Ernia: il rapper alla ricerca della felicità che uccide gli stereotipi
Il suo stesso nome racconta tutto il dolore di una rinascita, di chi è tornato per prendersi la propria rivincita. Ernia, definito come il volto cupo della trap italiana, canta senza autotune mantenendo allo stesso tempo l’attitudine arrogante del rapper di periferia unita ad uno stile che sa diventare aulico e poetico. All’anagrafe Matteo Professione, classe 1993, è nato e cresciuto a Milano muovendo i suoi primi passi nel rap insieme alla Bonola Family.
Dopo l’esordio con i Troupe d’Elite, con un clamore mediatico pari alla ferocia delle critiche ricevute che porteranno il gruppo a sciogliersi, mentre Ghali intraprende la carriera solista, Ernia se ne va a Londra e pensa di mollare la musica.
Il ritorno sulla scena arriva nel 2017 con il primo album ufficiale “Come unccidere un usignolo” al quale seguirà un nuovo capitolo, sotto major, “67”, un doppio cofanetto con collaborazioni del calibro di Guè Pequeno. “L’ultimo periodo”, ha raccontato il rapper attualmente in tour nei principali club italiani, “è stato caratterizzato da anni duri e intensi in cui ho avuto modo di riflettere molto. Come uccidere un usignolo/67 è la perfetta sintesi in musica del vissuto proprio degli ultimi anni. L’insoddisfazione per una società molto spesso superficiale mi ha spinto a dar voce agli occhi dei moltissimi giovani che tutti i giorni affrontato difficoltà nel raggiungere i propri obiettivi, disgustati da una società spesso vuota e priva di valori”.
Si può fare rap impegnato, consigliando ai più giovani di non mollare la scuola, mantenendo un’attitudine street?
Ma se parli con chiunque della scena rap ti dirà che i giovani non dovrebbero mollare la scuola, a prescindere dall’essere street o no.
E’ vero che i Troupe d’Elite sono nati dopo che hai dato una testata a Ghali in seguito ad un litigio?
È nata circa un anno dopo il fatto della testata.
Nel disco nuovo c’è una domanda aperta in cui chiedi all’ascoltatore se farebbe mai del male a qualcosa di innocuo. Il paragone è alle critiche feroci subite coi i Troupe d’Elite? Ed il pensiero conseguente è che ritieni foste innocui?
Non eravamo innocui? Non mi pare di aver mai ferito nessuno o colpito qualche categoria. Eravamo innocui. Abbiamo però messo la pulce nell’orecchio al pubblico del rap italiano che si poteva fare rap senza dover seguire passo passo quello che facevano i più grandi da più di 20 anni. Tre anni dopo di noi iniziava il fenomeno Sfera Ebbasta, e ora tutti fanno quello che cercavamo di fare noi già anni prima. Siamo stati attaccati ingiustamente con molta cattiveria gratuita, l’utilizzo spropositato della rete molto spesso porta le persone sempre e comunque a scrivere di ogni cosa. Sciolto il gruppo io sono andato a Londra dove ho vissuto un paio di anni e dove ho cercato di prendere il meglio sia a livello personale che professionale. A tal proposito invito i giovani finito il liceo a viaggiare per aprire la mente e vedere realmente cosa c’è fuori.
Dalle tue canzoni emerge sempre il tuo amore per le parole: da dove arriva? E cosa sono per te, un mezzo per esprimerti o un’arma da limare e calibrare?
Bah sai vengo da una famiglia abbastanza istruita, son sempre riuscito ad esprimermi molto bene fin da piccolo, e questo ha fatto si che io occupassi sempre posizioni di leadership nei contesti più disparati. Le parole sono un’ottima arma.
Hai da poco pubblicato un doppio album prodotto da Thaurus e Universal ed iniziato il nuovo tour. E’ la tua rivincita?
Sto iniziando a scrivere l’album ufficiale, la mia rivincita arriverà con gli anni.
Possiamo definirti come un rapper alla ricerca della felicità?
Tutti gli uomini sono alla ricerca della felicità, chi la trova è perché si rassegna.
Hai già raccontato che il titolo come uccidere un usignolo fa riferimento al titolo originale de Il buio oltre la siepe (How to kill a mocking bird). Ma qual è invece il riferimento a 67?
Ho chiamato 67 la repack perché l’album si chiamerà 68, e quando uscirà spiegherò perché 68.
A chi ti ispiri quando scrivi e quando canti?
Ci sono una miriade di artisti che mi piacciono, in America adoro Kendrick Lamar, J Cole, Isaiah Rashad (che sono poi quelli che vendono di più). Per quanto riguarda gli artisti italiani io son cresciuto coi Club Dogo, quindi sono ancora molto ispirato da Guè Pequeno e Marracash, ma mi piacciono molto anche Noyz Narcos da Roma e Luchè da Napoli. Al di fuori della sfera Hiphop mi sono ispirato ad alcuni scrittori come Baudelaire e Harper Lee.
Chi è il rapper o il personaggio famoso che vorresti dissare? E come inizieresti?
Disserei l’80% delle persone su questo pianeta, o li disso tutti o nessuno, quindi non mi preoccupo neanche di trovare la frase con la quale iniziare il diss.
Come sta andando il tour live?
La dimensione live è quella che preferisco di gran lunga, l’emozione e l’adrenalina sono alle stelle e sul palco dai il meglio di te. Andremo avanti fino alla primavera per poi proseguire con le date estive… l’interesse è tanto e il pubblico molto caldo.