Fini-Giovanardi: un anno dopo la bocciatura della legge, cosa è cambiato in Italia?
E’ passato un anno da quando la legge Fini-Giovanardi è stata dichiarata incostituzionale. Un anno in cui, in assenza di una nuova legge, per altro a suo tempo promessa “in tempi brevi” dal governo Renzi, si è da una parte sancito in ritorno alla legge Iervolino-Vassalli del 1990, e dall’altra lasciato nel caos il sistema giudiziario, con giudici che, come vedremo, di fronte a una stessa condotta da valutare si comportano spesso in maniera tra loro difforme, relegando nell’incertezza il diritto e la sorte degli imputati.
IL QUADRO POLITICO-LEGISLATIVO ATTUALE. Come dicevamo alla bocciatura della Fini-Giovanardi non è seguita nessuna nuova iniziativa di legge complessiva sulle droghe e la sensazione, al di là delle dichiarazioni espresse anche dal governo all’indomani della sentenza di incostituzionalità, è che nel corso della legislatura nessuna nuova legge sulle droghe vedrà la luce. Troppo delicati gli equilibri di un governo, che per governare ha bisogno dei voti del partito di Alfano e Giovanardi, per metterne a rischio la sopravvivenza per una questione come quella sulle droghe, evidentemente considerata scomoda e, in definitiva, di scarso valore. Nel frattempo si è tornati alla Iervolino-Vassalli, legge voluta nel 1990 dall’ex premier Bettino Craxi e di stampo altrettanto repressivo, con l’attenuante di distingure almeno tra droghe leggere e pesanti (pene da 2 a 6 anni per le prime e da 8 a 20 anni per le seconde). L’unica modifica di legge è stata apportata con l’approvazione del Decreto Lorenzin, il quale ha abbassato la pena massima prevista per i reati relativi al “piccolo spaccio” (comma V della legge) a 4 anni. Nel frattempo cinque disegni di legge giacciono in Parlamento in attesa di una discussione sul tema, compresa quella proposta dal M5S ma, come dicevamo, le possibilità di vederle anche solo prese in considerazione entro la fine della legislatura sono veramente esigue.
LE RIPERCUSSIONI SUI PROCESSI. Altro capitolo sono le conseguenze della bocciatura della legge sui processi in corso, ne abbiamo parlato con l’avvocato Carlo Alberto Zaina, il quale attraverso la pagina facebook Stupefacenti e Diritto divulga quotidianamente notizie sul tema. “In linea generale potremmo dire che la bocciatura della legge non ha portato alcuna conseguenza reale sull’andamento dei processi – afferma – a parte il ritorno ai limiti edittali di pena previsti dalla legge Iervolino-Vassalli, con coseguente abbassamento da 2 a 6 anni per le pene relative alle droghe leggere”. Del resto, come è purtroppo tradizione italiana, e come avveniva anche negli anni della Fini-Giovanardi: “Quello che si nota è un andamento ondivago dei magistrati, i quali talvolta riconoscono l’uso personale nella coltivazione di poche piante di canapa, e quindi assolvono l’imputato, mentre altre volte procedono alla condanna, anche nel caso di condotte perfettamente analoghe”. Un’incoerenza di giudizio che ovviamente pesa come un macigno sulle spalle dei detenuti, i quali si trovano a dover confidare più spesso nella “tolleranza” del giudice che gli è capitato di fronte, piuttosto che nella certezza del diritto.
IL CASO DELLA RIDETERMINAZIONE DELLA PENA. Una delle conseguenze più ovvie della bocciatura della Fini-Giovanrdi avrebbe dovuto risiedere nella possibilità di una rideterminazione al ribasso della pena per chi era stato condannato per spaccio di droghe leggere. Pareva infatti pacifica la possibilità di richiedere la rimoduzione della condanna ricevuta in base alla vecchia normativa, che per le droghe leggere prevedeva una pena da due a sei anni, anziché da 6 a 20. Ma non sempre è così. “Quello che si nota – afferma l’avvocato Zaina – è l’atteggiamento di alcuni giudici a rifiutare la rideterminazione della pena nel caso questa rientrasse già nei limiti edittali della Iervolino-Vassalli”. In pratica accade questo: nel caso in cui un imputato fosse stato condannato a una pena inferiore ai 6 anni (il minimo previsto dalla Fini-Giovanardi) grazie al riconoscimentio di una o più attenuanti, alcuni giudici rifiutano di abbassare la pena tenendo presente il fatto che comunque sia essa rientra già all’interno dei limiti edittali della Iervolino-Vassalli. Parrebbe ovvio pensare che se all’epoca il giudice aveva stabilito di applicare il minimo della pena (6 anni), ora in base alla legge il giudice dovrebbe rianalizzare la condanna partendo sempre dal minimo di legge attuale (2 anni), ma ciò alcune volte non accade.