Ghemon – Qualcosa è Cambiato (recensione)
“Non lo puoi fermare quando scorre”: esordiva così, più o meno 12 anni fa, un rampante Ghemon Scienz . Tra Avellino e la provincia di Salerno si snodò il primo lavoro di un giovane rapper di belle speranze, ben accolto dalla critica. “Bloodstains”, con Fabio Musta, Dome e Dj Pio alias Sangamaro, risaltava la buona capacità lirica di un 18enne che prometteva di profilarsi come una valida alternativa al rap campano, settato allora quasi esclusivamente su dialetto e esibizionismo tecnico, e nazionale. Ne è passata di acqua sotto i ponti, da allora, ma Gianluca Picariello da Avellino ebbe il merito di profetizzarsi un futuro in continua evoluzione: nessuno ha mai fermato più il suo flusso.
“Qualcosa è cambiato” è il lavoro uscito tre giorni fa e da allora ben stabile nelle prime posizioni delle classifiche di vendita online. Il disco che chiude il ciclo avviatosi col mixtape “Qualcosa cambierà” è il sesto, tra ufficiali e non, dell’artista ormai in pianta stabile a Milano. Nemmeno da questo punto di vista il nostro si è più fermato, stabilizzandosi prima per anni a Roma, poi nel capoluogo lombardo. La lunga pausa tra Bloodstains e l’ingresso in Soulville, anticipato dalla trilogia di Sulle Batterie, si può dire sia stato l’unico momento di stasi in un percorso di continua e mirata evoluzione. Si chiude un ciclo, ma si apre un anno fondamentale, il 2012: Ghemon produrrà un altro album ufficiale, probabilmente l’ultimo nelle scomode vesti di rapper.
Diverse le anticipazioni disseminate nei mesi scorsi, in ultima “Fantasmi pt.2”, dalla quale è nato un bel videoclip targato Frame24. L’hype si era infervorato in seguito al famigerato (poi cancellato) commiato ai fan, in cui annunciava l’abbandono delle scene: ebbene, evitando di entrare nel merito, in quelle righe vi era una sacrosanta verità. Ghemon ha avuto il coraggio di mostrare le sue debolezze in un contesto spesso forzatamente machista, facendone un manifesto della propria musica. In questo ha fondato la sua forza, la sua peculiarità. E lo ha fatto, da sei dischi a questa parte, in maniera sempre elegante, sobria, mai sopra le righe e senza panegirici o ipocrisia (La verità, del resto, non abita più qua). “Niente è tanto personale che non si può raccontare”… una telefonata con la propria mamma e la propria nonna, la necessità di sovvertire una routine lavorativa alienante, l’orgoglio di un rapporto di coppia, la favolosa semplicità di una dichiarazione d’amore e, perché no, la sincerità nei confronti di colleghi e fan, in “Uomo d’acqua dolce”. Con un giusto compromesso, trattandosi di un prodotto non ufficiale, di divertimento stilistico (Paraphernalia è un po’ il Sulle Batterie del 2012).
Ghemon rappa sempre meglio, convince nel cantato e nella stesura dei testi si standardizza su livelli sempre altissimi: pare che, inoltre, sia anche un notevole talent scout. In ogni suo lavoro, scopriamo “nuovi” singer e producer fortissimi: da un lato spiccano Katerfrancers (voce femminile dei fantastici Power Francers), Andrea Nardinocchi e Killacat (che lascia cadenze più sincopate per immergersi nel soul), dall’altro trovano conferme Clefco e Main Loop. Tra i più noti, grandi prove di Fabio Musta, Fid Mella e Zonta, tre dei producers più forti del momento.
Quattordici brani, più due bonus track: se questi sono gli avanzi di 440/Scritto nelle Stelle, evidentemente Ghemon ha intenzione di salutare il mondo rap con un lavoro che rimarrà a lungo nella memoria collettiva. O forse no? Il mondo rap pare necessitare sempre del brano successivo, della tecnica nuova, del beat innovativo e di tematiche fresche: per questo, mal digerisce un addio, un arrivederci, un ritiro. Ghemon consegna all’hip hop italiano tanti piccoli capolavori: contestualmente a Qualcosa è cambiato, “Parte di me”, “Fantasmi pt.2”, “Un giorno in più nell’eternità”. Se decide di lasciare, non bisogna chiedergli di ripensarci. C’è solo da rendergli grazie.
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Nicola Pirozzi