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Fabri Fibra – Guerra e Pace (recensione)

guerraepaceAnticipato dalla solita mistura di singoli viral (L’italiano balla), mixtape amarcord (Rima dopo rima) e ep in free download (Casus Belli), arriva il settimo disco in dieci anni per Fabri Fibra. L’ottavo, considerando l’estemporaneo RapStar con Clementino. Guerra e Pace giunge nel momento di massima esposizione dell’hip hop italiano nei canali mainstream, laddove curiosamente mancava proprio un lavoro del personaggio mediaticamente più imponente del nostro rap. E, sinceramente, ci giunge con un messaggio talmente forte da spiazzarci. Chi si aspettava un Fibra ringalluzzito dal successo di un movimento che lui stesso ha portato per mano verso i grandi numeri, dovrà ricredersi in un paio di ascolti.

Guerra e Pace è la dicotomia emotiva che ne è ovvia conseguenza: da un lato ci mostra il Fibra orgoglioso e con una scorza talmente compatta da poter rifiutare gli assegni a vari zero di Sanremo e co..  E tanto forte da dichiararlo con la rituale sorniona nonchalance. Coerenza, non v’è dubbio. E poi, invece, palesa l’altra faccia della medaglia del successo, ovvero la quasi completa alienazione dalla scena e la conseguente solitudine di chi ora è visto solo come personaggio, non più persona. Fibra risponde mettendosi a nudo, e probabilmente per la prima volta dà voce a Fabrizio Tarducci, piuttosto che al suo alter ego artistico. Una forma di debolezza? Affatto. Il punto di forza di una riflessione che dovrebbe fare proseliti.

Fibra non ha certo dimenticato di parlare ad un pubblico socialmente intorpidito che intende risvegliare coi suoi canonici quanto diretti e popolari slogan (che, manifesti o velati, sono in tutti i brani del disco, anche in quelli apparentemente disimpegnati). Né tanto meno di coordinare ritornelli terribilmente ficcanti: ma queste sono sensazioni più o meno temporanee, si presume che a rimanere più a fondo sarà proprio la sensibilità e l’umanità di un ragazzo che ha raggiunto straordinari successi, ma ne ha conosciuto anche il carattere altamente spersonalizzante. Dal punto di vista lirico, Fibra si conferma l’assoluto re della similitudine: in Guerra e Pace, inoltre, non manca un pizzico di follia à la MrSimpatia (A me di te, vomito sul malcapitato Valerio Scanu), una discreta dose di rime che stupiscono per banalità ed i suoi flussi di incoscienza.

Stilisticamente Fibra pare risentire dei nuovi influssi della scuola americana, con un sound dall’ampio respiro che attinge a piene mani dall’elettronica e dal pop, riecheggiando quel minimo di dubstep che la attuale tendenza richiede. Non a caso, il monopolio dei producers presenti è straniero (gente che ha collaborato con Outkast, Pharoahe Monch, Talib Kweli, The Game, Rick Ross, Kid Cudi…), con le uniche eccezioni nostrane firmate Neffa e ancora una volta Michele Canova Iorfida, produttore artistico prestato dal pop italiano. Il suo flow è sempre di livello, prestandosi sia ai rituali incastri e all’extrabeat che ad un approccio più riflessivo, psichedelico, condito da pause per adagiarsi su bpm più bassi dove sinceramente non si lascia preferire.

In conclusione, Guerra e Pace ha almeno tre gran bei pezzi: la title track, Che Tempi con Al Castellana e La Solitudine dei Numeri Uno; a parte rare eccezioni, su un totale di ben venti tracce, difficilmente viene voglia di skippare. Non sarà un capolavoro, né un album memorabile da tramandare ai posteri: però è un disco fortemente suo che solo una personalità così poteva progettare. Probabilmente, il lavoro con cui l’hip hop italiano si affaccia realmente al pop.

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Nicola Pirozzi



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