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Per Facebook non si può dire che la “cannabis può essere usata per la cura o il trattamento di malattie”

Quando abbiamo ricevuto il messaggio, abbiamo fatto fatica a crederci, ma invece è tutto vero

facebook canapa censura cannabis terapeutica

“Esempio di pratiche che non consentiamo: suggerimento che la cannabis può essere usata per la cura o il trattamento di malattie”. È un messaggio che ci è stato recapitato direttamente dal bot di Facebook, dopo un nostro post, che ci ha lasciati basiti.

A parte che il post in questione non era in tema di cannabis terapeutica, e che nei 20 anni di nostre pubblicazioni di articoli, speciali e testimonianze sul mondo della cannabis in medicina ne abbiamo pubblicati a centinaia, usando anche i social network da una decina di anni abbondanti ad oggi, è proprio il senso del messaggio che ci sfugge.

FACEBOOK E LA CENSURA SULLA CANNABIS

facebook censura cannabisLa comunicazione, inizialmente, era una di quelle classiche in cui la piattaforma segnala una possibile violazione delle norme (che noi per l’ennesima volta non abbiamo violato), specificando cosa si possa fare e cosa no su FB. Fino a quel messaggio, che ripetiamo: “Esempio di pratiche che non consentiamo: suggerimento che la cannabis può essere usata per la cura o il trattamento di malattie”.

Ora. Va bene tutto, per carità. Su Facebook e altri social network non è la prima volta che si abbatte la censura, né per un nostro post, né per la canapa in generale. Siamo in un periodo storico in cui vale tutto e il contrario di tutto, la disinformazione dilaga, il giornalismo classico scricchiola sotto i colpi di fake news e post verità, le parole perdono di significato e non abbiamo più certezze. Soprattutto per quanto riguarda la canapa, e in particolar modo nel nostro Paese, dove, in due giorni, con un decreto migliaia di agricoltori sono stati trasformati in criminali e il CBD, molecola non psicotropa, è diventato un farmaco stupefacente.

LA CANNABIS TERAPEUTICA È MEDICINA

Ma ci sono dei punti fermi che nemmeno il Grande Fratello può cancellare. La cannabis terapeutica è una medicina, utilizzata da migliaia di anni e con testimonianze nelle culture più lontane tra loro, oltre tutto oggi legittimata da una legge dello Stato italiano, e di molti altri che ne hanno legalizzato l’uso in medicina.

La stessa Oms ha riconosciuto le proprietà mediche della cannabis nell’ormai lontano 2020, dopo un processo durato anni (aveva anche stabilito che il CBD non è stupefacente e che non dovrebbe essere inserito in nessuna tabella a livello internazionale, ma questa è un’altra storia).

Ora che uno tra i social network più utilizzati al mondo, che noi cerchiamo di utilizzare per fare dell’informazione sana, indipendente e senza filtri, arrivi a questo punto, dovrebbe farci fermare tutti a pensare. Perché qui, una delle multinazionali più grandi al mondo, che nel nostro Paese non paga nemmeno le tasse, viene a dire a noi, giornalisti e professionisti, che non consente che venga “suggerito” che la cannabis può essere usata per la cura o il trattamento di malattie.

Ma qualcuno si rende conto della gravità di questa cosa? Una multinazionale con interessi miliardari in diversi campi, che incrociano anche la salute, viene a dire a una testata giornalistica che non può “suggerire” che la cannabis possa essere usata a livello terapeutico. Perché? Perché le persone che provano la cannabis terapeutica, nella stragrande maggioranza dei casi, smettono di prendere i farmaci “tradizionali” che, oltre a non risolvere il problema per cui li prendevano, causavano loro diversi effetti collaterali. Tradotto: con la cannabis terapeutica, le multinazionali del farmaco, perdono miliardi e miliardi di profitti.

Il conflitto di interessi tra una piattaforma privata che ha una funzione pubblica non è mai stato affrontato, ma forse sarebbe giunta l’ora di farlo. Perché sui social network oggi si informa la stragrande maggioranza dei cittadini, senza nemmeno immaginare che quello che loro vedono è filtrato da bot e da persone che stanno lì apposta a rimuovere i contenuti che qualcuno ha ordinato loro di cancellare.

 



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