Ensi per la legalizzazione: “Portiamo la marijuana lontano dal mercato nero”
Lingua affilata, flow travolgenti e improvvisazioni torrenziali: sono il marchio di fabbrica di Ensi, rapper cresciuto all’ombra della Mole Antonelliana che da Torino si è fatto conoscere in tutta Italia a colpi di incastri metrici e vittorie nei vari contest di freestyle (resta epica la vittoria contro Clementino al 2theBeat del 2005, che gli ha poi portato via il titolo in finale l’anno successivo) rimanendo fedele alla cultura che rappresenta nonostante una continua e sorprendente evoluzione.
Esploso nell’underground italiano insieme ai OneMic ha poi proseguito la sua carriera solista sfornando singoli, mixtape e dischi, con l’ultima perla uscita l’anno scorso con il titolo “V”.
Oggi che per tutti è Enzino, nonostante si chiami Yari, abbiamo passato insieme un pomeriggio per darvi modo di conoscerlo più a fondo, anche nel suo rapporto con la cannabis, tematica da sempre presente nei suoi dischi.
Sono passati 10 anni dal tuo primo disco e quasi 20 dal tuo esordio col microfono in mano. Come sei cambiato e com’è cambiato il rap in Italia?
Io sono cambiato perché sono diventato grande. Già intorno alla ventina avevo diverse responsabilità, vivevo fuori casa e mi arrangiavo alla grande, però quando arrivi ad avere una persona che ha bisogno di te 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per 365 giorni l’anno, perché sono diventato papà, è la linea che ti fa capire che ti devi prendere seriamente cura di qualcun altro. Nella mia vita personale è successo di tutto, sono stati anni intensi e nel rap italiano altrettanto. Cambiando io a livello anagrafico, filtrando attraverso la musica e non solo tutte le esperienze che mi sono successe nella vita ho costruito il mio bagaglio che oggi riesco a trasformare in musica; il rap italiano oggi è quello che sognavo da ragazzino: ormai è dappertutto, ha attecchito sotto ogni punto di vista e tessuto sociale, mentre una volta il cosiddetto genere di nicchia dovevi andartelo a cercare scavando nei buchi. Io sono il frutto artistico di quegli anni, della grande depressione tra la fine nei ’90 e l’inizio del 2000. Ad oggi ho visto davvero fare due giri di pista a questa musica e riesco con l’esperienza ed il gusto a trovare il mio posto ancora oggi in questo ambiente e ne sono molto contento: se sommiamo quello che uno vive parallelamente a tutte le evoluzioni che fa questa musica non sempre è facile restare on point. Io oggi sono ancora qua a dire la mia e quindi sono contento.
Ensi e la cannabis: “Un contenitore immenso di saperi” from Dolce Vita magazine on Vimeo.
Tra l’altro da poco insieme ad altri colleghi avete lanciato TRX Radio, ci racconti qualcosa in più?
È un progetto in cui sono stato coinvolto, con grande felicità, da Paola Zukar che ha creato un parterre di grandi nomi: oltre a me ci sono Clementino, Fabri Fibra, Gué Pequegno, Marracash e Salmo, quindi 6 facce che non solo hanno qualcosa da dire e credibilità nel dirlo, ma che nel loro settore ne hanno viste parecchie. Inoltre unire tutte queste persone è già sinonimo di quanto noi crediamo in questo progetto e quanto sia grande per noi. Oggi viviamo un momento dove il rap italiano ha attecchito ovunque, dopo anni di battaglie in cui abbiamo fatto di tutto perché ciò accadesse – e non è stato facile – però la diffusione non ha prodotto da parte dei media tradizionali dei contenitori che potessero gestirlo con serietà, e non abbiamo mai avuto un punto di riferimento come quello che può essere TRX Radio. È un’applicazione semplicissima, scaricabile gratuitamente in cui viene passata musica 24 ore su 24 scelta principalmente da noi e che è al 99,9% rap: la nostra musica, scelta da noi per le persone che ci ascoltano. Condividere con la community che è interessata a questo tipo di musica anche quello che noi pensiamo, è il valore aggiunto del progetto.
Con Raige e Raiden vi sentite ancora? Avete qualche progetto in ballo?
Al primo aprile di quest’anno ho annunciato un nuovo disco dei OneMic sui social: nei commenti solo lacrime, naturalmente era un pesce d’aprile. È cambiato tutto, siamo diventati grandi e ci siamo allontanati musicalmente e geograficamente. La cosa bella dei OneMic è che siamo venuti fuori insieme perché stavamo insieme nella realtà, poi negli anni ognuno ha preso la sua strada. Al momento non la vedo come una cosa a breve termine, anche se ci volgiamo bene e siamo una famiglia, ci siamo sempre l’uno per gli altri.
Nel tuo ultimo disco, “V”, canti a tuo figlio che avresti voluto vederlo nascere in un mondo migliore. Ma in passato hai anche detto che il rap non cambierà il mondo. Tu come credi che si possano cambiare le cose?
Domandone! Se avessi le risposte forse sarei in un altro posto e non seduto su questa sedia per questa intervista. Quando dico che il rap non cambierà il mondo (nel pezzo “L’alternativa”), canto “il mondo non lo cambierà un disco che vuoi farci, se non ci è riuscito Legend di Bob Marley”. Tutti pensano che il rap si debba caricare di un certo tipo di messaggi e io sono legato a questa visione del rap, che è stato un mezzo fortissimo per far sentire la propria voce. Però non è solo questo. C’è il rap politicamente attivo e socialmente utile, ma ci sarebbe anche il rap per fare festa, fare casino e fumarsi le bombe, che fa parte di questa cultura. Quando dico a mio figlio questa cosa è una visione molto più critica e molto più umana, che c’entra meno con la musica. Io non saprei cosa c’è da fare per cambiare completamente, sicuramente c’è un velo di indifferenza che è la barriera più grossa da abbattere.
Non ci sono tanti rapper papà in Italia: secondo te è perché avere un figlio può rovinare l’immagine del cantante “maledetto”?
Il rap che ha sempre fatto rumore è stato quello un po’ più frivolo, da sempre. Raccontare di essere un padre di famiglia con una vita normale non so quanto possa essere interessante, a meno che tu non sappia trasformare bene questa cosa. I miei riferimenti, e penso a Nas, che ha dedicato un pezzo alla figlia, mi hanno portato a ragionare sul fatto che questa musica è cresciuta e sono cresciuti anagraficamente anche gli ascoltatori, inoltre ho sempre filtrato la mia vita attraverso il rap e sarei un ipocrita a non parlare di questo aspetto. Ci sono colleghi che evitano di parlarne per scelta o altri per malizia per tenere un immaginario “adolescenziale”, visto che il grosso del pubblico è questo; io invece punto ad un pubblico di Milf e non vedo l’ora che tutte le madri con figli vengano ai miei concerti (sorride, ndr).
Nell’ultimo disco c’è anche un pezzo dedicato al mito del 4.20 ed alla cannabis più in generale, tematica che hai trattato spesso in questi anni. Che approccio hai tu con la cannabis? Come si è evoluto nel tempo?
Io ho iniziato a fumare tardi, sia sigarette che altro. Ho iniziato prima con le bombe perché la mia signora non sapeva chiuderle e quindi la chiudi e gliela dai, poi la chiudi l’accendi e gliela dai e alla fine la chiudi, l’accendi, la fumi tutta e non gliela dai e ne fai un’altra: questa è più o meno la storia di come è andata. Tra l’altro a discapito di tutti i miei amici, grandissimi professionisti di rullaggio e atterraggio, che in anni di panchine non sono mai riusciti a farmi fumare. Quindi ho iniziato tardi ma ho recuperato il tempo perso! Il mio approccio è quello di un piccolo rituale quotidiano che purtroppo avviene più volte e in più momenti del giorno, però il mio utilizzo della sostanza è dedicato anche al tipo di vita che faccio: si sposa tanto con la mia creatività e mi lascia anche la possibilità di trovare la giusta ispirazione, ma non ho quella bava alla bocca da ragazzino che vuole fumare giusto per strafarsi.
Come spiegheresti la necessità di legalizzare a chi ti segue? E a tuo figlio?
La legalizzazione secondo me è un passo fondamentale e ovviamente fino a quando le parti in gioco in questo paese non troveranno un punto di incontro sarà sempre più lontana. Credo che la percezione a livello culturale stia cambiando non solo tra i più giovani, ma in Italia in generale. La legalizzazione è importante perché bisogna portare questa cosa lontano dalle strade e dal mercato nero perché fa parte di un discorso più ampio che nel nostro paese è radicato da sempre. Quello che forse non si è ancora compreso è l’enorme beneficio che potrebbe portare al nostro paese in termine di posti di lavoro e giro economico senza dimenticare i tanti esempi che abbiamo intorno a noi e che sono positivi: sarebbe bello arrivarci anche qua e magari non con 30 anni di ritardo rispetto a tutti gli altri.
Cannabis ed hip hop sono sempre andati a braccetto ed in America non è raro trovare degli artisti rap che sono anche degli attivisti e si espongono in maniera plateale, perché in Italia non succede?
Innanzitutto perché la cultura della cannabis in Italia è diversa, in America è stata sdoganata prima ad esempio in California e molti di questi rapper arrivano da lì, penso a Snoop Dog o Wiz Khalifa che ne hanno fatto un vero e proprio business o a gruppi storici come i Cypress Hill che hanno legato il loro immaginario alla sostanza o Method Man e Redman: tutto l’hip hop da sempre è pregno di questo argomento e la cannabis è molto tollerata, a differenza di altre sostanze magari elogiate da qualcuno ma che non hanno mai avuto un’approvazione generale. In Italia succede poco perché c’è poco business legale e quindi esporti se sei un’artista è più difficile, ma sono convinto che le cose dovessero migliorare qualsiasi artista hip hop sarebbe preso bene a legarsi a questo mondo e creare qualcosa di più grande; io personalmente mi ci butterei e mi piacerebbe.