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Dubbi di costituzionalità sulla Fini-Giovanardi

2014-03-24 03.57.11 pm

Anche la giurisprudenza di legittimità prende positiva posizione sul tema dell’ipotizzata incostituzionalità della L. 49/2006 che ha profondamente modificato il regime sanzionatorio e le norme penali in materia di stupefacenti. Dopo l’intervento della Sesta Sezione della Corte di Cassazione (sent. n. 18804/13 del 28 febbraio/29 aprile 2013) , che, recentemente, aveva dichiarato manifestamente infondata la duplice questione di legittimità costituzionale, denunziata, sia in relazione all’iter di approvazione della L. 49/2006, sia riguardo allo specifico profilo dell’art. 73 dpr 309, interviene la Terza Sezione, con una pronunzia particolarmente interessante, non solo perché di segno totalmente opposto alla prima, ma anche per la ricchezza e la corretta profondità della disamina operata.

L’ordinanza in parola costituisce, quindi, la migliore antitesi alla sentenza di rigetto sopra citata, proprio perché affronta, senza remore di sorta, l’argomento della costituzionalità, sia dell’art. 73 sia dell’intero complesso normativo della legge 49 del 21 febbraio 2066, quale momento di conversione del DL 30 dicembre 2005 n. 272. Pregevole appare lo sviluppo sistematico-argomentativo; il Collegio prende atto della proposizione di tre dubbi di costituzionalità che possono sinteticamente ricondursi:
1. alla dedotta assenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza (previsti dal comma 2 dell’art. 77 Cost.) dell’art. 4 bis dl 272/2005 nel suo assetto originario, oltre che alla carenza dell’ulteriore carattere dell’omogeneità (sia oggettiva-materiale, che funzionale-finalistica) atteso, per converso, l’evidente eterogeneità ed autonomia delle materie inserite in tale decreto-legge;
2. alla dedotta assenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza (previsti dal comma 2 dell’art. 77 Cost.) dell’art. 4 bis dl 272/2005, ove esso apporta modifiche all’art. 73 dpr 309/90.
Tali presupposti non sono, infatti, stati invocati in sede di conversione, in quanto, a fronte di un testo originario legislativo di specifica, limitata e circoscritta portata, si sono introdotti, addirittura, ben 23 articoli concernenti gli stupefacenti. Difetterebbe, inoltre, anche il requisito della omogeneità e coerenza interna, connotato essenziale che collega in un unicum D.L. e relativa L. di conversione;
3. al dedotto inadempimento del legislatore italiano a rispettare gli obblighi normativi di natura comunitaria (governati dall’art. 117 comma 1 Cost.), che nella fattispecie sono individuabili in alcune specifiche determinazioni contenute nella decisione 757/ GAI/2004.

Dopo avere delineato i compiti del giudice dinanzi ad una questione di legittimità costituzionale, una volta accertata la rilevanza della questione sollevata, rispetto alla fattispecie trattata, la Suprema Corte giunge ad affrontare il tema sotto il profilo contenutistico.

Si deve rilevare che emerge pacifica la circostanza che l’ordinanza coglie “la profonda distonia di contenuto, di finalità e di ratio tra il decreto legge n. 272 del 2005 in generale, e anche tra le disposizioni dell’art. 4 in particolare, e le nuove norme introdotte in sede di conversione con le quali è stata sostanzialmente posta una nuova disciplina a regime sulle sostanze stupefacenti…”.

Sulla base di questo convincimento, la Corte sviluppa, poi, ulteriori significative considerazioni che corroborano il sospetto di costituzionalità sollevato ex parte e recepito dal giudice.
Viene, così, evidenziata la necessaria coincidenza – concreta e teleologica – fra l’oggetto del DL e le norme che vengano inserite ex novo nella fase della conversione in legge dello stesso.

Nel caso concreto, il Collegio ravvisa la “totale estraneità delle nuove norme rispetto all’oggetto ed alle finalità del decreto-legge”, situazione può essere desunta agevolmente, ad avviso della S.C., dalla nuova titolazione della L.49/2006, che ha aggiunto all’originale indicazione anche le inedite parole “e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309”.
Si verte, pertanto, in ipotesi del cd. “abuso della prassi”.
Questo vizio si ravvisa in presenza della scelta opinabile del Governo di introdurre “un maxi-emendamento innovativo rispetto al contenuto originario del decreto legge, al fine di sostituire parzialmente od interamente il testo e sul quale sarà poi posta la questione di fiducia.

Deriva, quindi, dalle considerazioni richiamate, per la Corte di legittimità, il primo sospetto d’incostituzionalità della novella del 2006.
In via subordinata, poi, i giudici esaminano il profilo dell’assenza del presupposto della necessità ed urgenza, in riferimento all’art. 77 Cost..

Il difetto del duplice requisito (necessità ed urgenza) – previsto dal comma 2° dell’art. 77 Cost. – risulterebbe evidente, posto che (in conformità alla sentenza della Corte Costituzionale n. 171 del 2007) è principio incontroverso che il decreto legge deve sempre subire uno scrutinio di legittimità, non apparendo ammissibile affermare che la legge di conversione sia idonea a sanare in qualche modo i vizi del decreto stesso. Osserva, infatti, l’ordinanza in commento – richiamando la giurisprudenza costituzionale formatasi anche in epoca successiva alla citata sentenza del 2007 – che ammettere una tale facoltà emendatrice, significherebbe creare una situazione di conflitto di attribuzioni fra Parlamento e Governo, nello svolgimento dell’attività normativa. Dirimente sul punto è apparso il richiamo alla sentenza n. 22 del 2012, la quale, nel caso concreto, si segnala come pertinente, in quanto ha rinforzato “il collegamento funzionale tra i due atti (DL e legge n.d.a.) alla stregua delle tesi più tradizionali che vedevano la legge di conversione come <> alla disciplina adottata dal governo”.
Su tali premesse, la Corte conclude ritenendo non manifestamente infondato il difetto del duplice requisito della necessità ed urgenza.

Il ragionamento sviluppato dai giudici di legittimità comporta l’assorbimento, nella questione principale e genetica, così sollevata, di tutti quegli altri distinti e specifici aspetti, involgenti la violazione dell’art. 117 Cost., in relazione al contrasto fra normativa interna e normativa comunitaria in materia di stupefacenti, in relazione all’art. 73 commi1,1bise5.
L’ordinanza appare, dunque, convincente sul piano della prospettazione dei quesiti e meditata in ordine alle argomentazioni che formano la trama della complessiva questione.
Ritiene chi scrive – nutrendo la soddisfazione di constatare che la Suprema Corte, con l’ordinanza in commento, ha, autorevolmente, confermato quelle osservazioni svolte dal sottoscritto in numerosi commenti pubblicati in tempo non sospetto – che, nella fattispecie, non si tratti, quindi, di una mera contrapposizione dialettica fra forma e sostanza.
Nel caso di specie, invece, la posta in gioco è certamente più alta.

Il giudizio di costituzionalità involge il modo e lo stile dell’opera legiferativa dei nostri Governi in materia di stupefacenti, argomento dove non si deve mai avere timore di discutere concretamente ed approfonditamente, per giungere nel più breve tempo possibile a risultati tangibili ed a soluzioni serie e strutturali.

Dalla Corte Costituzionale è, dunque, lecito attendersi un intervento coraggioso, netto, che ricusi logiche compromissorie; quindi, una decisa indicazione agli organi competenti istituzionale su come si deve legiferare.
Se la riforma del 2006 fosse ritenuta non conforme ai vigenti principi costituzionali, non si deve, dunque, nutrire alcuna preoccupazione al ripristino della normativa precedente, questo è il vero senso dell’ordinanza della Terza Sezione.



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