Ganjafarm Cru – Nuie/Vuie (recensione)
Coi tempi che corrono, l’impressione è che non restino tante altre opportunità di conoscere una storia analoga a quella dei Ganjafarm da Pomigliano d’Arco, hinterland partenopeo. Loro sono Rob Shamantide e Op.Rot, oltre che soci di una vita le voci del team, il producer e dj Uncino e il chitarrista Carlos Satana: dei nomi che a pochi suoneranno nuovi, grazie alla lunga militanza nell’underground partenopeo. Eppure “Nuie/Vuie” è il primo disco ufficiale: curioso che questa data coincida con lo scoccare del… decimo anniversario della crew, proprio in quel 2013 che ha visto l’hip hop affacciarsi definitivamente nel panorama musicale italiano e dunque modificare connotati e dinamiche. La storia di questi ragazzi profuma di meraviglioso anacronismo, dei tempi che furono e dell’apprezzabile consapevolezza che il disco ufficiale sia il culmine di un percorso, non un accessorio mordi-e-fuggi da accompagnare nel dimenticatoio in poche settimane e poi sostituire col successivo dopo qualche mese.
Il rap da fast food serve pietanze vendibili, per palati non proprio esigenti e più attenti alla presentazione scenica, piuttosto che al gusto: “Nuie/Vuie” sazia gli stomaci in grado di sviscerare la vera essenza del prodotto, slegato dai meccanismi che impongono la forzata visibilità. Fortunatamente, rimane ancora chi lavora in sordina, chi progetta un lavoro per anni e ne ingloba tutte le sfaccettature della propria indole musicale, in ben 16 tracce. Un disco di gruppo era lungamente atteso, dopo ep, lavori solisti, collaborazioni in giro per l’Italia (si ricordano con piacere quelle sul Metropolis Stepson di Night Skinny) e “Nuie/Vuie” rappresenta appieno la cifra stilistica del gruppo, la summa di una ricerca musicale che affonda le radici nella musica classica partenopea e la attualizza sfumandola nel funk e nel soul. “Nuie/Vuie”, è anche l’efficace trasposizione in musica del concetto “Ganjafarm nun è a zona, Ganjafarm so ‘e persone”, ovvero dell’hip hop inteso come fenomeno associativo: musica da noi e da voi, per noi e per voi.
Sedici tracce, dicevamo: il singolo “ È facile” è il continuum con la riconosciuta capacità di entrare lucidamente nelle sensazioni più cerebrali, per poi aprirsi alle ampie sfumature che il disco abbraccia. Il fine lirismo di Op.Rot si complementa con l’effervescenza di Rob: entrambi, poi, si cimentano con notevole piglio anche in inserti vocali che donano linee melodiche anche inusuali, dando un forte senso di pienezza. Nei loro messaggi si scorgono ironia e rabbia, sentimento e tradizioni, ma anche attenzione sociale sia nello specifico partenopeo, sia nel complesso italiano. Ad esempio “Appiccia” è l’infiammata denuncia politica coi bravi Junglabeat, “Farewest Foreman” l’esilarante storytelling il salsa pizza-western, “Nuie” è il manifesto delle libertà personali, “Pullecenell luntan” il sentito tributo a Napoli, col timore un giorno di viverla da lontano. Il dialetto qui è maledettamente funzionale alle musiche, impreziosite dall’abile scratch di Uncino e irrobustite dai giri di chitarra di Satana. Ho sempre sostenuto che Rob e Op.Rot fossero interpreti eccellenti e che la loro fiera non-appartenenza al nuovo mondo hip hop attuale fosse di sicuro un motivo di orgoglio, ma anche, purtroppo, un limite alla diffusione della loro opera. Pochi in Italia possono vantare la coscienza e la poetica di Op.Rot, mescolata alla prestanza e alla timbrica di Shamantide.
Inevitabile che questo lavoro sia sentitissimo e che l’estrema perizia infusa si risenta lungo tutto l’album: chiamare a raccolta anche una serie di artisti, dapprima compagni di vita e poi colleghi, ha sicuramente stimolato la rispettiva vena: parliamo delle buone prove di Funky Pushertz, Ramtzu, Junglabeat, Ekspo e poi Dario Mogavero. Siamo nel 2013 e tutto sta cambiando, certo, ma fin quando l’hip hop italiano ci regalerà dischi incontri così coinvolgenti, potremo ancora pensare che in fondo un certo spirito non sta andando completamente perso…
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Nicola Pirozzi