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Fenomeno Co'Sang

Era il 14 Febbraio 2012 e Luchè e Ntò affidarono alla propria pagina ufficiale Facebook l’annuncio dello scioglimento dei Co’Sang. “Dopo una lunga riflessione e per effetto delle diverse idee artistiche”, diceva il breve comunicato, “la separazione è sembrata la cosa più giusta da fare in modo da favorire le personali scelte artistiche dei suoi componenti”. In quell’anno sarebbe dovuto uscire, per altro annunciato, il terzo disco dei Co’Sang, dopo “Chi more pe ‘mme” del 2005 e “Vita bona” del 2009. Entro pochi mesi, invece, Luchè esordirà in solitaria con “L1” (Giugno 2012), mentre Ntò attenderà un anno per il suo “Il Coraggio impossibile”. Le carriere dei due, da quel triste 14 Febbraio 2012, non si sono più riavvicinate.

copertina rumore

Riconoscimenti

L’influenza di un disco come “Chi more pe ‘mme” fu palpabile fin da subito. Il tempo di evadere dalla periferia di Napoli in cui fu confezionato in maniera totalmente autoprodotta, che arrivò entro un anno alla distribuzione nazionale firmata Universal, alla copertina su Rumore e all’intervista di Roberto Saviano, nell’anno del suo “Gomorra”, su Repubblica XL. Riconoscimenti quasi mai raggiunti dal rap italiano, fino ad allora, e il risultato è ancora più sorprendente se considerato l’utilizzo del dialetto, che lo riduceva praticamente a nicchia nella nicchia. Le circostanze erano forse favorevoli, proprio per la lunga eco che “Gomorra” ebbe nei media nazionali (seppure il disco sia stato scritto e concepito prima del boom della faida), ma quel disco d’esordio di due ragazzi del sud seppe narrare con estrema crudezza la vita di un quartiere periferico come mai prima d’ora. L’urgenza di raccontarlo senza filtri o giudizi di merito, semplicemente sputando al microfono che ciò che pulsava fuori la finestra che affacciava sul rione era povertà, morte, ragazzi, morte di ragazzi, rabbia, droga, pistole e tarantelle. Vita. “Il nostro rap è un diario“, dicevano.


Povere Mmano
“Sono cresciuto prendendo la morte come un gioco”

Tra i maggiori endorsement ricevuti all’epoca spiccava quello dei Casino Royale, che nel proprio sito, linkando quello dei Co’Sang, li indicava come un misto di “EPMD e Pasolini. Vero e sano Hip Hop napoletano. Una qualità attesa da tempo. Giovani ma già maestri”. Mai definizione fu più azzeccata. In diverse recensioni dell’epoca, invece, ci si soffermava particolarmente sul sound granitico delle macchine di Luchè e sull’assoluta complementarità dei due al microfono – che rimandava al facile paragone coi Mobb Deep dal Queensbridge, che all’epoca rappresentavano il top dello street rap mondiale e della simbiosi col quartiere di provenienza. La critica accolse “Chi more pe ‘mme” con curiosità ed estremo rispetto, ma è nelle strade che Luchè e Ntò seminarono il successo più eclatante del loro album di esordio: “noi abbiamo il linguaggio che si parla in strada“, dissero in un’intervista che mi concessero a fine 2006 per Moodmagazine: “sentire che dei ragazzi hanno smesso di drogarsi perché ascoltando il disco si vergognavano, è stata la nostra più grande vittoria“. I Co’Sang hanno avuto l’enorme pregio di stare “dalla parte della gente, dalla parte delle emozioni“, senza l’etichetta di rapper schierati, politicizzati o anti-camorra.

Due napoletani che ce l’hanno fatta

I Co’Sang ce l’avevano fatta. Vuoi per l’incredibile riuscita di “Chi more pe ‘mme“, vuoi per le contingenze favorevoli, i due rapper di Marianella erano riusciti a venire fuori dall’autarchia tutta napoletana, talvolta auto-ghettizzante, diventando un fenomeno nazionale, senza alcun tipo di marchette o compromessi. Nella seconda intervista che ebbi la fortuna di fargli, pochi mesi prima di “Vita Bona“, arrivato a fine 2009, si avvertivano gli effetti del meritato successo e dell’inevitabile evoluzione personale: “stavolta non raccontiamo solamente. Parliamo di noi, di un riscatto personale e di una rivincita. Miriamo alla Vita Bona, affrontiamo in maniera diversa la problematica che ci spinge a fare rap“.


“Pure se parliamo ancora di ferri e la gente nostra è in galera
E’ a loro che va questo pezzo, guardando i video dalle celle
Se chiudo gli occhi li vedo ancora a Marianella,
E spero di strappar loro una risata
guardando due napoletani che ce l’hanno fatta ad avere un riscatto”

Sempre dalla parte della gente del rione, anche quando bisognava rapportarsi ad un uditorio più vasto. Nei quattro anni che hanno separato i due dischi, i Co’Sang sono diventati un fenomeno più ampio di quanto probabilmente si aspettassero e allora, dopo avercela fatta, i due iniziavano a prevedere un futuro “lontano da Napoli“, perché “vogliamo vedere il mondo“. Nelle naturali discussioni intercorse tra un lavoro e l’altro, è possibile immaginare che un forte accento sia stato posto sulla questione-dialetto, recepito come limitante ad un ascolto di stampo nazionale. “Vita Bona” riuscì ad essere il giusto compromesso tra la lingua napoletana e quella italiana e tra le visioni di entrambi, anche se, forse, qui iniziò a scricchiolare il sodalizio artistico che durava da ormai quindici anni. Nel 2013, ai tempi de “Il Coraggio Impossibile“, Ntò mi confermò che da parte di Luchè vi era la ferma intenzione di abbandonare il dialetto; quest’ultimo, prima che uscisse “L1“, ne faceva un discorso di apertura mentale e sincerità, poiché, arrivato a 30 anni, non si sarebbe più sentito a suo agio a fare “video nei palazzoni della periferia”.

Paradossi

Tra i rumors del periodo, quello più ricorrente voleva che il terzo disco dei Co’Sang, previsto per il 2012, sarebbe stato tutto in italiano. “Vita Bona” fu un disco solido e convincente, ma non ebbe la magia del primo: si avvertiva la sensazione di un work in progress, di una struttura non definita e più o meno ibrida, che potesse arrivare a più persone cercando di mantenere intatto lo spirito delle origini. In pochi si aspettavano quell’improvviso 14 Febbraio 2012, con l’ormai famoso comunicato, in cui non si faceva mistero che “è stato ritenuto più onesto intellettualmente nei confronti di chi li ha seguiti finora sospendere un lavoro non rappresentativo delle linee artistiche di entrambi“. Le discussioni arrivarono al limite e Luchè e Ntò decisero di interrompere il progetto, per onestà verso la gente cui si sono sempre riferiti, ma in primis verso se stessi e le rispettive volontà artistiche, oramai palesi.

“Mumento d’Onestà”, il manifesto dei Co’Sang

Quattro anni dopo il doloroso scioglimento, Luchè ha all’attivo due dischi, l’ingresso nel roster di Roccia Music e un’identità chiara, orientata ad un sound di respiro internazionale, per non dire moderno. Ntò ha pubblicato “Il coraggio impossibile”, un disco con uno stampo più melodico, e ha formato la crew Stirpe9, con cui è ritornato agli albori dello street rap nell’album di gruppo “Numero 9“. In italiano, o comunque nella nuova veste artistica, entrambi non hanno mai ripetuto quanto fatto con i due lavori sotto il nome Co’Sang, rimasta l’esperienza più gratificante e riuscita della carriera. Tanto meno la critica e i risultati numerici sono stati analoghi e appare altrettanto paradossale, infine, che il brano di uno dei due sia stato colonna sonora della serie tv “Gomorra“, pochi anni dopo il monologo chiarificatore di “Mumento d’Onestà“. Il miracolo Co’Sang, insomma, non si è mai più ripetuto e rimane tuttora uno dei migliori episodi del rap italiano di sempre.



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