Easyjoint: è iniziato il processo che vuole considerare droga ciò che droga non è
Dopo 3 anni è iniziato il processo che potrebbe influire su tutto il settore della cannabis light. E’ il processo a Easyjoint, che vede come primo imputato Luca Marola, esponente antiproibizionista che ne è il fondatore.
Easyjoint, infatti, è una delle prime aziende italiane ad aver proposto sul mercato nel 2017 la “cannabis light” e cioè infiorescenze di canapa industriale con un contenuto di THC legale. Poco tempo prima nel nostro Paese era stata approvata la legge quadro che regola la canapa industriale, dove c’è scritto chiaramente che la pianta può essere utilizzata in ogni sua parte ma dalla quale, prima dell’approvazione, era stato eliminato il comma che regolamentava le infiorescenze.
CANNABIS LIGHT: LA NASCITA DI UN NUOVO MERCATO
L’iniziativa, sull’onda di ciò che stava accadendo nella vicina Svizzera, ha portato in pochi mesi alla nascita di un mercato nazionale, che secondo diverse stime avrebbe potuto portare a regime un fatturato per il nostro Paese compreso tra i 200 e i 500 milioni di euro l’anno, con decine di migliaia di posti di lavoro. Non solo: studi scientifici effettuati in quel periodo avevano dimostrato che la diffusione di cannabis light portava alla riduzione dello spaccio dove nascevano i negozi, e alla riduzione di uso di farmaci.
I PROCESSI AD AGRICOLTORI E COMMERCIANTI
Così non è stato. O meglio, il mercato della cannabis light esiste ancora oggi, con centinaia di agricoltori e aziende che operano nel settore senza problemi, mentre altre non sono state così fortunate e sono incappate in processi, la maggior parte dei quali vinti, e sequestri che hanno messo rischio l’attività o nei peggiori casi e hanno decretato la chiusura.
IL PROCESSO A EASYJOINT
Qual è la differenza tra i processi che si sono celebrarti fino a oggi e quello di Parma a Easyjoint? Il fatto che la procura, che l’ha messo nero su bianco, ha identificato in Marola come una sorta di dominus del settore, con l’idea che, fermando lui, avrebbero fermato tutti. E le armi messe in campo non lasciano spazio a dubbi: un’inchiesta da 7mila pagine, 650 chilogrammi di infiorescenze e 19 litri di olio sequestrati, sequestro del sito, cancellazione perpetua dell’oggetto sociale in Camera di Commercio, interdizione temporanea ad amministrare qualunque società abbia per oggetto la “commercializzazione della canapa e dei suoi derivati” (paradossalmente anche lenzuola o magliette di canapa…), perché, secondo la procura, “Marola è la macchina del consenso sulla cannabis light, capace di propagare l’equivoco sulla liceità di un prodotto che lecito certamente non è; capace di influenzare l’opinione pubblica, i media, la politica, le istituzioni e la magistratura associata”.
LACUNE NORMATIVE ED EFFICACIA DROGANTE
Il problema a monte resta la non-regolamentazione del settore della cannabis light, per la quale manca l’inquadramento ad uso umano, un problema che in Svizzera hanno risolto in pochi mesi, dichiarandola come un sostitutivo del tabacco. Da noi invece ci sono procure, come quella di Parma, che, grazie all’incertezza normativa, vogliono che la canapa sia considerata come “droga” a prescindere dalla quantità di THC che contiene. Se infatti negli altri processi si guardava al contenuto medio di THC per decidere se avesse “efficacia drogante” o meno, l’impostazione della procura di Parma, poi adottata anche da altre, è che sia uno stupefacente a prescindere e quindi, invece che considerare il THC medio contenuto nelle infiorescenze sequestrate, si calcola il THC presente in tutto il lotto, lo si somma, e si calcolano le “dosi droganti”. Capite bene che, su quasi 650 kg di canapa (tutta sotto lo 0,2% di THC), l’accusa è che genererebbe più di 65mila dosi droganti.
Il rischio, quindi, se passasse questa impostazione, è che questo metodo venga poi utilizzato per tutto il settore, in un momento politico complesso, in cui la destra ha già proposto una legge per proibire la cannabis light.