Fuossera – Sotto i riflettori (recensione)
Il prolifico 2011 del rap italiano si è chiuso con alcune promesse, diversi addii e qualche certezza: una di queste, di sicuro, è la conferma di Napoli sulla mappa come centro polare di una scena in continua crescita, dopo la stagnazione dei primi anni 2000. All’interno della metropoli partenopea, traslata in particolare verso la periferia “calda”, si è fortificata una realtà importante, la Poesia Cruda. Quello che prima era un movimento che univa Co’Sang e Fuossera, ora è una vera e propria label che conta anche sull’ingresso di Geeno (già producer per Guè Pequeno) e Corrado, tra gli altri. Un gruppo ben coeso che condivide pienamente scelte stilistiche e di pensiero: in ultimo, il (quasi) totale abbandono del dialetto, per riabbracciare la lingua di Dante.
Il “nuovo corso” dei Co’Sang si è aperto col singolo “L’invidia”, seguito poi da alcune collaborazioni in mixtape; i Fuossera, dal canto proprio, hanno pubblicato il brano –riuscitissimo- che ha fatto da apripista al nuovo disco, “Senza Fine”, anticipando intenzioni affini ai colleghi di label e compagni di una vita. “Sotto i riflettori” è il secondo album per O’Iank, Sir Fernandez e Pepp J One, direttamente da Piscinola, Napoli. Lo ammettono, sono cambiati. I tre contano solo sulle proprie forze e sul coraggio di non dare seguito ad un esordio convincente, con “Spirito e Materia”, dal quale non vogliono più prescindere. Inevitabile un primo, decisivo, raffronto: la scelta dell’italiano come lingua madre del disco ha conseguenze ambivalenti, stilistiche e di pensiero.
Abbandonare il dialetto significa cambiare quasi radicalmente strutture metriche e tecniche della propria scrittura; vuol dire ripensare il proprio rap senza la musicalità del napoletano e l’agevolazione, perché no, delle parole tronche della lingua partenopea. Adottare invece una lingua che tutti possano comprendere, in barba a quanto sostenevano Neffa e Dre Love in “Puoi sentire il funk”, serve pure per giustificare il ricorso a tematiche che non trattino specificamente di Napoli, ma che contestualizzino la città partenopea in un discorso più generale, nazionale. Non è un caso, ad esempio, che si cerchi una fetta di pubblico più ampia per affrontare l’irrisolta questione meridionale, a 150 anni dall’Unità d’Italia, oppure quella dell’immigrazione interna. Di sicuro, alla base del loro rap c’è una forte sostanza, di personalità e di significato, quasi mai banale; la forma, la “nuova” forma, forse è ancora in progresso.
Dunque, “Sotto i riflettori” si propone come un disco di transizione. I Fuossera sono cambiati e, a parte i fan più accaniti che ne hanno seguito quotidianamente l’evoluzione, la scelta, piaccia o meno, ha bisogno di essere assimilata. Musicalmente, i brani arrangiati e suonati da musicisti non esauriscono la ricerca di nuova melodia ai propri beats, che rischia anche di degenerare in un miscuglio di rumori, in un paio di episodi poco riusciti. Oltre alla già citata “Senza Fine”, a “Senza Eroi” con ‘Ntò e Luchè, alla buona “Biografite”, di sicuro una hit è “Nun Chiagnere Maje” con Akey: beat jazzato, dialetto e bel ritornello. In attesa di completare l’evoluzione che vede in “Sotto i riflettori” uno step iniziale, ci consoliamo così.
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Nicola Pirozzi