HipHop skillz

Francesco Paura – rimettersi in gioco dal 1998

Paura Darksing

Per capire al meglio “Darkswing“, il nuovo disco di Francesco Paura, tocca fare qualche passo indietro e ripercorrere i momenti salienti che hanno portato a tale risultato. Tornando agli esordi ufficiali, datati 1998 nell’EP “Troppo…” dei 13 Bastardi,  o “Persi nella giungla“, in cui si è esaltato a livelli tecnici e di flow assoluti (ascoltare, per credere, il brano-solo “Emissioni di flusso” o la terza strofa di “Jamm“).

Il lavoro collettivo inizia a stargli stretto, dunque abbandona rinfrancato la formazione con cui è cresciuto: “Octoplus“, nel 2006, è il primo progetto solista, col quale mantiene continuità col recente passato, grazie al classic taste di chi gli produce tutti i beats, Fabio Musta. Il 2009 è l’anno della svolta, con un singolo-bomba, “4 My People“, che preannuncia sonorità e mood che ritroveremo nel progetto Videomind con Clementino Tayone: un approccio che all’epoca fece storcere il naso, ma che è stato sincero anticipatore delle tendenze di oggi. Arriva il 2013 e “Slowfood” continua ad intercettare ed assorbire nuovi stimoli sonori e lirici – ma è con “Darkswing” che Francesco Paura completa il suo percorso con un disco completo, maturo e coerente, il culmine di una carriera intensa in cui ha sempre preferito mettersi in gioco.

FRANCESCO PAURA
RIMETTERSI IN GIOCO DAL 1998

++ Se dovessimo dare un hashtag a “Darkswing”, quello sarebbe #maturità.

“Darkswing” è il disco che ho fatto più vicino ai quaranta anni. Chiaramente le priorità cambiano e prima della maturità artistica viene la maturità umana, in particolare dopo vicende che mi hanno toccato personalmente e mi hanno fortificato.

“È il disco più vicino ai quaranta anni.
Non avrei potuto fare un lavoro diverso, in questo momento”

++ Come ad esempio il primo figlio.

Sì, sta per arrivare, ma non ha cambiato tanto la situazione. Ho fatto la corazza dopo la perdita di mio suocero ed altre vicende personali che hanno influito inevitabilmente sul concepimento del disco.

++ Dunque, com’è fare un disco hip hop da 40enne?

Credo di aver fatto un disco diverso da quello di qualche mio coetaneo.  Alcuni amici della mia stessa età mi dicono che “Darkswing” è l’unico disco rap che hanno fatto ascoltare a persone adulte che non masticano rap e questo per me è un grosso complimento.

“Il mercato lo fa la richiesta.
In Italia non c’è domanda di prodotti underground o alternativi”

++ Anche perché bisogna fare sempre più i conti con un pubblico di ragazzini.

Il pubblico medio dell’hip hop è fatto di ragazzini, è vero, e questo fa in modo che le major puntino su prodotti dall’ascolto più immediato. È la domanda di mercato che produce l’offerta ed in altri Paesi c’è richiesta anche di prodotti underground o alternativi, magari non come qui da noi.

++ Quindi produrre un album diverso da quanto è più vendibile al momento, è sinonimo di coraggio?

Beh, non sarei mai riuscito a fare un disco diverso, in questo momento.

++ Il tuo passaggio alla carriera solista ha avuto un taglio quasi netto col tuo passato. Sin dai primi singoli c’è stata questa esigenza di sperimentare, di innovare.

Non penso di essere mai stato incoerente col mio percorso. Credo che anche ai tempi dei 13 Bastardi fossimo innovatori, infatti tutti ci dicevano di stare facendo qualcosa di fresco. Poi da solista ho avuto modo di fare più di testa mia, sempre cercando di dare la mia impronta ad uno stile nuovo, dai primi singoli solisti passando per Videomind.

++ Un progetto che ha anticipato i tempi, bisogna ammetterlo. Qualcuno te ne rende merito?

Certo, non è passato inosservato. Abbiamo sempre avuto ascolti trasversali e da anni studiavamo le nuove tendenze, infatti siamo stati tra i primi in Italia a fare il rap su cassa dritta. Ritengo che un artista si senta appagato del proprio lavoro quando riesce in qualche modo ad anticiparle, le tendenze, anziché seguirle.


“È normale”, il primo singolo da “Afterparty”

++ Ormai si deve fare i conti con queste nuove contaminazioni, magari meno black ma più alternative.

È vero, è da stupidi mettere dei paletti. Ascolto la trap, ma so riconoscere quella di qualità da quella che fa schifo. Così come ritengo si debba fare i conti anche con l’indie rock, l’alternative. Amo El-P e i Run the Jewels, ma ascolto anche i Tobacco, che sono una band che spacca tutto e hanno anche una matrice hip hop, e anche Son Lux

++ Darkswing è il culmine del tuo percorso, il tuo miglior disco finora (e probabilmente, per una serie di motivi, un livello forse irraggiungibile in futuro).

Darkswing è diverso dagli altri perché è anzitutto un concept album. Ho cercato di dare coerenza ai testi e al suono, travestendomi anche da art director, scegliendo produzioni che fossero funzionali al progetto. Ad esempio Fid Mella mi ha inviato 6-7 beats da mani nei capelli, giuro!, ma ho preso solo il super beat di “Sogno loro”.


Ascolta “Sogno Loro”

++ Che, con “Overdrive”, è il pezzo migliore del disco.

Me lo dicono tutti. Casualmente sono i due brani che ho scritto di getto, davvero in un pomeriggio. Li sentivo dentro.

++ Anche se “Darkswing” è arrivato due anni dopo Slowfood.

Ma non ha avuto una gestazione così grande. Ho passato un momento in cui non riuscivo a esprimermi, non riuscivo a scrivere. “Darkswing” è nato in nove mesi, non sono mai dell’idea di strafare.

Paura darkswing 2

++ Nella tua evoluzione, mi pare ci sia stato anche un passaggio da “forte napoletanità” a “forte voglia di emergere da Napoli”.

L’altro giorno Danno mi diceva che si sentiva che era il disco di un napoletano, perché noi abbiamo insita questa tendenza al canto, ci nasciamo. Nell’album ci sono più cantati rispetto agli altri progetti. Speaker Cenzou, uno dei pionieri dell’hip hop napoletano, mi ha detto che mi trova una persona diversa da quella degli inizi. Per fortuna, direi! Io comunque sono sempre dell’idea che l’hip hop a Napoli rimane il più forte d’Italia.

++ Sei coerente, è una cosa che dici da anni. È più Napoli che si limita e non valica i confini, oppure più il panorama nazionale che la “ignora”?

Direi metà e metà. Un po’ noi napoletani ci siamo chiusi, abbiamo avuto poche aperture verso gli altri. Ma anche il resto del Paese ha snobbato l’hip hop che viene da Napoli. Credo sia stato un errore su cui negli anni ho riflettuto e cercato di porre rimedio, nel mio piccolo…

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Nicola Pirozzi



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