Efficacia drogante: dal parametro generale alla valutazione “personalizzata”
Alcune decisioni giurisprudenziali, come sovente accade, proprie di giudici di merito, pongono l’accento sul concetto di dose drogante, favorendo lo sviluppo di un dibattito che, però – a onor del vero – non ha visto estranea anche la Corte di Cassazione.
Siccome particolarmente interessante, dal punto di vista scientifico, segnalo il decreto di archiviazione emesso dal GIP presso il Tribunale di Vasto, che deve essere valutato unitamene alla richiesta prodromica avanzata dal PM. Il caso attiene a un sequestro di confezioni di canapa cd. light, con contestazione alla commerciante del reato di cui all’art. 73 co. 4 dpr 309/90.
Dopo gli iniziali ed inutili fuochi pirotecnici, propri di ogni indagine che si rispetti, l’accertamento tossicologico – unica attività investigativa che seriamente permette di ottenere un quadro attendibile della situazione – ha sortito un risultato che ha confermato la tesi sostenuta dalla difesa sin dall’inizio. Non si trattava di sostanza drogante e non aveva ragione di essere contestata all’indagata il reato di cui all’art. 73 co. 4 dpr 309/90. Il principio attivo verificato con l’analisi svolta si è, infatti, attestato in un range percentuale compreso fra un minimo di 0,2% e un massimo di 0,6%.
Si tratta non solo di valori coerenti e rispettosi dei limiti previsti dalla L. 2.12.2016 n. 242, ma di canoni di prova effettiva dell’assenza di una reale efficacia drogante dei prodotti sottoposti a controllo tossicologico. Ciò che – nella specie – costituisce un carattere di interessante novità e assume rilievo, è il parametro che il PM utilizza (e che il GIP a propria volta meditatamente recepisce) sul piano ponderale.
Come è noto, la sentenza delle SSUU del 30.5.2019 n. 30475/19, pur nella sua equivocità e opinabilità, ha riconosciuto una deroga al generale divieto di commercializzazione di infiorescenze, oli, foglie e resine, qualora queste sostanze non contengano un livello di THC tale da produrre efficacia drogante. Giuristi e tossicologi si sono interrogati su quale potesse essere un valido criterio ponderale da utilizzare come parametro, allo scopo di pervenire all’individuazione del discrimine fra lecito e illecito.
In prima battuta, si è utilizzato il dato scientifico, in base al quale un quantitativo di 5/6 mg per confezione da 1 grammo lordo, potesse essere il limite di tolleranza, oltre il quale il prodotto sia ritenuto idoneo a suscitare effetti psicoattivi. Tale parametro ponderale, però, non ha mai convinto appieno, per il suo carattere di estrema compressione del quantitativo drogante, in presenza di studi che, non solo presentano range molto più ampi (negli USA si è sostenuto di ancorare il limite attorno ai 20-22 mg), ma che, addirittura, spostano decisivamente i termini del problema focalizzandosi sul rapporto fra quantitativo di cannabis assunto e caratteristiche fisiche dell’assuntore.
Quest’ultima corrente di pensiero, infatti, punta a valutazioni di natura “personalizzata” sul presupposto – tutt’altro che irragionevole – che sussistano obbiettive differenze fra persone-assuntrici di cannabis che abbiano corporatura e stazza tra loro differenti. Se poi aggiungiamo anche la circostanza che, sul piano giuridico e normativo, nel nostro ordinamento esiste il concetto di dose media singola, che sta a significare la «quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente», (e che la stessa è pari a 25 mg di THC), appare logico ritenere che il criterio originalmente adottato sia andato facilmente in crisi. Il decreto di archiviazione del GIP di Vasto (e soprattutto la sua relativa richiesta) pongono tale canone delibativo al centro del ragionamento. Si tratta di una scelta che rivoluziona, radicalmente, i termini risolutivi della questione concernente l’eventuale efficacia drogante del singolo prodotto. Il canone della dose media singola (mg 25 di THC), quindi, diviene il metro valutativo principale, perché esso si riferisce alla singola assunzione di stupefacente e sancisce il limite oltre il quale l’efficacia drogante della singola dose di sostanza viene presunta.
Questo punto di partenza determina, così, il percorso delibativo che si espone di seguito. Il PM, così, muove da una massima di esperienza, vale a dire, sostenendo che un valore medio di THC nelle infiorescenze si aggirerebbe attorno ad una percentuale del 10%. Consegue da tale conclusione, pertanto, che il quantitativo di 25 mg andrebbe moltiplicato per 10 e si otterrebbe, così, un peso di 250 mg. Or bene, alla luce di tali premesse, l’accusa prende a parametro il limite massimo di THC rivenuto nei campioni sequestrati che è pari a 0,6%. Afferma, in tale modo, che sarebbe necessaria da parte del consumatore l’assunzione ininterrotta di un numero di circa 16/17 spinelli per ottenere un reale effetto drogante.
Il risultato ottenuto deriva dal calcolo (0,025×100):0,6 = 4,16 (totale del THC) e dalla successiva divisione 4,16:0,250=16,6.
Or bene, non sono tutte rose e fiori. Io, infatti, non sono per nulla certo dell’assolutezza dei dati sui quali poggia la tesi che sono andato a esporre. La reputo, però, metodologicamente corretta, assai interessante e, comunque, costituente un auspicabile elemento di novità e discussione. La individuazione della percentuale del 10%, come valore da prendere come espressione media del THC presente nelle infiorescenze, mi pare, però scelta opinabile.
L’esperienza quotidiana ci presenta livelli di THC molteplici. Salvo significative eccezioni, però le percentuali si attestano sempre sensibilmente al di sotto del 10%. Il modulare i calcoli sulla percentuale dello 0,6% che è limite, che, per definizione riguarda il coltivatore e non il commerciante, è altro motivo di perplessità.
Sul piano percentile è, infatti, lo 0,5% a costituire il discrimine fra effetto drogante e non drogante. Questo elemento, peraltro, a onor del vero, non determinerebbe particolari scompensi strutturali nel ragionamento, anzi. È, infatti, evidente che, seguendo il percorso aritmetico sopra indicato, l’utilizzo del limite-soglia dello 0,5%, costituirebbe elemento che porterebbe a un risultato di maggiore favore per l’eventuale indagato [(0,025×100):0,5 = 5 (totale del THC) e dalla successiva divisione 5:0,250=20].
Ad ogni buon conto ritengo utile e auspicabile qualsiasi spunto che permetta di meglio definire temi così delicati come quello della individuazione della dose drogante, per il tramite di apporti scientifici concreti.