anni.