Fondamentali di disconnessione: come prenderci tempo per noi
Chiunque, in futuro, avrà il suo quarto d’ora di anonimato.
Potremmo modificare così la famosa citazione di Andy Warhol per poterci rendere conto di un fatto: la vita pubblica sta inghiottendo inesorabilmente l’esistenza privata, sottratta allo sguardo altrui. Non siamo quasi mai disconnessi, sempre reperibili, con il cellulare, lo smartwatch, il tablet, il computer appoggiati sul comodino, sul mobile del bagno mentre facciamo la doccia, sul tavolo quando pranziamo e ceniamo, e non c’è più un vero momento in cui la disconnessione ci permetta di prenderci del tempo per noi.
Tutto ciò è diventato per me motivo di preoccupazione qualche mese fa, dal momento che io con i social ci lavoro: mi sono accorto di non avere più nemmeno il “pensiero” di allontanarmi da essi in un dato momento, e me ne sono accorto leggendo Seneca. Infatti, il grande stoico romano, nelle sue lettere a Lucilio scrive una frase lapidaria: «Allontanati dalla vita pubblica appena possibile». Certo, Seneca lo diceva al suo discepolo non parlando di Facebook e Youtube, ma della vita politica, ma il concetto rimane perfettamente in piedi attualizzandolo alla nostra situazione: allontanati, appena possibile, dal “black mirror”.
Il consiglio di Seneca non ha però connotati morali, non si tratta di dire che chi riesce ad allontanarsene è una persona migliore, meno vuota o superficiale. Il consiglio di Seneca è una condotta pratica: più stai a contatto con il pubblico e più ti avveleni poiché sotto lo sguardo pubblico perdi il contatto con te stesso e in questo modo finisci per smarrirti.
D’altra parte Seneca non giunge alle estreme conseguenze degli epicurei, il cui motto fu “vivi nascosto”. Per Epicuro infatti le cose si fanno ancora più estreme: qualsiasi contatto con il pubblico, qualsiasi sguardo della collettività sull’individuo è da evitarsi, dal momento che in quella dimensione si finisce per diventare il lauto pasto del popolo. Epicuro aveva svariate ragioni per pensarla così: qualsiasi filosofo si fosse lanciato nella piazza, in passato, non aveva visto giorni migliori. Socrate era stato condannato da quella stessa piazza a cui cercava di consegnare una vita migliore e di maggior consapevolezza; Aristotele si era dato all’autoesilio per non finire come Socrate, e così altri filosofi avevano deciso di sottrarsi allo sguardo del pubblico, “disconnettendosi” dalla polis. Perciò, Epicuro aveva tutte le ragioni di voler vivere nascosto: il filosofo aveva solo un desiderio, ovvero quello che lo Stato, il popolo, la collettività e il pubblico lo lasciassero in pace a pensare, egli non chiedeva nient’altro. State lontani da me, tenete il vostro sguardo lontano dalla mia persona, lasciatemi libero!
Per Seneca non era questa la strada. La giusta via infatti era quella di camminare con una maggior cautela e con la massima consapevolezza sul delicato sentiero della vita pubblica, ben sapendo che essa è un veleno, ma necessario. Seneca stesso visse esposto e tutt’altro che nascosto: senatore, precettore di governanti e imperatori, figura di spicco sia politicamente sia intellettualmente, accusò spesso gli epicurei di pavidità. E il suo esempio è perfetto per capire che la strada di colui che vuole vivere serenamente e in modo soddisfacente non è nel vivere nascosto, nel compiere la scelta dell’oscurità, bensì nel sapersi adattare alla situazione che mi impone alcune scelte nella vita pubblica.
Leggere Seneca mi ha permesso prima di tutto di accorgermi di quanto poco tempo io dedicassi alla vita “fuori” dello sguardo pubblico. E questo non vale solo per chi con i social ci lavora, ma molto spesso vale per chi semplicemente si svaga: la reperibilità continua, il gesto ossessivo-compulsivo di controllare le notifiche, l’iperreattività ai commenti, alle critiche, ai post, e mille altri comportamenti che ci spingono sempre più tra le braccia della frenesia al tempo dei social. Non siamo più abituati a vivere nascosti e, per quanto sia appagante la vita nei social network, il nostro equilibrio ha un grande bisogno di sottrarsi a questa presa così inestricabile della vita pubblica.
Così, dopo aver letto Seneca ho iniziato a modificare la mia vita social. In primo luogo, il mio cellulare viene messo in modalità “aeroplano” dopo cena, in modo da permettermi di godere dei momenti serali con la mia fidanzata senza il pensiero di chi possa lasciarmi un commento isterico sotto a un video di Youtube, in cerca della mia reazione. Il telefono rimane in modalità “aereo” fino a mezz’ora dopo il mio risveglio al mattino, quando la mente si è ripresa dalla nottata e l’equilibrio comportamentale è più facile da mantenere (prima invece, appena sveglio, controllavo i social ancor prima di alzarmi dal letto, che cosa deleteria!). In secondo luogo, ho acquistato uno smartwatch dove mi arrivano, tramite tenue vibrazione, tutte le notifiche del telefono: in questo modo ho smesso di controllare lo schermo dello smartphone a ogni “bip” di notifica e ho diminuito del 70% il tempo in cui i miei occhi stanno incollati a esso. Un miglioramento netto della vita che mi permette di evitare la rottura di quei momenti di studio o di svago con il suono delle notifiche (e non tutte: le notifiche di Facebook le ho disattivate da tempo). Infine, ho preso la saggia decisione di ignorare i provocatori, coloro che desiderano una mia iperreazione con un commento: il web non può sottrarmi la mia serenità.
Tutte queste sono accortezze che, pur in ambiti diversi, troviamo in Seneca. Il punto non è quindi spegnere internet, come molti oggi suggeriscono seguendo il “vivi nascosto” epicureo, poiché la rete è un’opportunità straordinaria di miglioramento delle comunicazioni, di informazione e interconnessione. Il punto è che il potere sull’uso che ne faccio è tutto mio e mia è la responsabilità nel suo uso.
Torniamo ad avere un quarto d’ora di fama al giorno e torneremo a vivere, forse, un po’ meglio.