Fritz da Cat – Novecinquanta 15th Birthday: lo Speciale
Il rap continua ad essere il genere di spicco in Italia, anche in questi primi mesi del 2014. Un fenomeno che ha radici ben salde nel terreno, se riavvolgiamo il nastro e scopriamo che ormai 15 anni fa uscivano dischi come “Novecinquanta” di Fritz da Cat, ma anche “Scienza Doppia H” dei Colle der Fomento e Melma & Merda, giusto per citarne tre clamorosamente influenti e usciti tutti a strettissimo giro di posta. Non erano certo i primi dischi belli e importanti per l’hip hop italiano, ma quelli che probabilmente avevano recepito al meglio la lezione dei pionieri, cui davano contorni professionali e qualitativamente elevati. Per alcuni, dischi inarrivabili, per altri modelli da seguire: sta di fatto che questi lavori mettono d’accordo tutti e ricordarli, a ben 15 anni dalla loro pubblicazione, è un tributo doveroso nonché necessario. Se non ci fossero stati loro, probabilmente non staremmo parlando adesso del rap nelle classifiche di vendita, non staremmo parlando di rap in Italia come genere non più di nicchia.
Riascolta “Novecinquanta” interamente in streaming
In uno dei vecchi AL che molti di noi custodiscono ancora in libreria, spiccava un disclaimer in cui veniva annunciato il secondo disco del producer milanese Fritz da Cat: si sarebbe chiamato “Novecinquanta” e sarebbe venuto alla luce il 15 marzo 1999. Sebbene all’epoca le date di uscita fossero molto vaghe e non esistevano instore e firmacopie, prendiamo per buona la data e ne ricordiamo dunque il 15° anniversario dall’uscita. Un disco in cui Alessandro Civitelli ha raccolto il meglio del rap italiano del tempo (e non solo) e dal quale ognuno di noi ha estratto la propria canzone rap italiana preferita. Classici immortali, sopravvissuti a evoluzioni e derive e tuttora presenti nelle migliori selecta hip hop. Se all’epoca non era ancora ben chiara la portata che avrebbe potuto avere, seppure fosse certo l’interesse elevato sul progetto, adesso è condivisa da tutti l’influenza che invece “Novecinquanta” ha avuto sul movimento. Abbiamo chiesto ad alcuni degli artisti che ne hanno fatto parte, artisticamente o musicalmente, la propria sul disco, sui ricordi legati a quell’epoca o al brano che hanno composto per “Novecinquanta“. Lasciamo che siano le loro parole a tributare la memoria di uno dei classici dell’hip hop italiano.
DEE MO (Artwork)
L’artwork di Novecinquanta riprende il concept di una murata che avevo realizzato con Eron e Zero-T a Rimini alcuni anni prima: l’artista al centro del proprio universo assorbe ed emana energie, in una sorta di flusso ambivalente. La lavorazione della copertina coincide con un periodo in cui attingevo spesso alla mia esperienza di writer, incorporando elementi ispirati alla colorazione delle lettere, uniti a samples di immagini di varia natura. In questo caso volli rendere il riferimento al writing ancora più esplicito, considerato che Fritz era affiliato ai Lords of Vetra, una delle mie crew preferite di sempre. Tra i vari membri, scelsi di lavorare con Mind, per la sua capacità di improvvisare in wildstyle. Suo è l’outline che completa la parte destra dell’artwork. Per realizzare lo scatto su cui è basato il ritratto centrale di Fritz, di profilo con la mano sulla manopola del 950, utilizzai per la prima volta una macchinetta digitale, prestata dal regista Claudio Sinatti: solo un anno prima avrei dovuto chiamare un fotografo e sperare di ottenere l’immagine così come l’avevo pensata. Gli altri scatti di copertina sono di Marco Contati, fotografo e pioniere dello skateboarding in Italia.
Nel 1999 l’hip hop italiano era dato per spacciato, capitolo chiuso per network radiofonici e le case discografiche. Appena un anno dopo chiudeva i battenti anche Aelle, l’hiphop magazine che sino ad allora aveva rivestito un ruolo cruciale nel trasmettere il segnale dai centri nevralgici della scena sino alle sue aree periferiche. La rivoluzione digitale era tutta di là da venire, più immaginata che compiuta. Questo è lo scenario in cui uscì Novecinquanta. Eppure quel disco non suona come un “rompete le righe”. Al contrario: alcuni brani presenti nell’album saranno destinati a rimanere negli anni, grazie al livello di qualità lirica e musicale espresso dagli artisti coinvolti.
Scelgo due pezzi su tutti, a mio gusto: “Cose preziose”, ovviamente, e “Dopo noi la quiete”. Su ambedue, le produzioni musicali di Fritz sono memorabili. Il primo è ancora oggi uno dei momenti più intensi dei live di Kaos. Il peso specifico di “Cose Preziose” si ottiene facilmente mettendosi tra le prime file del pubblico, sotto cassa, con i pischelli che nel ‘99 andavano si e no all’asilo ma sanno tutto il testo a memoria: classic! “Dopo noi la quiete”, ne parlavo con Deda pochi giorni fa, parla di luoghi, persone, circostanze che avevamo condiviso, gli spazi occupati in cui eravamo maturati come persone, la sensazione che quel mondo, per come l’avevamo vissuto, stesse scomparendo o diventando altro. Con il senno di poi, le cose sono andate meglio del previsto. Se “SxM” è il classico per eccellenza, credo che la consacrazione di Chico Md come uno dei più grandi lyricist italiani di sempre sia arrivata con i brani incisi dopo l’esperienza dei Sangue Misto. Tra questi, “Dopo noi la quiete” occupa per me un posto speciale.
_____________________
LORD BEAN (“Street Opera“)
Ho diversi ricordi legati alla lavorazione di Novecinquanta. Mi ricordo di sicuro una grande attesa, essendo il numero di dischi hip hop italiani che uscivano molto ridotto rispetto ad ora. In quel disco erano coinvolti tutti gli elementi di spicco dell’epoca, vedevo nascere i pezzi in camera di Fritz, che in quel momento frequentavo davvero assiduamente assieme ad Esa & co. Ascoltavamo i ruff dei pezzi in cassetta ed erano tutti delle mine potentissime, anche se ovviamente avevamo le nostre preferenze. Fritz impazziva per quello di Lugi, quando lo passavano ai party e tutti ballavano era molto contento di quel successo e di come suonava rispetto ai pezzi americani o agli altri italiani, un confronto che Fritz cercava spesso, giustamente. Quando sentii i pezzi di Neffa, Kaos, Joe e Inoki, e anche la strofa di Fabri, all’epoca considerato molto originale ma poco conosciuto, capivo che sarebbero stati apprezzati per lungo tempo. Il pezzo di Deda resta uno dei miei preferiti. Mettere insieme tutte quelle teste non era facile, generava un sacco di paranoie e i rapporti personali erano fondamentali per la riuscita dei pezzi e del disco.
Nell’album precedente io non c’ero, perché avevo iniziato a rappare davvero da poco. Quindi per me fu una prova importante, un momento di confronto; scrissi Street Opera a 19 anni, scartando parecchie volte le strofe e riscrivendole. Mentre molti cercavano la musicalità o la completezza dei pezzi, io ero focalizzato sulla metrica, in particolare sul fatto di esprimere più concetti possibili nel minor tempo, senza utilizzare extrabeat ma tenendo le parole il più serrate possibili, cosa che con l’italiano non è assolutamente facile come con l’inglese. Molte riflessioni venivano proprio dal tempo passato con Fritz, come quella citazione del Soldato Ryan; uscimmo dal cinema Odeon in piazza Duomo di notte, e pensavamo “pensa, noi siamo qui a inventarci faide fra reppettari e alla nostra età potevamo essere veramente in guerra, nascendo due generazioni prima”… Registrai da Bassi Maestro, a Fritz non piaceva particolarmente quel pezzo, ma perché lo avevo inciso gridando molto, rispetto ad altre strofe precedenti. E forse in effetti ora lo avrei interpretato in maniera diversa, ma lì la voglia di emergere era fortissima. Per anni non ho voluto sentire quel pezzo, ma poi ci ho fatto pace, ora mi sembra quasi che l’abbia scritta qualcun’altro. In generale, si percepiva che in quell’occasione tutti cercavano di scrivere il pezzo migliore che avessero mai fatto, o almeno ci provavamo. È una cosa che purtroppo ora vedo meno, i testi sembrano spesso più effimeri, destinati a durare poco. Ma spero che il tempo mi dia torto. Nella cover c’era un’outline di Mind, che era in crew con me in Lords of Vetra, e la grafica era di Dee Mo, che per me era una specie di fratello maggiore a cui chiedevo sempre consigli su tutto. Era bello sentirsi partecipi di un progetto così, anche se non ne capivamo del tutto l’importanza.
Quale disco diventa un classico lo decidono il tempo ed il pubblico, insieme ad altri fattori poco prevedibili. Di sicuro Novecinquanta ne aveva tutti i presupposti.
_________________________
TORMENTO (“Se non fumassi“)
“Novecinquanta” è stato un progetto così potente perché tutti noi gli abbiamo regalato qualcosa: è l’amore di tanta gente nell’idea di fare un progetto importante. Fritz non è mai partito con l’idea di fare delle hit, ma ha sempre saputo fare in modo che ognuno di noi cacciasse sui suoi beats l’anima più underground possibile. Ricordo che ai tempi Fritz era più con noi a Varese che a Milano, e vedevo proprio nascere il suo progetto: la vera forza di “Novecinquanta” è il fatto che c’erano pochi momenti di unione all’epoca e il disco sanciva musicalmente quest’unione. Del periodo ricordo momenti di grandi relax e svenimenti in studio, poi ripetuti quindici anni dopo con “Fritz” e col Civitelli steso a dormire sotto un Rhodes nello studio di Shablo ad Amsterdam.
________________
TURI (“Schiaffetto correttivo“)
Ricordo che nel ’99 facevo le jam a microfoni aperti, dove era possibile “rubare” il mic e rappare. Scrivevo sulle strumentali americane e quando uscivano progetti come “Novecinquanta” eravamo tra i ragazzini che aspettavano di vedere cosa faceva la scena rap italiana dell’epoca. Ci stavano su tutti i nostri artisti preferiti: ricordo che a Roma c’era parecchio fermento per il pezzo di Piotta e quello di Turi, un brano cult che tuttora è forte. Il fatto che sia arrivato fino a oggi un personaggio come Fritz, che abbia trovato una collocazione del rap moderno è bello. Per quanto riguarda l’Akai 950, sapevo che era uno strumento appannaggio di chi voleva un certo tipo di suono, e tra il ’97 e il ’99 erano pochissimi a saperlo usare, davvero in quattro-cinque.
__________________
MEDDAMAN
Penso che “Novecinquanta” sia uno dei progetti musicali più importanti per il rap italiano, un super classico. I beat suonano tutti di altissimo livello, con quel suono lo-fi che era tipico di quel periodo, tutto fatto di campioni funk e jazz sparati fuori dall’Akai 950. In più, cosa non facile, Fritz era riuscito a mettere insieme quasi tutti i rapper più influenti di quel periodo, i nomi grossi diciamo. Un bel ricordo che ho erano le “sfide” fra Fritz e Goedi a chi faceva i beat più fighi.
_________________
CLAVER GOLD
Ho un ricordo chiarissimo del giorno in cui ho avuto Novecinquanta di Fritz da Cat. Era una mattina di settembre del 1999, quando un amico più grande, che mi aggiornava sulle uscite rap, mi diede in mano la cassettina copiata di 950. Avevo 13 anni, non riuscivo nemmeno a pronunciare bene il nome di Fritz da Cat, ma tornai a casa contentissimo ed inserii nel mio piccolo stereo il nastro. Fu subito amore, rimasi particolarmente colpito da “Street Opera” di Bean, da Tormento e Kaos che già seguivo e da Dj Lugi. Solo in seguito ho apprezzato a pieno il concetto che gira intorno a quel prodotto. Ora posso dire che all’interno ci sono alcuni dei pezzi più “belli” ed emblematici che il rap italiano abbia mai partorito, uno su tutti “L’incognita” di Neffa, il mio pezzo preferito dei tutto il rap italiano. “Dopo noi la quiete” di Deda??? Il titolo già dice tutto! “Una minima”, innovazione totale e Fibra potenziato ai massimi storici, per non parlare di “Notte e Giorno” ancora oggi suonata alle jam, intramontabile! Ovviamente comprai il CD originale e anche il precedente di Fritz da Cat che custodisco ancora gelosamente. 950 è la massima esposizione della Golden Age del rap italiano, ascoltarlo a posteriori non avrà mai lo stesso impatto e le stesse emozioni che ascoltarlo nel ’99 – Insieme a “Sindrome di fine millennio” e “107 Elementi” è il mio disco preferito.
_________________
FFIUME
“Novecinquanta” era un disco ben congegnato, tutto sommato semplice da un punto di vista compositivo, loops ben tagliati ed incastrati su bei breaks di batteria. Come cura del suono per lo standard del tempo sicuramente una spanna sopra la media, calcolando che i big andavano a fare i master in America. Pensa a “Dalla Sede” o a “107 Elementi“, per fare un esempio. La grande forza di Fritz era la ricerca del sample, il diggin’. Orecchio per il campionamento, gusto, e caccia al rare groove. Senza paura di riusare robe già note. Anche perché per riusarle, a quelle cose dovevi arrivarci, fisicamente, oltre che musicalmente. Ai tempi il net non c’era, e per trovare i sample giusti dovevi scavare, sul serio. La perla per me il pezzo con Deda, un loop stratosferico di Isaac Hayes e Chico MD che performa quello che lui stesso considera il suo pezzo preferito. Classico.
___________________
2ND ROOF
Ovviamente è stato un disco importantissimo perché ha alzato il livello delle produzioni in Italia, consacrate dai migliori della scena di allora. Uno dei pochi dischi di rap italiano di quel periodo che non mi fa dire “ma cosa ascoltavo?“. Ai tempi avevamo 14 anni e allora non erano chiare le date delle uscite degli album e per un mese andai tutti i giorni da Ricordi in Galleria a Milano a chiedere se fosse uscito e ogni giorno mi davano la stessa risposta, dicendomi che non ce l avevano. Alla fine, spazientito, dopo mesi di ricerca rubai la cassetta di un mio amico e infine, non contento, gli rubai anche il CD che teneva in casa, che ancora adesso custodisco.
_________________
GOME ZETA
Un disco che mostra esaurientemente quale fosse il sapore di quell’epoca, non dico periodo perché sarebbe riduttivo. Consiglio “Novecinquanta” e la colonna sonora di Torino Boys per iniziare ad avere un quadro sonoro di quelle annate, da ascoltare sulla spiaggia di un notturno estivo, attorno a un copertone di delorian esausto.
___________
DJ 2P
“Novecinquanta” è sicuramente uno dei dischi che più mi ha avvicinato al rap italiano. Avevo circa 13 anni e ricordo di aver preso la cassettina inserto che davano con Aelle (che custodisco ancora gelosamente). Personalmente ritengo che canzoni come “Dopo noi la quiete“, “L’incognita” e “Cose preziose” siano tra i migliori brani del periodo che riascolto tutt’ora con piacere (e anche un po’ di nostalgia).
_______________
RES NULLIUS (CRAZEOLOGY)
Ripensando a “Novecinquanta” il primo ricordo che mi torna in mente è di me, tredicenne, che camminando per le vie di Milano, domando ad alta voce ad un amico come fosse “questo” Fritz da Cat a rappare. La figuraccia la ricordo ancora. In quel momento decisi di comprare il numero di AL in cui in omaggio c’era una cassettina demo con un paio di tracce estratte dal nuovo disco di Fritz (che avevo sentito tanto nominare, ma che ancora, artisticamente parlando, non conoscevo). Il passo fu breve, e Novecinquanta divenne la colonna sonora delle mie giornate a scuola. Riascoltandolo dopo tanti anni mi sono accorto di ricordare ancora la maggior parte delle tracce a memoria. Ha sfornato dei classici dell’hip hop italiano grazie alle collaborazioni sia di artisti affermati, sia di altri all’epoca emergenti. È riuscito a stendere tappeti rossi su misura per tutti i diversi mc e ha dato vita ad un album omogeneo (grazie alle sue batterie), ma vario nei tanti diversi mood. Il livello dei beat ha costretto gli mc a restare allo stesso livello. Il risultato è che se ne parla ancora dopo 15 anni.
_______________________
WEIRDO (CRAZEOLOGY)
Avevo 15 anni quando uscì “Novecinquanta“. All’epoca avevo iniziato ad affacciarmi al mondo dell’hip hop solamente da un annetto e la mia attenzione era concentrata esclusivamente sul rap americano. Fortunatamente un paio di anni dopo dei miei compagni del liceo, tra cui Res, mi fecero scoprire anche il rap italiano: Kaos One, Joe Cassano, DJ Lugi. Tutti questi artisti avevano collaborato con Fritz quindi scoprire la sua musica fu la naturale conseguenza. Che posso dire di “Novecinquanta” che non sia stato detto in precedenza? E’ un disco che mi piacque allora e che mi ascolto volentieri ancora oggi, in sintesi, un classico. Ora chiunque abbia un computer può mettersi a fare beats. Abbiamo a disposizione macchine con una memoria vastissima e la possibilità di installare svariati programmi, plugin, etc. Se penso ai mezzi che aveva a disposizione Fritz all’epoca (sistemi basati su pochi megabyte), beh il risultato finale è qualcosa di incredibile. Altro punto da non sottovalutare è che all’epoca non era possibile lavorare a distanza con gli artisti tramite internet. Fritz non ha dovuto concentrarsi solo sui beats ma ha anche dovuto fare diversi viaggi lungo lo stivale per incontrare tutti gli artisti che ha riunito nel suo disco. Dunque non solo gusto musicale e abilità tecnica ma sudore, passione, dedizione e tanta pazienza. Il lavoro di un maestro, chapeau.
____________________
a cura di Nicola Pirozzi