Ghemon: l'intervista!
Il suo “Qualcosa è cambiato” è fuori da un po’ di tempo, ora disponibile in tutti i negozi di dischi. Nel frattempo Ghemon macina sold out girando l’Italia con il suo live, racimola consensi trasversali ed è pronto a rimandare il suo addio alla scena rap, con “440/Scritto nelle Stelle”, grazie al successo che continua ad accumulare con l’ultima fatica. A due mesi e mezzo dalla pubblicazione e a pochi giorni dal suo 30° compleanno, facciamo con Ghemon un punto sul momento e su tutti quegli aspetti, magari secondari o di contorno, che per un artista cerebrale come lui completano un puzzle davvero complesso.
Ciao Gianluca, sei in tutti i negozi di dischi da un po’ di tempo. L’ottimo riscontro avuto con “Qualcosa è cambiato” ha modificato qualcosa nei tuoi progetti? Chessò, ha fatto slittare 440/Scritto nelle stelle?
E’ vero, il riscontro è stato ottimo e soprattutto costante. Ora i dischi durano una settimana, e anche l’hype e l’interesse. Invece andiamo ancora forti, le persone sono curiose e interessate. Perciò l’altro disco deve aspettare, anche perché richiede una cura dettagliata, e adesso stando sempre in giro non ho tempo per chiudermi in studio come mi piace quando faccio un disco.
Apparterrai sempre alle strade di Avellino, però Milano a quanto pare ti ha accolto bene. Come ti pare, a parte l’ansia-ansia?
Prima che mi spostassi a Milano, mi dicevano: “ma veramente vuoi venire a Milano? Ma sei pazzo? Io se potessi, scapperei!”; ho capito che alcuni lo dicono per tenersela stretta. Milano è una città preziosa che io cercavo da tempo. Non è proprio o solo per i contatti che l’ho scelta, ma perché sono uno pratico, e a Roma mi stavo perdendo a rimandare le cose importanti. La mia famiglia comunque vive a Roma, quindi quando ho bisogno di staccare ci torno, anche perché non c’è competizione su un sacco di fronti. Però adesso Milano è a misura mia, come ritmi, come tutto, mi sta aiutando un sacco a essere me stesso e a non accomodarmi. Avellino è il mio momento di riconnessione con le radici e dura pochi giorni l’anno. Fine.
Seppure abbia sempre garantito un taglio classico e soulful alla tua musica, non si può dire che spesso abbia innovato/sperimentato (e spesso in maniera del tutto opposta, penso a Bere un Gin Tonic col naso e Siccome pioveva). Ma il rap sulla dubstep?
Il rap sulla dubstep? Non ho la palla magica, vedremo che succede, magari dura all’infinito. A me non mi interessa saltare su nessun carro. Non sono mai andato con le ragazze con cui andavano tutti, sono troppo egocentrico per fare una cosa del genere. Si può fare soul anche facendo rock, la differenza la fanno le melodie. La musica bella è una sola, poi viene declinata per generi. A me interessa quella, dei generi non me ne frega un bel cazzo di niente. Va bene per te se dico le parolacce anche nell’intervista? Mi sono appena svegliato…
Dopo un’intervista ad alcuni tuoi colleghi, chiesi loro la rituale foto in posa. Dopo il primo scatto mi chiesero però di rifarla, perché “siamo usciti che ridiamo e non va bene”. Ti sei avvicinato alla parte gioviale della musica (vedi PowerFrancers) anche per questo?
Nell’arte è importante giudicare dando il peso giusto alle cose. E poi queste cose delle pose non le so e non le voglio sapere più. Sono cresciuto in una comitiva di gente che spara cazzate ogni 2×3, e idem con Kiave, Franco e Mecna, è un continuo. Faccio la musica che faccio, ma gran parte del tempo me la rido. Non sono capace a fare le canzoni come “Sono un ragazzo fortunato” di Lorenzo Jovanotti, perché non sono capace di rimettere solo quello in un pezzo. Però se passi una serata con me, certamente non parliamo dei massimi sistemi tutto il tempo. Il pregiudizio è una cosa sbagliata, sia che ce l’abbia io, sia che ce l’abbia la gente che mi giudica in base a “Fantasmi pt.2” e basta. Cercatevi “Piglia Bene” nel vecchio disco.
Ghemon Tigre, Ghemon Scienz, Ghemon, Jeanius Savonarola, Gilmar. Gianluca Picariello dove si colloca?
Non mi fare domande così esistenzialiste che lo sai che poi i confini del pensiero diventano labili e inizio a parlare del tutto e del niente. Sono dove sono, che è tutto e non è nulla. Sono due facce di una stessa medaglia: io potrei dirti che sono da una parte e che vorrei essere sulla cima della montagna, tu mi risponderesti che me la tiro e che sulla cima non ci posso arrivare. Oppure ribatteresti che sulla cima della montagna ci sono già. Sono prospettive, e le carriere si valutano dopo trent’anni. Quindi ora Gianluca Picariello è dove è, e deve fare una serie di cose perché il caleidoscopio sia meno confuso. Comunque Gianluca non si è mai sottratto a nessuna responsabilità e ha sempre assecondato il cambiamento. Questa me la devo dare per buona, perché non tutti hanno le palle di cambiare.
Mi sono fatto un po’ di cazzi tuoi su Twitter. Eva Riccobono, Valon Behrami, Dj Ralf tra gli altri ti hanno manifestato apprezzamento: è cambiato qualcosa anche nel target di chi ti ascolta?
No, è solo la pazzia di internet e di Twitter. Mi hanno scritto tante persone che non mi sarei immaginato e va bene così, alla fine solo i soldatini paladini del rap “dentro la scatola” si augurano che il rap resti dove sta. Il mio obbiettivo è che la mia musica venga ascoltata da tante persone. Quindi quelle che hai citato, a cui voglio un bene (platonico) pazzo, sono poche ancora. Il Target comunque è una cosa che riguarda le strategie militari: diciamo che c’è più gente che mi ascolta, quest’è.
Ho letto varie recensioni di “Qualcosa è cambiato”. Spesso ricorre la figura di Neffa: non ti scoccia?
No, non mi disturba. Presto o tardi diranno di qualcuno che ricorda me, è la vita di chi fa musica: cercano sempre di metterti in un insieme, una categoria, un genere, un paragone. Va bene così, anche se questo paragone ha senso solo per gli over 24, perché Neffa ha smesso di fare rap e ha iniziato a cantare 10 anni fa. Comunque da ascoltatore ho sempre supportato Neffa, comprato tutti i suoi dischi, così con Pino Daniele, così coi The Roots. Se mi paragonano ai miei preferiti mi fa piacere. Se vai a vedere le nostre musiche, non sono così simili invece.
Un botta e risposta: mi dicono che sei migliorato molto nei live…
Tu dici così solo perché mi hai seguito dal mio primo pezzo solista nel 2005, ma sono un professionista, se mi avessi conosciuto l’anno scorso non vedresti niente di strano. E’ normale che in 7 anni di live in giro impari. E io faccio il live da solo, quindi le cose o le imparo a mie spese o nessuno me le insegna.
Ti sei impegnato perché ci sono sempre più donne?
Si ci sono, ce ne sono tante, e non che mi tirino i perizomi. Vengono per la musica, perché pensano che mi preoccupo di cose che hanno qualche senso pur essendo un maschio testa di cazzo e grossolano nei modi e nelle dimenticanze. Loro sanno, alcune capiscono, alcune vogliono capire. Sono felice che ci siano.
Continuano a commentare sui tuoi video che ti leggeranno fra qualche anno sui libri di letteratura. In quale capitolo precisamente?
Non lo so e non lo posso sapere. Internet è molto fuorviante. Anche chi pubblica una cazzata ha sempre l’amico ancora più cazzone che gli commenta “minchia ma sei un genio!”. Genio, poeta, bomba, mina e consequenziali, sono parole che hanno perso valore con internet. Mi sento apprezzato da chi supporta la mia musica, viene alle serate e la canta. Le poesie sono per i libri di trent’anni dopo. Se sarò vivo, mi godrò la letteratura. Per adesso la mia giornata media è rispondere a interviste come la tua. Lascia che ti prenda in giro anche io per cinque minuti dai, non ti offendere…
Rapper in tv: Hyst con Belen Rodriguez, Turi con la Guzzanti. Ghemon dove si vedrebbe?
Dove mi mettono. Mi sento pronto a mettermi in gioco. Ogni volta che sento che sono inadeguato in qualcosa, fuori dalla mia “zona di comfort” vuol dire che sto imparando, anche se da un mio limite. Se domani mi chiedono di fare la “Domenica Sportiva” la faccio. Non so se sarò subito pronto, ma sono uno che butta il sangue per fare bene le cose. Fine.
Non avranno lo stesso taglio, l’hai già detto: descrivi con un paio di aggettivi “Qualcosa è cambiato” e “440/Scritto nelle stelle”
“Profondo e serrato” e “fresco e essenziale”.
In ogni tuo nuovo disco scopriamo giovani e bravi producer, rapper e singer: un futuro a la Fibra in Tempi Duri e Guè P in Tanta Roba?
No, preferisco essere un “talent scout” ma non posso concentrarmi sulle carriere degli altri. Posso essere un mentore, uno che dà qualche consiglio ma per adesso non ci penso proprio a produrre nessuno, c’è già Macro Beats e Unlimited Struggle Records che fanno queste cose bene.
Non le hai mai mandate a dire, a colleghi e fan, lungo la tua carriera. Prima di abbandonare il rap, avrai tolto tutti i sassolini dalle scarpe?
Stai sicuro di si. Ancora aspetto uno che mi faccia un dissing per toccargli un punto di pressione e farlo esplodere in nove punti diversi.
Ovviamente scherzo: se qualcuno mi dissasse mi farei una risata e me ne andrei in studio a lavorare. I dissing sono belli solo come spettatore. Come attore li trovo una perdita di tempo.
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Nicola Pirozzi