Gemitaiz: "Rimango me stesso e scrivo quello che vivo"
“Essere vero è l’unico compromesso” è il suo tatuaggio più importante, il modus facendi di una giovane ma intensa carriera. A lui hanno imputato di essere cambiato dopo la firma per Tanta Roba, un punto di arrivo importante dopo gli esordi autoprodotti/indipendenti (Honiro). Tutto ciò ha dato vita anche al titolo del suo primo disco ufficiale, L’unico compromesso, arrivato dopo un quantitativo incredibile di live e mixtape: certo, è uno di quei giovanotti che impersonifica al meglio la nuova scuola rap italiana, ma di gavetta ne ha fatta tanta. Gemitaiz sa di parlare ad un pubblico giovane, ma il successo non gli ha fatto montare la testa: abbiamo scambiato qualche chiacchiera con lui, un ragazzo serio e cosciente.
Partiamo da come è iniziata la tua collaborazione con Tanta Roba: sei uno dei quattro artisti del roster, dunque si presume credano molto in te…
È stata una decisione abbastanza naturale, dato che con Harsh collaboravamo da anni in mixtape e live. Mi sembrava logico affidarmi a loro per il mio disco ufficiale, dal punto di vista decisionale mi sentivo tranquillo così.
Molti fan, ai tempi dell’annuncio del passaggio alla label di Guè e Harsh, commentarono che inevitabilmente saresti cambiato. Hai risposto con un comunicato ufficiale, certo, ma come ti spieghi questa voce che vuole un inevitabile cambiamento quando si approda in una label più rinomata di quella dalla quale si parte?
Credo sia semplicemente ignoranza. Non si conosce il lavoro che c’è dietro un progetto del genere, tanto meno il rapporto che si viene a creare tra le persone. È una diceria che gira da un paio di anni, come se firmare per una label significhi iniziare a fare musica brutta, da quello che dicono. Ci sono stati forse degli esempi in passato che hanno portato a delle cose del genere, ma di sicuro non si può attribuire a tutte le persone che fanno questo percorso. Senza conoscere nulla del lavoro che c’è dietro è ingiusto criticare in questa maniera.
“Essere vero è l’unico compromesso”: ma in fondo cosa vuol dire restare veri?
Non snaturarsi. Semplicemente rimanere se stessi, senza attenersi a determinati paletti, adattarsi a determinate dinamiche. L’unico compromesso è rimanere quello che si è.
Rappresenti in pieno il nuovo rap italiano, ma non hai saltato la gavetta su palchi e dischi non ufficiali, seppur racchiusi in pochi anni. Credi che la consapevolezza acquisita in questi step sia necessaria ad alti livelli?
Credo che sicuramente sia un vantaggio aver lavorato ad un sacco di cose, tanti prodotti di diverso “genere”. Questo perché ti formi, ti prepari a vivere determinate situazioni. Saltando la gavetta, magari facendoti conoscere attraverso video o social network, ti puoi ritrovare in dinamiche che non conosci senza saperle affrontare al meglio.
Nel disco non dimentichi questa sfumatura, e anzi, con un po’ di amarezza noti come sia più facile venire fuori ora che un tempo, magari con un solo video sul tubo. Ma come fare a cambiare questa tendenza?
Mi sembra un po’ difficile cambiare questa tendenza. Di sicuro qualche tempo fa, quando rivendicavamo più spazio per l’hip hop in Italia, non c’erano di questi problemi poiché non c’era questa esposizione. Negli ultimi anni è venuto tutto fuori, e questa è una delle tante conseguenze dell’esposizione del rap italiano nel mainstream…
Cosa rappresenta per te avere un pubblico formato prevalentemente da teenagers?
Sono molto contento. Sono ragazzi che possono ascoltarti senza filtri, puoi arrivare a loro più facilmente rispetto a persone più grandi. Puoi dargli delle idee, esprimere delle sensazioni… il mio successo può servire anche a spronarli, infatti spesso parlo dei miei casini alla loro età proprio per aiutarli a capire che nonostante le difficoltà si può avere successo con le proprie forze.
Quanto ti responsabilizza la cosa? A tal proposito, la tua sincerità ti ha portato a parlare spesso dei tuoi rapporti con le canne, oppure di aver lasciato la scuola a 16 anni. Il tutto nell’ottica del “non fate come me”?
Come ti dicevo, l’unico compromesso è restare veri, dunque io non potrei mai autocensurarmi. Io so di parlare a delle persone che hanno un cervello, che sanno avere una propria idea di quello che dico. I miei sono racconti, sensazioni, non un incitamento a fare qualcosa. Scrivo di quello che vivo: se poi qualcuno mi prende come modello perché lo fa, oppure lo fa perché me lo sente dire, è una conseguenza dell’ascolto, ma io rimango me stesso e rappo di quello che vivo.
Il rap si sta affacciando nella società italiana come fenomeno mainstream, ormai: credi possa rimanere in pianta stabile in questa situazione?
Se si continua a fare dischi, se si continua a lavorare in questo modo, se la gente continua a supportare questa roba credo che possa assolutamente rimanerci…
Un disco ufficiale ed in veste solista per te è una duplice novità: hai dovuto cambiare molto il tuo approccio?
Sicuramente ho dovuto dare più spazio ai ritornelli, ad esempio. Penso che la sostanziale differenza tra un brano da disco ed uno da mixtape sia proprio la concentrazione sul ritornello: fino a “L’unico compromesso” ho solo fatto mixtape, dunque mi sono sempre concentrato esclusivamente sulle strofe. È stato interessante e stimolante studiare i ritornelli, imparare a farli: mi hanno arricchito. Di sicuro ho tempo davanti per fare altri mixtape ed altri dischi…
Su youtube si ritrovano molti ragazzini che propongono una propria cover delle tue strofe, spesso quelle più serrate e “veloci”. Credi sia comunque un approccio al rap per rompere il ghiaccio e poi cercare vie più personali, oppure un modo per uniformarsi ad un certo stile, in questo specifico caso al tuo?
Non trovo che sia una cosa facile, ma è una cosa piacevole perché di sicuro vuol dire che sono “fissati”, hanno ascoltato talmente tante volte quella strofa che sono in grado di rifarla e metterla su Youtube sfidando gli altri fan a farla meglio. Questo significa che la roba piace e gira, e non può che farmi piacere: lo fanno in America, è giusto che lo facciano anche qua!
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