Effetto drogante: i milligrammi tra cannabis e light
Interessanti indicazioni sull’argomento della soglia drogante sono fornite nelle motivazioni dell’ordinanza del Tribunale del Riesame di Genova che ha annullato il decreto di sequestro di prodotti a base di cannabis sativa ai danni di un imprenditore di Rapallo.
Il Tribunale prende le mosse dal principio sancito dall’informativa emessa dopo l’udienza dello scorso 30 maggio: si considera sicuramente scriminata «la condotta consistente nella commercializzazione di prodotti contenenti cannabis sativa ma privi, in concreto, di capacità drogante».
Per il Tribunale non pare, allo stato, sussistere un parametro dotato del carattere della certezza, al quale ancorare il limite oltre il quale la sostanza derivata dalla cannabis produce effetti droganti. Sostiene, infatti, il giudice che «resta da delineare, in attesa di un intervento legislativo in materia, a quale parametro quest’ultima debba essere agganciata: cioè in presenza di quale percentuale di principio attivo (THC) debba affermarsi o comunque presumersi che la sostanza sia munita di efficacia psicotropa».
La tesi del Tribunale in ordine all’assenza di un criterio percentile o aritmetico idoneo a qualificate la soglia di THC a efficacia psicoattiva suscita, in chi scrive, una forte perplessità. Nell’ordinanza, si afferma che tale soglia non può rinvenirsi nello 0,2%, dal momento che tale valore «riguarda la fruibilità degli aiuti comunitari»; nessun pregio può assumere la soglia dello 0,6%, la quale «fa riferimento a un margine di errore nella semina di piante autorizzate che comporta la revoca del finanziamento comunitario ma esclude l’applicabilità della sanzione penale». Piuttosto, secondo i giudici liguri, pare applicabile – al fine di determinare la soglia dell’idoneità drogante – il valore dello 0,5%.
Sino a questo punto dell’esposizione il pensiero del Collegio appare condivisibile.
Il Tribunale di Genova, però, incorre in un evidente errore, quando sostiene testualmente che tale soglia «è un limite indicato dall’Autorità amministrativa con disposizione subregolamentare […] si tratta della circolare emessa dal Ministero dell’Interno in data 31/7/2018, interpretativa della legge 242/2016 con cui è stata dichiarata la liceità della coltivazione della “cannabis sativa L”; vi si afferma che le infiorescenze di canapa con concentrazione superiore allo 0.5% rientrano tra le sostanze stupefacenti, pur dovendosi dare atto che, in mancanza di parametri normativi per determinare la soglia drogante, il Ministero dell’interno sembra averla determinata sulla base di un parere tossicologico e di articoli di dottrina». Diversamente da quanto si legge nell’ordinanza, il limite percentuale dello 0,5% – riferito al THC – non è stato affatto introdotto dalla circolare del Ministero dell’Interno del 31 luglio 2018. Il dato in questione è frutto dell’evoluzioni di anni di studi tossicologici.
La comunità scientifica ha affermato che, ove il THC risulti al di sotto di tale limite, tale cannabinoide non presenta caratteri di psicoattività. La circolare del Ministero degli Interni 31.7.2018 è un provvedimento amministrativo che conferma un assunto, ormai pacifico in giurisprudenza sin dal 1989. Si deve, pertanto, prendere come paradigma il Trattato di Tossicologia forense (Cortina Milano) ove si afferma: «Tenuto conto che la quantità massima di canapa reperita nelle sigarette risulta di gr. 1 si ritiene che la percentuale di THC necessaria perché si possa parlare di canapa stupefacente sia identificabile in quella idonea a garantire un contenuto di THC nella sigaretta di almeno 5 mg. e corrisponda quindi allo 0,5%».
Ed ancora il citato Trattato appare decisivo, nella parte dove si precisa che «per qualificare come stupefacente una cannabis sarà dunque necessario ritrovare i tre cannabinoidi e una percentuale di THC tale da attribuire al prodotto un certo grado di psicoattività (da circa 0,5 in su)».
La considerazione, posta a base della decisione del Tribunale di Genova, secondo la quale il limite percentuale dello 0,5% deve essere applicato essendo un dato di fatto che tale valore è stato indicato da «un provvedimento emesso da un Ministero della Repubblica e non da un’Autorità amministrativa di provincia», non è corretta. La fonte, dalla quale la soglia deriva la propria legittima applicabilità, non è rinvenibile nella citata circolare, ma dall’accettazione giurisprudenziale del dato scientifico.
Il dato percentile è univocamente accettato.
È, inoltre, assolutamente improprio ribadire che sia la circolare il tramite conoscitivo e applicativo di un elemento scientifico, applicato sin dal 1989 (Cfr. Cass. Sez. IV). L’unico elemento di incertezza è, invece, quello relativo alla definizione di soglia drogante, in riferimento al peso della singola dose di cannabis. In merito alla dose di THC necessaria per produrre effetti droganti, la comunità scientifica non ha ancora trovato un punto di sintesi fra le singole posizioni che si muovono in arco che va dai 5 ai 20 mg. Non vi è unanimità fra gli studiosi di tossicologia forense. Svariate sono le posizioni assunte, che coprono tutto l’arco che va dal minimo di mg. 5 al massimo di mg. 25, che è pari alla dose media singola prevista dalle tabelle allegate al dpr 309/90. In varie perizie tossicologiche, che il consulente di ufficio ha individuato, la dose idonea a produrre per l’assuntore reali effetti droganti, è attorno ai 10/15 mg di THC. Dunque, la soglia, oltre la quale può ragionevolmente essere collocato il cd. effetto drogante del THC, come detto, deve certamente superare il limite percentuale dello 0,5%.
Per quanto, invece, attiene al peso della dose di THC espresso in mg., in attesa di certezze assolute di sorta, esso deve essere collocato prudenzialmente attorno ai 10/12 mg.
Si deve ricordare che il prospetto dei limiti massimi di sostanza stupefacente allegato alla L. 49/2006 indicava in 25 mg. il D.M.S., il tetto massimo di principio attivo per ogni singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente.
Vi è, poi, un’ulteriore questione importante che presenta effetti e connessioni di diritto sostanziale. Il Tribunale, sottolinea che non è intervenuta – a seguito della sentenza delle SSUU – alcuna forma di inversione dell’onere della prova a carico del detentore dei prodotti derivati dalla coltivazione della canapa e afferma che per addivenire a un sequestro probatorio è necessaria la sussistenza di valide ragioni di accusa.
Nella specie, come in tutti i casi analoghi, tali ragioni non sono ravvisabili perché gli agenti di polizia giudiziaria non sono in grado, all’atto dell’accesso e della successiva perquisizione di dimostrare che i prodotti detenuti dal commerciante presentino caratteristiche che li rendano idonei a produrre efficacia drogante.
Precisa il collegio, quindi, che «la pur congrua necessità di un accertamento di natura tossicologica sull’entità del principio attivo contenuto nelle varie tipologie di sostanze sequestrate ben potrebbe essere soddisfatta, come allegato dalla difesa, effettuandolo su singoli campioni e non sugli interi quantitativi delle stesse».