Ex maresciallo coltiva cannabis per “rivendicare il proprio bisogno terapeutico”
"La mia è una necessità terapeutica", spiega Alfredo Ossino. Lo studio legale che lo segue: "Non è reato"
Quello di Alfredo Ossino è l’ennesimo caso di paziente di cannabis terapeutica in Italia costretto ad autoprodursi la propria terapia, perché lasciato a secco dallo Stato.
Per chi non ricordasse la sua storia, Alfredo è un ex maresciallo della Guardia di Finanza, congedato nel 2007 per motivi di salute. Che, dopo quasi 7 anni di oppiacei risultati inefficaci per trattare il suo dolore cronico neuropatico, è tornato a vivere grazie alla cannabis.
Purtroppo però, il nostro Paese non assicura puntualmente ai suoi pazienti i prodotti che gli spettano secondo licenza medica. Costringendoli in alcuni casi a rivolgersi al mercato nero o, in casi estremi, a coltivare la propria terapia, con tutti i costi e i rischi che ne derivano.
Ed è questo il caso di Alfredo Ossino. Che dopo aver tentato qualsiasi strada, sia legale che illegale, per far fronte ad un dolore quotidiano che non gli lascia tregua, si è trovato costretto a coltivare la sua cannabis terapeutica.
“La mia non è una sfida al sistema giudiziario, ma un’esigenza terapeutica“, ha dichiarato Ossino a Dolce Vita. Che ha reso pubblica la sua piccola coltivazione di due piantine di cannabis, destinate esclusivamente ad uso medico e personale.
“Quella di Alfredo Ossino infatti non è un autodenuncia, perché questa implicherebbe la commissione di un reato – ha tenuto a precisare l’Avvocato Lorenzo Simonetti di Tutela Legale Stupefacenti a DolceVita – ma una rivendicazione pubblica del suo bisogno terapeutico“.
COLTIVARE CANNABIS PER RIVENDICARE IL BISOGNO TERAPEUTICO: IL QUADRO DELLA SITUAZIONE
Nell’odissea che ogni paziente deve affrontare in Italia per assicurarsi la propria terapia, la situazione (già grave) per Alfredo Ossino culmina all’inizio di quest’anno. Quando la fornitura di febbraio 2024 viene evasa solo il 19 marzo 2024, con quasi un mese di ritardo.
Costante non puntualità che ancora oggi lo costringono ad interrompere il trattamento di continuo, peggiorando il suo stato di salute. O a sostenere i costi della terapia, recuperata mediante canali legali o illegali, che invece dovrebbe essere a carico del SSR (Servizio Sanitario Regionale).
“Per me tutto questo è diventato insostenibile sia sotto il profilo economico che emotivo”, ha dichiarato l’ex maresciallo della Guardia di Finanza.
Perché Ossino, oltre alla cannabis medica, deve anche fronteggiare le spese di carburante necessarie per “fare avanti e indietro da Catania e Messina”. Dove l’ASP (Azienda Provinciale Sanitaria) dovrebbe provvedere, almeno in teoria, al suo piano terapeutico.
Sono queste e tante altre le motivazioni che, infine, lo hanno spinto a coltivare la propria cannabis in casa. Pratica che però la nostra legge non permette. Ed è qui che entra in gioco il supporto dello studio Tutela Legale Stupefacenti.
LA CINTURA PROTETTIVA DELL’USO PERSONALE ESCLUDE LA RESPONSABILITÀ PENALE
Gli avvocati Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti non possono e non vogliono autorizzare o istigare alcun comportamento illegale, ma hanno semplicemente raccolto il disagio di Ossino e hanno spiegato a Dolce Vita che, nel caso gli agenti operanti dovessero sequestrare le piantine, si rivolgerebbero immediatamente all’autorità giudiziaria per richiederne la restituzione.
Parallelamente, difenderebbero il loro assistito in punto di responsabilità penale, che per Simonetti non ci sarà. In quanto, “tutto quello che sta coltivando il sig. Ossino sarà tenuto all’interno della cintura protettiva dell’uso personale“.
Ciò significa che tutta la cannabis autoprodotta servirà esclusivamente a soddisfare il suo bisogno terapeutico.
“Il sig. Ossino non ha né la necessità né l’interesse di spacciare, perché è un paziente”, evidenzia ancora Simonetti. Peraltro il numero delle piantine, che si riduce a due, “è un numero modestissimo che può essere valutato come destinato ad uso esclusivamente personale. In questo caso terapeutico”.