È legale coltivare in Italia varietà di cannabis ad alto contenuto di CBD e basso THC?
Negli ultimi tempi a livello scientifico e terapeutico è scoppiata la “CBD mania“. Dopo che diversi studi scientifici hanno portato alla luce i numerosi effetti terapeutici del cannabinoide CBD, si sono moltiplicati i prodotti che fanno di questo cannabinoide il loro ingrediente principale. Spesso si legge che è un cannabinoide non psicoattivo, e cioè che non causa il tipico effetto di “sballo” comunemente associato alla cannabis. L’affermazione è vera, ma riguarda anche tutti gli altri cannabinoidi (sono oltre 100 quelli ad oggi identificati), che non siano il THC, unico cannabinoide tra quelli scoperti che ha appunto effetti psicoattivi.
E mentre si moltiplicano i prodotti a base di CBD puro, dalle gomme da masticare al latte con aggiunta di CBD, passando per ovuli vaginali, collirio e cerotti transdermici, anche le principali seedbank europee ed americane, hanno iniziato a produrre genetiche di cannabis con un alto contenuto di questo cannabinoide, o hanno creato delle nuove versioni delle varietà presenti nel proprio catalogo, con un contenuto di CBD più alto. Il primo esempio è stato quello della CBD Crew, seedbank nata dall’idea di Scott Blakey e dal compianto Howard Marks.
Oggi, con la comparsa di queste nuove genetiche che spesso hanno contenuti di THC molto bassi, e complice la prima legge italiana che disciplina la canapa industriale e l’arrivo della cosiddetta marijuana light, che dopo la sua comparsa in Svizzera è arrivata anche in Italia, sono molti i lettori che ci chiedono se sia legale coltivare varietà di cannabis che abbiano un contenuto di THC sotto il limite previsto dalla legge sulla canapa industriale, e cioè lo 0,2%.
La risposta è no, perché la legge sulla canapa industriale prevede che sia legale coltivare varietà che siano state registrate a livello europeo e prevede inoltre che il coltivatore conservi le fatture di acquisto ed il cartellino della semente acquistata per un periodo non inferiore ai 12 mesi.
Per spiegarvi i motivi abbiamo contattato il dottor Giampaolo Grassi, primo ricercatore del CREA-CIn di Rovigo: “In Italia non si può, perché se non hai il cartellino è come se stessi coltivando della canapa illegale“, puntualizza spiegando che: “Il cartellino è quello che determina la liceità della coltivazione e per avere il cartellino la genetica deve essere stata registrata”. Quindi bisognerebbe che le seedbank interessare procedessero con la registrazione delle proprie genetiche. Alla domanda se sia un procedimento costoso Grassi sottolinea che: “Costa mediamente sui 5mila euro, ma il problema è arrivare in fondo alla procedura che va fatta da aziende strutturate o da istituti di ricerca pubblici; per un privato, anche dal punto di vista normativo, sarebbe complicato perché di solito sono aziende sementiere, iscritte ad un registro, che lo fanno di professione. È vero che chiunque può registrarsi, ma di solito sono aziende strutturate: certamente le seedbank olandesi o spagnole, ad esempio, se lo potrebbero permettere, ma non il singolo cittadino perché non è una cosa così semplice“.
Quindi almeno che qualche seedbank non decida di produrre una genetica con meno dello 0,2% di THC e poi di registrarla presso gli uffici competenti, non ci sarà questa possibilità. E per capirne di più abbiamo contattato alcune seedbank. Le risposte ci sono arrivate da Dinafem e da Paradise Seeds.
Dalla Dinafem ci fanno sapere che per loro “non è una priorità“, per diversi motivi. Innanzitutto perché: “Sono già disponibili sul mercato differenti varietà di canapa legalmente registrate” e inoltre, “in fase di breeding, per garantire livelli medie di THC inferiori allo 0,2%, si avrebbe inevitabilmente una riduzione complessiva del chemiotipo, in particolar modo del livello di CBD. I nostri sforzi degli ultimi anni sono stati diretti all’arricchimento di cannabinodi, non all’impoverimento. La nostra collaborazione canadese con la start-up Supreme Pharmaceutical, ci permette di implementare le nostre genetiche, potendo sperimentare in un contesto tecnologicamente avanzato e in un ambito legale“. Infine sottolineano che: “Abbiamo quindi la possibilità di lavorare su strain continuamente migliorati, dal punto di vista della stabilità e soprattutto della ricchezza di cannabinodi. In altre parole, la soglia dello 0,2% è tecnicamente limitante, a livello di qualità di strain“.
Alla Paradise Seeds invece non solo sono possibilisti, ma ci hanno raccontato che è un progetto sul quale sono già all’opera. “Stiamo lavorando su uno strain che abbia queste caratteristiche, se tutto va bene dovrebbe essere pronto dopo l’estate“.