Ensi – Era tutto un sogno (recensione)
In questo articolo preconizzavamo tempi nuovi per la musica, in cui venisse preferita e facilitata una fruizione diversa dei dischi. La bagarre su old e new school ha lasciato pochi strascichi, ma una sola certezza: questa non è la golden age dell’hip hop italiano. Vuoi per la qualità (fattore opinabile), in particolare per i dati di vendita (fattore oggettivo). Questi tempi nuovi di cui parliamo ci stanno lasciando in dote una quantità incredibile di dischi, mixtape o lavori semi-ufficiali: pensate allo stesso Fibra, oppure a Salmo, giusto per rimanere in tema Tanta Roba. Anni fa, ricordo che addirittura si criticava l’assiduità con la quale Bassi Maestro produceva album: sembrava una mosca bianca in un periodo in cui, diciamo così, i progetti venivano pensati di più e non si ideava il disco successivo già dal giorno dopo l’uscita del precedente. I tempi sono cambiati, sarà un’ovvietà, ma c’è necessità di approcciarsi pragmaticamente al nuovo corso del rap italiano: non ci aspetteremo più grandi classici, un nuovo SxM o un 107 Elementi, ma contenitori di brani che, seppur ottimi, verranno soppiantati tra qualche mese dal nuovo progetto in cantiere.
“Era tutto un sogno” chiude un lustro di grossissima attività per Ensi. Dal non memorabile Vendetta, datato 2008, migliaia di live, due ep, un disco con Raige e Rayden e il mixtape Freestyle Roulette, più l’ingresso in pianta stabile nei Motel Connection, side project dei Subsonica. La prolificità di Yari Vella non è mai stata in discussione, né tanto meno serve rimarcare la carriera, i premi vinti e il suo talento per presentarlo. “Ogni anno faccio un disco, ma il disco dell’anno io ce l’ho ancora in testa e manco serve che lo registro”: così il nostro su “Orgoglio” di Johnny Marsiglia e Big Joe, un po’ la conferma di quanto anticipavamo poco fa… Ovvio che questo fosse il disco più atteso: dopo “Terrone”, le apparizioni a Mtv Spit e la già citata serie di improvvisazioni in Roulette, Ensi poteva tranquillamente assurgersi a numero uno del rap italiano, bastava solo la conferma.
Che è arrivata. Ensi è un pro assoluto dell’hip hop italiano, uno di quelli che lo vedi: è nato per fare il rapper. Ha un’attitudine paurosa, corroborata da delivery di assoluto livello: questa non è una novità, affatto, quanto invece l’eclettismo palesato in questo disco. Perché se ci aveva dato grande prova di essere un peso massimo in brani più di impatto (in questo lavoro, Numero Uno, Abracadabra), o di assoluta maturità e lucidità nel delineare i contorni di una difficile situazione familiare (Come il sole) e quel non prendersi sul serio che non fa mai male (Nina Mala, Paper Queen), stavolta Ensi ha mostrato una completezza di stili incredibile, toccando corde cerebrali (come nella lisergica Tangerine Dream) e non populistici appelli sociali (Oro e Argento, Orgoglio e Vergogna). Il tocco di classe è lo storytelling della favolosa “La scomparsa del pescatore”, un brano che ha avuto dei risvolti incredibili. Inizialmente può far pensare ad una punta di presunzione nel voler formulare un proprio punto di vista, in quattro quarti, del brano di De André: successivamente, ne è venuta fuori solo l’umiltà di elevare “Il Pescatore” a capolavoro inarrivabile e di adattarlo ad un terreno più “selvaggio” che si confà al rap, attualizzandolo al giorno d’oggi.
Ensi è nuovo, ma fatto bene come le cose di una volta. Gli aneliti alla modernità non sono affrettate aspirazioni a mischiare un po’ di questo e un po’ di questo e chiamarlo futuro, ma piedi ben radicati nell’hip hop più classico ed un pizzico di innovazione. ETUS è un tributo al rap, una spassionata dichiarazione d’amore alla cultura che, dubbi non ve ne sono, lo ha cresciuto: la title track, su un beat che pare gli sia stato inviato direttamente da Compton, mette i brividi per quanto riecheggi emozioni a chi ha vissuto le tappe decantate. Il giovanotto che ha dato vita a pezzi distruttivi, mirando senza obiettivo, sparando senza un motivo, ora è un artista completo, tra i migliori che la storia nazionale di questa musica ricordi. Dovendo scegliere un beatmaker ed un featuring al microfono, ci scusino nomi più altisonanti, ma prendiamo Big Joe e Raiz. Il primo, con due produzioni favolose che certificano un momento di grazia; il secondo, con un ritornello soffertissimo e quanto mai azzeccato.
Tornando al discorso introduttivo, diremo che ETUS è un ottimo disco, ma forse non rimarrà nella storia. Sia perché ha una seconda metà che cade leggermente di tono (rispetto ad una prima a ritmi serratissimi), sia perché ci hanno abituato ad ascolti troppo ravvicinati: non si fa in tempo a finirne uno, che subito dobbiamo caricarne sull’Ipod il successivo. Se la qualità si mantiene sempre questa, beh, non è detto che sia proprio un peccato. Era tutto un sogno: Ensi si svegli, la realtà gli ha regalato un posto nella storia del rap italiano.
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Nicola Pirozzi