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Droghe per combattere

masaiI GUERRIERI MASAI

I guerrieri Masai della Tanzania erano noti per la loro aggressività e violenza, che superava di gran lunga quella delle impaurite tribù vicine. Appena raggiunta l’età adatta per diventare guerrieri, i giovani Masai sono sottoposti a un rito iniziatico di natura militare-religiosa e in quell’occasione vengono iniziati anche all’uso delle “droghe da combattimento”. Si tratta di una dozzina di differenti droghe, ciascuna adatta a una specifica azione aggressiva: masticano le radici di una specie di Albizzia quando devono cacciare animali che corrono velocemente, o la corteccia di un’acacia quando cacciano il leone, o bevono un infuso di una specie di mimosa quando si preparano a una battaglia con altre tribù.

Tutte queste droghe hanno proprietà eccitanti, che i guerrieri Masai (moran) mostrano di conoscere molto bene; hanno elaborato una terminologia specifica per descriverle e classificarle. Appena entrati nella setta dei guerrieri, i giovani moran sono impazienti di dimostrare la loro forza e il loro coraggio, superando il prima possibile lo stato di ebor alem, cioè di colui che “non ha ancora la lancia intrisa di sangue”. E per tutti gli anni in cui presteranno servizio di guerrieri le loro attività saranno associate a un notevole uso di “droghe da combattimento”.

Negli accampamenti i guerrieri tengono appesi alle capanne stomaci o vesciche di animali ripieni di infusi di radici e cortecce psicoattive e nei giorni precedenti la battaglia con altre tribù bevono esclusivamente questi infusi anche solo per dissetarsi. In questo modo raggiungono uno stato di furore, con tanto di bava alla bocca e occhi sanguinei fuori dalle orbite, ch’essi sfruttano per lanciarsi all’attacco dei nemici.

Il tipo di droghe e le quantità sono decisi dai capi dei guerrieri, che sono sia capi militari che religiosi. I capi stabiliscono le dosi da assumere per tutta la truppa in base all’impegno fisico e di coraggio necessari per quella data azione bellicosa. Durante le battaglie con i colonizzatori occidentali, i cronisti riportavano che battaglioni di 100-150 guerrieri Masai si muovevano velocemente da un capo all’altro delle aree di conflitto, armati della sola ma temibile lancia e stracarichi di sacchi di cortecce e radici che masticavano continuamente. Ciò permetteva loro di percorrere in un giorno anche 80 km, cogliendo di sorpresa e attaccando qua e là le truppe occidentali.

Come in tutte le razze umane, alcuni Masai non “rispondono” alle droghe o ne subiscono gli effetti in minor misura che fra gli altri guerrieri. Per colpa di questa carenza di effetto delle droghe da combattimento, il guerriero è meno coraggioso e ardito e viene etichettato come un os sioki, un codardo. Gli os sioki hanno una vita difficile all’interno del gruppo, malamente accettati e ultimi in tutti i diritti.

Nel caso gli eventi bellici si prolunghino nel tempo, per alcune settimane, i guerrieri continuano ad assumere le droghe da combattimento e di frequente raggiungono uno speciale stato di furore incontrollabile, che chiamano em boschona. Si tratta di un attacco di violenza che si preannuncia con un urlo disumano. Il guerriero è poi soggetto a forti convulsioni muscolari e la pelle, già scura, diventa ancora più cupa. Passato lo stato convulsivo, il guerriero è preso da un’irresistibile violenza e si scaglia armato contro chiunque gli è attorno, senza badare che si tratti di nemici o amici. E’ una “crisi di nervi” indotta dall’assunzione prolungata di droghe da combattimento, accompagnata da una parziale perdita della coscienza.

All’interno di un accampamento di guerrieri Masai, quando uno di loro emette quell’urlo, gli altri si allarmano e prevengono sue azioni dannose disarmandolo e legandolo con delle corde. Questi attacchi di em boschona non sono deplorati dalla comunità, tutt’altro: sono considerati di natura divina e – con le dovute precauzioni – sono momenti accettati e integrati nella vita quotidiana del guerriero Masai. Spesso essi mimano un attacco di em boschona di fronte agli altri guerrieri per dimostrare la loro forza e la loro risolutezza.

Lo scopo dell’assunzione delle droghe non risiede unicamente nelle loro proprietà eccitanti per il corpo; lo stato eccitatorio influisce anche la mente (anzi è guidata dalla mente) e l’effetto principale – in un contesto di violenza – è l’aumento di coraggio. Gli esperti militari di tutti gli eserciti sanno bene che il coraggio delle truppe è una componente essenziale nell’azione bellica e hanno elaborato tecniche – molte di natura psicologica – per mantenerlo vivo. Da sempre si è prestata larga attenzione all’impiego di sostanze psicoattive in grado di inibire i freni pacifisti (endorfinici), di innescare l’aggressività (adrenalinica) o addirittura di scatenare stati di “furore” (serotoninici o altro).

Nella cultura militare europea sin dai tempi dei Romani la droga più diffusa fra le truppe al momento della battaglia è stata l’alcol. Ma vino e grappa infondono coraggio in maniera grezza e indiretta, a discapito della “prontezza combattiva” che deve accompagnare l’atto di coraggio. Nell’era moderna le amfetamine hanno sostituito l’alcol e droghe ancor più efficaci e specifiche sono adottate dai marines e altri reparti speciali degli eserciti moderni. Le formule di queste “superamfetamine” non sono note, elaborate e mantenute segrete all’interno delle élite militari mediche.

E’ noto il caso della CIA che si interessò all’LSD come eventuale droga bellica, ma di tutto il resto, cioè di tutto ciò che accade negli ambienti militari, di tutto ciò che viene intenzionalmente o forzatamente assunto nei campi di battaglia, continueremo a saperne molto poco. Se potessimo disporre degli esami del sangue dei caduti delle guerre di questi ultimi decenni, ci troveremmo di fronte a una moltitudine di referti positivi alle più disparate droghe, alcune legali e molte illegali, alcune addirittura sconosciute alla scienza ufficiale. In molti contesti le droghe, o la loro mancanza, hanno giocato un ruolo decisivo nelle battaglie e i magazzini dove erano stipate erano guardate a vista allo stesso modo della santabarbara e del deposito carburante.

Durante il recente conflitto somalo-etiope, le contraeree di entrambi gli eserciti sparavano contro qualunque aereo militare o civile straniero, ma si badavano bene entrambe dall’abbattere l’aereo che tutti i giorni riforniva di khat i due eserciti. Droga vegetale eccitante di quelle regioni, il khat deve essere masticato allo stato fresco, altrimenti perde le proprietà psicoattive, per cui erano necessarie grosse forniture quotidiane per le truppe in trincea e l’aereo pieno di fresco khat, proveniente dallo Yemen, poteva atterrare in un luogo concordato lungo il fronte di guerra, senza incorrere in alcun rischio, mentre tutt’intorno si sparava e si tiravano cannonate.

E quanti soldati sono tornati dalla guerra assuefatti alle amfetamine o all’alcol! I Masai sono dediti al consumo delle “droghe da combattimento” solamente durante gli anni in cui sono guerrieri. Quando si sposano, oltre a deporre le armi, depongono le droghe. Solo saltuariamente, in occasione degli incontri commemorativi fra ex-guerrieri, assumono un poco di queste droghe, per ricordare i bei tempi della giovinezza passata, quando, pieni di energia, avevano la bava alla bocca e la lancia sporca di sangue.

2016-01-25 12.00.14 pmDROGHE TEROGENE E PAPA PACIFICI

Nelle saghe norvegesi sono descritte le gesta di guerrieri leggendari – i Berserk – che vissero fra l’ottavo e il decimo secolo dopo Cristo. Essi venivano presi da attacchi di furore, soprattutto sui campi di battaglia. Si gettavano contro le schiere nemiche, in gruppo o anche da soli, ululavano come lupi, avevano la bava alla bocca. Se non c’erano nemici nei paraggi, si sfogavano mordendo i loro scudi, sradicando alberi, rivoltando rocce e difficilmente distinguevano l’amico dal nemico. Il berseka-gang – così era chiamato questo attacco di furore – durava un giorno intero; dopo di che il guerriero cadeva in un sonno profondo.

I Berserk erano temuti dai nemici e rispettati presso il loro popolo, che interpretava questi attacchi di furore come momenti di possessione divina. Gli stessi berserk ci tenevano che il loro popolo li considerasse degli invasati del dio della guerra, in modo da conservare l’alone di rispetto e di mistero dietro al quale riuscirono a mantenere nascosta una fonte più terrena, dell’umido sottobosco, che scatenava il loro furore bellico: l’Amanita muscaria.

Recentemente lo studioso australiano Benjamin Thomas ha coniato il termine di terogeno, che significa “diventare come una bestia feroce”, per indicare l’uso bellico di una droga.

Dai tempi dei berserk l’uso dell’amanita muscaria come terogeno si è tramandato per molti secoli all’interno dell’esercito norvegese. Durante la guerra del 1814 fra Svezia e Norvegia, un ufficiale norvegese osservò alcuni suoi soldati comportarsi “coraggiosi di fronte al nemico in maniera folle, ululanti e con la bava alla bocca”. I soldati si giustificarono davanti all’ufficiale dicendo che avevano mangiato il fungo per combattere meglio.

Potrà sembrare strano che uno psichedelico, un “rivelatore della mente” quale è l’amanita muscaria, possa essere utilizzato per stimolare l’aggressività o addirittura per uccidere un altro uomo. Lo stato di pacifica consapevolezza, caratteristica comune delle esperienze psichedeliche vissute dagli uomini di cultura occidentale, è incompatibile con la volontà di uccidere. Ma gli effetti di una droga dipendono in buona parte dalla cultura in cui sono sperimentati. Dato che la realtà dipende da come noi la interpretiamo, un guerriero che viene iniziato all’amanita muscaria come “dono del dio della guerra”, proverà effetti di natura bellicosa, mentre un giovane delle metropoli europee che ha letto Aldous Huxley o Timothy Leary proverà effetti più visionari o psichedelici: allo stesso modo in cui gli sciamani dell’Amazzonia considerano il tabacco una pianta visionaria e la vivono come tale, cioè sperimentano visioni rivelatrici, mentre gli uomini occidentali che fumano sigarette “sanno” che queste fanno venire il cancro e le vivono come tali, cioè muoiono realmente di cancro. Sotto questo punto di vista, la gigantesca campagna internazionale antifumo, che per dissuadere punta tutto sull’associazione tabacco=cancro, non fa altro che contribuire al fatto che i tabagisti muoiono sempre più realmente di cancro.

La popolazione bantù dei Fang che alla fine dell’Ottocento invase il Gabon era costituita da tribù di guerrieri. Essi utilizzavano l’iboga come droga da guerra. Nel giro di un secolo il contatto con i Bianchi li ha trasformati in paci ci sedentari e ora con la medesima iboga i giovani fang vivono “visioni celestiali”, internamente al culto del Buiti. Il kava è considerata la “droga pacifica”, nel doppio senso di: droga dell’Oceano Pacifico e di droga che induce sensazioni amichevoli e pacifiche. Non a caso viene bevuto pubblicamente da tutti i partecipanti a una discussione tribale o negli incontri diplomatici fra capi di governo. Perfino il papa, in visita nel 1986 alle Isole Figi, ha dovuto sottomettersi al protocollo in usanza in quella nazione di “invito all’incontro pacifico” bevendo pubblicamente una tazza di kava. Eppure, a differenza di tutte le altre popolazioni del Pacifico e del papa, alcune popolazioni melanesiane vivono il kava come terogeno e quando lo bevono sono presi da uno stato di furore e con la bava alla bocca si scagliano contro i rivali.

Da tutto ciò si intuisce che “allucinogeno”, “narcotico”, “stimolante”, ecc., oltre ad essere caratteristiche intrinseche di questa o quella droga, sono caratteristiche dell’interpretazione e dell’ambiente culturale in cui una data droga viene sperimentata.

E cosa pensare delle follie dei Kuma della Nuova Guinea? Si tratta di un caso anomalo di probabile uso terogeno di droghe. I Kuma abitano in un luogo paradisiaco – la valle del ume Wahgi – dove è sempre primavera e i fiori e i funghi nascono per tutto l’anno; sono molto pacifici, fatta eccezione per un bizzarro comportamento che periodicamente si manifesta nella tribù, chiamato komugl tai, la “follia del fungo”.

L’uomo che viene preso da questo attacco di follia si orna da guerriero, impugna le armi e con la bava alla bocca corre per il villaggio in uno stato di furore, terrorizzando tutta la comunità. Alla fine si accascia e cade in un sonno profondo, dal quale si risveglia normale. Fortunatamente i danni sono più alle cose che alle persone, dato che il folle non riesce bene a mirare i colpi che brandisce. Durante l’attacco di komugl tai ci vede doppio e le armi gli sfuggono continuamente dalle mani, che sudano a profusione. Di fronte ai possenti furori bellici dei berserk, i kuma folli potrebbero apparire come una loro caricatura, con un furore bellico finalizzato a scopi più teatrali che concretamente belligeranti.

Il komugl tai si presenta un paio di volte all’anno e si diffonde velocemente di villaggio in villaggio per tutta la valle del Wahgi. In ogni villaggio permane per un paio di giorni e colpisce sempre i medesimi individui. Appena terminato l’attacco di follia in un villaggio, inizia quello del villaggio vicino. L’onda di follia impiega circa un mese per ripercuotersi lungo tutta la valle, partendo sempre dalle regioni basse in direzione del monte. I Kuma attribuiscono questo comportamento all’ingestione di alcune specie di funghi dei generi Russula, Boletus e Psilocybe, ma il loro ruolo resta da chiarire, dato che la follia colpisce solo alcuni individui e che finora nessuno è mai stato visto mangiare questi funghi prima di un attacco di komugl tai.

L’utilizzo di droghe come terogeni, cioè per combattere, è una pratica antichissima, che si affianca all’antichità dell’uso delle droghe come psichedelici. Ma se osserviamo i mandrilli dell’Africa equatoriale, possiamo intuire che questa pratica non è neppure di origini umane.

I mandrilli vivono in comunità allargate secondo una rigida gerarchia fra i maschi. Quando un mandrillo maschio deve intraprendere una lotta con un altro maschio, per la conquista di una femmina o di un gradino gerarchico superiore, non si cimenta immediatamente nella lotta. Lancia la sfida al rivale e si reca a cercare una pianta di iboga, la sradica dal terreno e ne mangia la radice; attende che gli siano saliti gli effetti – un’attesa che può durare 1-2 ore – dopodiché si lancia all’attacco del rivale. Nel frattempo anche il rivale, accolta la sfida, si è recato a mangiare dell’iboga, e con la bava alla bocca entrambi si cimentano in un’interminabile lotta sotto effetto di un potente stimolante, attraendo l’attenzione di tutta la comunità dei mandrilli. Alla fine, sia il vincitore che il vinto si accasciano a terra e cadono in un sonno profondo.



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