Gli Jívaro, cacciatori di visioni
Gli Jívaro, noti anche come Shuar, abitano la parte di selva amazzonica confinante fra Ecuador e Perù, in particolare fra il Río Pastaza al nord e il Río Zamora a sud; un’area dove il sistema fluviale incontra diverse cascate e cateratte. Per questo gli Jívaro sono noti anche come la “gente delle cascate”. Cascate che i medesimi considerano luoghi sacri, ingressi per il mondo sovrannaturale e degli spiriti.
Fanno parte di un insieme residuale di tribù jivaroidi che comprende anche le etnie degli Achuara, Huambisa, Aguaruna e Mayna, tutte abitanti la foresta tropicale a cavallo fra Perù ed Ecuador. In particolare gli Jívaro sono noti per il secolare spirito di ribellione nei confronti dell’uomo bianco, che diede molto filo da torcere ai colonizzatori spagnoli.
Ma sono noti anche come forti consumatori di droghe, in particolare quelle allucinogene. In ogni momento della vita, ad ogni rito di passaggio e in ogni occasione possibile essi assumono droghe vegetali ricavate da diverse piante, in primis Banisteriopsis e Datura. L’ayahuasca ricavata da Banisteriopsis e altre piante viene chiamata dagli Jívaro natemä, mentre chiamano maikua la Brugmansia. Per questa popolazione ciò che realmente determina la vita e la morte è rappresentato da forze invisibili che si possono rivelare solo con l’assunzione delle piante visionarie e considerano e chiamano “reale” il mondo sovrannaturale.
Hanno costumi insoliti in diversi ambiti della vita quotidiana: le donne partorienti praticano la geofagia (mangiano la terra), gli uomini durante certi riti inalano dal naso liquidi a base di tabacco (Harner, 1984: 89-90). Non appena ha qualche giorno di vita, al neonato viene somministrato un allucinogeno (tsentsemä) di lieve potenza. Le sue foglie vengono dapprima masticate dalla madre e poi fatte ingerire al neonato. Lo scopo è quello di facilitare l’acquisizione di un arutam, una specifica visione che possa proteggere e rafforzare l’individuo.
Nel caso di una bambina, oltre a quest’assunzione, all’età di 2 e 8 anni le viene nuovamente somministrato lo tsentsemä, nel corso di una festa che dura 4 giorni e dove le bambine danzano a lungo. Ogni giorno, verso metà pomeriggio, alle bambine viene dato lo tsentsemä e sono quindi accompagnate nella foresta, dove vengono fatte sdraiare per ricevere le visioni.
Durante la loro infanzia le bambine vengono sottoposte ad altre droghe, come nei riti nua tsanu (“tabacco donna”), dove bevono acqua di foglie di tabacco. Lo scopo di questi rituali è facilitare l’induzione di visioni che possano augurare e facilitare il successo nel lavoro dei raccolti agricoli e nella gestione degli animali domestici, compiti prettamente femminili nella società jívaro.
Per quanto riguarda i bambini, vengono sottoposti a periodiche assunzioni di allucinogeni sin dall’età di 6 anni, con lo scopo di acquisire un arutam, che generalmente viene acquisito all’età di 16-17 anni. Per ottenere un arutam si procede a un pellegrinaggio alle cascate. Il giovane viene accompagnato da suo padre nella zona delle cascate, dove si ritiene che il vento che si forma attorno alla cascata rappresenti anime e spiriti vaganti attorno all’entrata all’altro mondo, situata dentro alla cascata. Durante il giorno il cercatore di arutam cammina nudo, avanti e indietro lungo lo strapiombo a fianco della cascata d’acqua. Di notte dorme vicino alla cascata e alterna digiuni con bevute di acqua di tabacco, natemä e maikua, a seconda del momento. Fa questo per 4-5 giorni. Nel caso non riesca a ottenere un arutam torna a casa con l’intenzione di riprovarci una prossima volta.
Una volta acquisito l’arutam il fortunato torna al villaggio facendo ben attenzione a non dire ad alcuno della buona riuscita del suo pellegrinaggio alle cascate, pena la perdita del medesimo arutam. Di notte lo spirito dell’arutam che ha visto e toccato gli si accosta in sogno sotto le spoglie di un vecchio jívaro. Con questo sogno lo spirito dell’arutam entra definitivamente nel corpo del sognatore, dove risiede nel torace. Lo spirito dell’arutam è in questo caso l’anima di un antenato e l’antropologo Naranjo interpreta gli arutam come gli spiriti ancestrali della tribù.
L’utilizzatore per eccellenza di droghe allucinogene è lo sciamano. Fra gli Jívaro ve ne sono di due tipi – gli stregoni e i curatori – e sono numerosissimi, con una media di uno sciamano ogni 4 jívaro. Entrambi i tipi di sciamani fanno ampio uso di droghe allucinogene, in particolare il natemä.
Per quanto riguarda l’alcool, presso i Jívaro la birra di manioca è un nutrimento basilare della loro dieta. La preferiscono all’acqua, che bevono solo in casi di emergenza o durante le lunghe battute di caccia. La birra viene preparata dalle donne; queste, dopo aver ammorbidito i tuberi bollendoli nell’acqua in una pentola, ne prendono dei pezzi, li masticano e li risputano dentro alla pentola. In tal modo viene indotto il processo di fermentazione che da luogo alla birra di manioca. É opinione comune fra gli Jívaro che la birra è migliore se la manioca è stata masticata da una giovane fanciulla piuttosto che da una donna anziana. La birra di manioca è da considerare pronta, al suo massimo grado alcolico, dopo 4-5 giorni di fermentazione; in tal modo può raggiungere una gradazione di 4 o 5 gradi. Ma per via della continua richiesta, difficilmente si lascia passare tutto questo tempo, per cui per lo più tutti bevono una birra di manioca con 2 gradi alcolici o poco di più. La bassa gradazione e la tolleranza che gli Jívaro avranno fisiologicamente sviluppato fa in modo che le grandi quantità di birra di manioca non li ubriachi.