La Germania legalizza, e l’Italia?
L’analisi dell’avvocato Zaina sulle tante questioni irrisolte tra cannabis e politica italiana
Non sono certo mancati spunti interessanti in questo 2023, seppure quasi esclusivamente di natura giudiziaria, posto che la politica ha brillato per ignavia, laddove non si è, addirittura, distinta per qualche discutibile iniziativa (tipo la riesumazione del D.M. del 1.10.2020 relativo all’inserimento nel novero dei farmaci del CBD), prontamente sedata da giudici di merito (nella specie il TAR).
Purtroppo muta il colore dei governi, ma la sostanza non muta affatto, risolvendosi in una spinta sempre più repressiva.
E se appare prevedibile la posizione dell’attuale esecutivo, che fa del populismo e di argomentazioni prive di concretezza scientifica, il proprio spadone che viene agitato in modo anche scomposto, non pare né comprensibile, né accettabile la supina rassegnazione delle forze di opposizione.
Esse appaiono ancor più colpevoli, sia perché sono state al potere per anni senza fare nulla (anzi un loro ministro – Speranza – è stato il primo fautore di un tentativo di cadeau alle società farmaceutiche, avente ad oggetto il CBD), sia perché ora, a maggior ragione l’argomento cannabis (e canapa) non pare stimolante, né foriero di vantaggi elettorali.
Permettetemi di dire che trattandosi di una materia, che pur involgendo la platea dei diritti civili (di cui la sinistra a chiacchiere è paladina) impone, in realtà, pacatezza di ragionamento, necessita conoscenza del tema specifico e suscita valutazioni scientifiche, non potendosi dare corso a forme di sguaiato ed urlante talk show, nessuno di coloro, che, invece, dovrebbero interessarsene, pone attenzione pubblica o privata.
TRA POLITICA E VIA GIUDIZIARIA
Ciò posto, rimane la consapevolezza che non può essere la via giudiziaria (o, comunque, non solo la via giudiziaria) a fare chiarezza sui grandi temi di cannabis e canapa light.
Esiste, infatti, una rilevante frattura, per non dire contrasto, che intercorre fra le posizioni dei giudici di rito e quelle dei giudici di merito.
I primi si indirizzano su una visione sostanzialmente conservatrice, che consente il minimo sindacale (V. la nota sentenza del 2020 SSUU n. 12348), per non rendere ancor più evidente l’antistoricità delle tesi restrittive abbracciate.
I secondi (o, comunque, molti di loro), a loro volta, cercano di adattare il sentiment giudiziario alla realtà della società civile, per potere fornire risposte e soluzioni giuridiche corrette a questioni, sovente, sollevate in maniera infondata.
Questa evidente, quanto grave antitesi, che indubbiamente contribuisce a rendere il quadro generale sempre più confuso, si perpetua da tempo e non si ha modo di capire quando verrà realmente superata.
Prospettive fosche, quindi?
Certamente il futuro non è roseo. Rimangono insolute questioni fondamentali.
Per quanto attiene alla cannabis, ne la detenzione, ne la coltivazione hanno trovato un punto di precisa sintesi.
Anche se è intervenuta la pronunzia della Corte di Cassazione che ha individuato criteri ponderali per applicare la derubricazione del reato di cui all’art. 73 co. 4 in quello previsto dal co. 5, si deve ravvisare la effettiva limitata portata della stessa, posto che i giudici di legittimità si sono affrettati a sottolineare il valore puramente statistico delle medie di peso lordo ottenute.
Soprattutto non si è addivenuti a criteri ermeneutici che possano realmente assurgere a paradigmi attendibili all’interno dei quali sussumere i singoli episodi.
Dunque, si naviga a vista ed è, purtroppo, possibile incorrere in soluzioni contraddittorie, pur in relazione a vicende analoghe.
Non dissimile è la situazione concernete la coltivazione. L’assenza attuale di canoni precisi non può essere colmata da proposte legislative, che, seppure apprezzabili, paiono di portata contenuta, per non dire assai timida. Ritenere penalmente irrilevante una coltura di 4 piante (e di 30 grammi di sostanza) non mi pare in linea con la giurisprudenza di merito invalsa in questi anni.
Soprattutto, sol che si pensi che la citata sentenza delle SSUU n. 12348/20, le cui ricadute in materia di affermazione di criteri valutativi esimenti sono chiare, si è espressa relativamente ad un caso in cui venivano coltivate 6 piante, appare pacifica l’insufficienza della proposta normativa.
Credo, invece, che altre dovrebbero essere le strade da seguire, come ad esempio, quella della autorizzazione amministrativa, che imporrebbero una maggiore responsabilizzazione del coltivatore e conferirebbero al fenomeno coltivativo privato una dimensione di maggiore rilievo rispetto lo stato attuale.
IL PUNTO SULLA CANNABIS LIGHT
Anche in materia di canapa light vige sotto il cielo italiano grande confusione.
Persistono iniziative di p.g., le quali mettono in discussione (ed in crisi) attività serie e lecite, sia coltivative, che commerciali, che vengono penalizzate con sequestri di merci (che burocraticamente durano mesi), cui seguono nella quasi totalità assoluzioni od archiviazioni.
Gli operatori giudiziari (ff.oo e magistratura) non intendono, infatti, prendere atto dell’esistenza di parametri scientifici incontrovertibili, nonché di soglie di principio attivo (0,5%, pari a 5 mg/gr) dirimenti la psicoattività e l’efficacia drogante del prodotto.
Questa assenza di univocità indubbiamente crea ricadute negative nel settore.
Da ultimo il tema del CBD, cannabinoide divenuto oggetto di molto interesse e molte brame da parte delle case farmaceutiche, con il beneplacito di Aifa e ministero della Salute.
Anche in questo ambito la giurisprudenza (ed i protagonisti del processo) sono chiamati a svolgere un’inammissibile attività di supplenza rispetto a scelte (od a non scelte) legislative. Così, come detto, il TAR seppur cautamente ha sospeso l’esecutorietà del decreto del Ministero dell’agosto 2023, in attesa di una decisione di merito più volte rinviata.
Parimenti la Terza sezione penale della Cassazione, in data 10/11/23 – 26/02/2024 con la sentenza 8145/24 ha indicato nuove strade di disapplicazione dell’art. 147 Dlvo 219/2006 e di irrilevanza penale di condotte, ritenute concretanti il commercio illecito di prodotti farmaceutici.
In questo caso, però, la situazione si inverte e mentre è il giudice di rito a mostrare grande apertura, è il PM presso il giudice di merito a tenere il punto dell’accusa.
In conclusione, vi è solo da chiedersi parafrasando la notissima prima Catilinaria: “Quo usque tandem abutere, patientia nostra?” (Fino a quando, si abuserà, dunque della pazienza nostra?).