Vivere nella fattoria dei sogni: la storia di Francesco Rosso
Google maps segna 257 chilometri. Da Roma, da cui non posso allontanarmi più di tanto per via delle restrizioni per il Covid, mi dividono poco più di tre ore di macchina dalla Fattoria dell’Autosufficienza nell’Appennino Romagnolo. È lì, ai confini del Parco delle Foreste Casentinesi, nella provincia di Forlì-Cesena, che mi riprometto di andare appena possibile per toccare con mano i diversi modi in cui oggi è possibile condurre uno stile di vita alternativo e sostenibile, in armonia con la natura.
La Fattoria nasce da un’idea di Francesco Rosso e della sua famiglia che in mezzo a un panorama mozzafiato praticano da anni ormai, giorno dopo giorno, l’agricoltura naturale, la bioedilizia e l’autosufficienza energetica, mostrando che un altro mondo è possibile.
«Si tende a pensare che tutto ciò non sia possibile perché non ci sono i soldi, ma questa è una bugia propagandata da chi detiene il potere» mi dice Francesco, già amministratore di Macrolibrarsi e coinvolto in diversi altri progetti coerenti con la creazione di una nuova società, un nuovo stile di vita finalizzato a un rapporto sano con noi stessi e l’ambiente. La sua ricetta è chiara, ma per nulla facile: «Non pormi limiti, non temere il giudizio degli altri, credere nella forza creatrice del pensiero, nell’amore e nella tenacia che metto in ciò che faccio».
Un sogno che viene da lontano
«Ho avuto la grande fortuna di essere accompagnato su questa meravigliosa Terra da una famiglia che ha scelto all’inizio degli anni Ottanta, prima della mia nascita, di vivere fuori dagli schemi comuni e fuggire dall’omologazione di massa.
Nascere in casa, essere allattato al seno, non essere battezzato e vaccinato, non avere televisione e dottrina, mangiare biologico quando ancora non esisteva la certificazione mi hanno spinto a sviluppare un forte spirito critico nei confronti di quello che ci viene proposto come “lo stile di vita americano”», mi racconta Francesco. È così che scopro che alle fondamenta della sua visione di mondo ci sono le sue stesse origini. Non un incontro, non un’epifania, ma una realtà di cui ha avuto esperienza fin da subito e da cui ha imparato che: «Come esseri umani abbiamo la capacità di creare paesaggi meravigliosi lasciando che la natura e la biodiversità si esprimano al massimo. Possiamo realizzare spazi di salute dove le persone malate in poco tempo possano rigenerarsi e soprattutto recuperare il contatto con la natura e con se stessi. Luoghi in cui si mangia cibo appena raccolto e coltivato con amore e senza veleni. Luoghi dove si usa il potere terapeutico delle piante e dei bagni di foresta. Luoghi dove i saperi millenari si fondono con le più moderne scoperte scientifiche per offrirci una vita appagante e in salute. Questi luoghi possono diventare le nostre case. Possiamo così unirci ad altre persone che cercano una sana socialità e pensare di iniziare a condividere il nostro tempo, i nostri talenti e tutto ciò che è veramente essenziale: la salute, la creatività, l’amore, i figli, la convivialità, il volontariato, l’attività fisica, la celebrazione della natura, e perché no, il sonno.»
La natura
Dopo mesi di confinamenti e paure, difficile possa esserci una prospettiva più allettante. Continua Francesco: «Amo profondamente il luogo in cui vivo, la possibilità di spaziare con gli occhi a tanti km di distanza, poter ammirare il cambio delle stagioni nei suoi dettagli, scaldarmi al fuoco, bere l’acqua buonissima che sgorga dal terreno, ammirare le piante che fioriscono, ascoltare i suoni della natura, raccogliere le verze sotto il ghiaccio e nutrirmi di cibo vivo. In ogni angolo di questo luogo traspaiono armonia e bellezza.» Ma la vita di campagna non è sempre rose e fiori e avviare un progetto come quello della Fattoria dell’Autosufficienza è stato tutt’altro che facile. «Non nascondo che più volte è successo di chiedermi se tutto ciò avesse senso. Quando sono partito, non avevo risorse economiche e contavo molto sugli aiuti pubblici che ovviamente non sono arrivati, creandomi frustrazione ancora prima di iniziare. Decisi quindi che non avrei contato sugli aiuti pubblici e sarei andato avanti con le mie forze recuperando la serenità persa. Ma quando un giorno ti svegli e il vento o la neve hanno distrutto ciò che hai realizzato con grande impegno; quando perdi un intero raccolto; quando sotto la pioggia incessante cerchi di liberare un fosso che si è otturato; quando torni a casa la sera e fa un freddo cane perché devi ancora accendere la stufa; quando ti accorgi che sono 3 mesi che non ti prendi una mezza giornata libera; quando le istituzioni sembrano si siano messe d’accordo per impedirti di fare quello che ti serve per la tua terra, comprendi che la tua non è una scelta facile.»
L’autosufficienza
«Oggi nella Fattoria non usiamo farmaci, vaccini, concimi e pesticidi; consumiamo l’acqua che proviene dalle nostre sorgenti; ci riscaldiamo con la legna dei nostri boschi; produciamo gran parte dell’energia che consumiamo; autoproduciamo ortaggi, frutta, cereali, legumi, miele, uova e tanto altro. Insieme a un gruppo di amici abbiamo costituito una comunità di territorio, al cui interno ci auguriamo di poter presto incrementare ulteriormente la nostra autosufficienza.» Tantissimo lavoro in vista del più alto degli obiettivi, la libertà, come sottolinea Francesco: «Essere autosufficienti per me vuol dire essere liberi. Essere non autosufficienti significa essere dipendenti, e solitamente lo siamo da un piccolo gruppo di multinazionali che non ha a cuore il nostro benessere ma piuttosto i loro profitti. Questo comporta che, oltre a essere solitamente malati e infelici, siamo estremamente vulnerabili e la nostra resilienza è bassissima in quanto dipendiamo da loro.»
Il consumo critico
Durante la nostra chiacchierata Francesco torna spesso sul concetto di malattia e di come cerchi con le sue attività e il suo esempio di spostare l’attenzione sulla salute. L’ha fatto ad esempio lo scorso novembre organizzando una camminata nel bosco per porre l’accento sulla liceità di alcune scelte dall’alto per contrastare la diffusione del Covid. Un’iniziativa in piena sicurezza, dimostrativa, per far riflettere, dice, e coltivare l’abitudine a farsi domande, uno strumento potente anche al momento degli acquisti: «Ogni volta che scegliamo di acquistare qualcosa o che utilizziamo una piattaforma o un servizio stiamo votando per questo. Se qualche miliardo di persone si riversa su Facebook, stiamo votando per la società che si immagina Zuckerberg. Se acquistiamo prodotti cinesi, stiamo votando per la globalizzazione e la distruzione dell’economia locale, ecc. Quale mondo stiamo creando grazie ai nostri acquisti?»
La disobbedienza civile
«Quando avevo 7 anni i vigili del comune di Sogliano sul Rubicone mi aspettavano fuori dall’ingresso di scuola perché non potevo entrare. Ero pericoloso per i miei compagni di classe in quanto non vaccinato. I miei genitori decisero di non obbedire a una legge contraria alla Costituzione italiana e infondata per gli studi approfonditi che avevano fatto.
Per due anni fui allontanato da scuola. Rischiarono di perdere la patria potestà ma alla fine vinsero. Fui riammesso a scuola con un certificato di ottima salute e per i miei fratelli più piccoli non ci fu alcun richiamo. In tanti decisero di seguire la stessa strada e, grazie ai miei genitori e a molti altri che non obbedirono, di fatto le vaccinazioni oggi sono fortemente consigliate, ma non più obbligatorie. Ringrazio ogni giorno i miei genitori per questa scelta coraggiosa che fecero allora e mio figlio può stare certo che non accetterò che ci siano tolte le libertà e i diritti fondamentali da un governo tecnocratico internazionale. Come disse Ghandi, la disobbedienza civile “è un diritto naturale a cui non si può rinunciare senza rinunciare al rispetto di se stessi”». E chissà a quanti, leggendo la storia di Francesco Rosso, sarà tornata in mente anche un’altra esortazione del Mahatma: «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».