Down With Bassi è già storia
Il 5 febbraio 2015 faceva il suo esordio, sull’omonimo canale youtube, il format Down With Bassi (da ora DWB), curato e diretto da Bassi Maestro e (il) Bosca. Ora, ad un anno dalla prima puntata e dopo una dozzina di ospiti, si può candidamente dire senza tema di smentite che il programma è entrato nella storia dell’Hip Hop italiano passando direttamente dalla porta principale. «A noi piace l’idea di lasciare qualcosa che non sia legato a un suono, a un format o a una moda del momento – ci racconta Bassi Maestro – ma che negli anni a venire possa servire anche come “documento storico” per recuperare informazioni che negli anni si confondono o vanno perse.»
Fare la storia/storicizzare
Questo è stato possibile in prima istanza grazie alla indubbia perizia dei due co-conduttori, ma anche per effetto di una serie di scelte del tutto appropriate:
- la scelta del mezzo, prima di tutto. Nell’epoca in cui i The Pills sbarcano al cinema, un prodotto interamente concepito su youtube rappresenta quanto di più logico possibile in termini di fruizione e diffusione. Certo, non a tutti – se non si è Bassi – la stessa operazione può riuscire con tanta presa e capillarità, ma ciò non toglie che questa rimanga, a tutt’oggi, la modalità più sensata di diffusione di un contenuto. La scelta è spiegata al meglio da Bassi: «DWB deve rimanere indipendente e senza troppe regole rigide. Molte cose ci vengono spontanee e ci accorgiamo solo dopo alcuni mesi dell’impatto che hanno sul pubblico, è impossibile calcolare tutto a tavolino. E per ora Youtube ci permette di avere contenuti nostri senza grossi limiti o censure…»
- il momento storico, non meno importante del mezzo. Mentre oltreoceano si ha a che fare con la rivoluzione kendrickiana e al di qua si assiste a discussioni sull’approdo di certi artisti a Festival di portata nazionale, non si può non tenere conto dell’esplosione dell’Hip Hop nello stivale, con rinnovato entusiasmo per un genere ormai maggioritario, tanto tra i giovani quanto tra i meno giovani (con buona pace di alcuni puristi);
- l’approccio, perché si tratta di un punto di vista duplice. DWB è già nella storia per due ordini di motivi: rappresenta la storia dell’Hip Hop, in quanto ha, tra i propri ospiti, chi ha fatto il genere materialmente; rappresenta la storia dell’Hip Hop perché lo storicizza, raccontandone gli albori, gli sviluppi e l’attualità, rendendo conto delle diversificazioni e della complessità (anche “orizzontale”) di un panorama. è ad un tempo la disciplina e la storia della disciplina.
- Si può azzardare un parallelismo: se Numero Zero ha un punto di forza nel mandare di fatto Ensi a “conoscere” chi lo ha preceduto per veicolare certi contenuti ai più giovani, DWB spiega ai più giovani cosa è stato prima, senza mai distogliere l’attenzione da quello che sta succedendo in termini di evoluzione. Non è mero enciclopedismo, ma manualistica alla Arpad Weisz: bisogna, sembra, solo stare sul pezzo e superare certe diatribe piuttosto vacue.
«Ormai l’Hip Hop in Italia ha abbastanza passato da avere dei fruitori che sono nati quando alcuni dei classici erano già stati fatti o che erano troppo piccoli per averli vissuti – ci dicono in coro Bassi e Bosca – quindi pensiamo sia un buon momento per fare un po’ di storia e permettere ai fan dell’hip hop italiano di sentire la versione dei fatti direttamente dalla bocca dei protagonisti e capire un periodo completamente diverso; la sola assenza di internet nei primi periodi rende i racconti quasi preistorici.»
La prima puntata con Fritz da Cat, che totalizza 65’000 views
La struttura
La struttura del format è piuttosto lineare. I singoli episodi vanno da un massimo di 74 minuti (ovvero la splendida puntata-pilota con Fritz Da Cat) fino ad un minimo di 46 (l’ultima o la #11, con Medda e Goedi), senza contare i sempre brillanti teaser e le registrazioni “extra”, senza tagli e disponibili on–line. La puntata è strutturata secondo un percorso cronologico, intervallato da alcune rubriche.
Si prende avvio dall’infanzia dell’artista in questione, con excursus sulle relative influenze musicali provenienti dalla famiglia e dagli amici, fino ad arrivare al primo approccio con l’Hip Hop. Diversissimi i retroterra che emergono: autodidatti in fatto di metrica o tecnologia, batteristi metal, figli di cantanti, di appassionati della canzone italiana o di gente senza alcuno stimolo musicale. «A parte i dischi, le battle, i tour, penso che per chi guarda/ascolta DWB la cosa più interessante sia proprio conoscere un po’ la vita delle persone che hanno fatto i dischi che amiamo.» (Bosca)
Bassi e Bosca iniziano quindi a delineare la genesi del percorso “ufficiale” dell’ospite, fin dai suoi primi lavori. «Andiamo abbastanza a braccio, Bosca è quello più organizzato – risponde Bassi sulla struttura del programma – io spesso mi lascio prendere dal flow della puntata, le due cose assieme funzionano abbastanza bene, anche se chiaramente non è il nostro mestiere e abbiamo tantissimo da imparare su tempi e meccanismi vari.» A questa parte segue Straight from the Crate (cioè “direttamente da dove-si-tengono-i-vinili”), intermezzo in cui il rapper o il producer del giorno commenta alcune “provocazioni” musicali: queste consistono in una serie di vinili che i due conduttori propongono, cercando di cogliere una attinenza tra i dischi e la carriera dell’ospite. Non è raro che le scelte risultino di volta in volta azzeccate e che l’ospite ammetta i condizionamenti che ha ricevuto dal musicista citato, non senza la possibilità di ricevere spunti per andarsi a ripassare (o studiare, non è una vergogna) un po’ di storia del genere, o della musica.
Il percorso tematico ritorna alla discografia dell’ospite, portandoci fino ai giorni nostri e facendo il punto sull’evoluzione dell’artista indivanato per l’occasione. Chiude la chiacchierata La versione di Bosca (con l’oramai famosa domanda “qual è la tua droga preferita?”), una serie di frasi da completare, in stile what if? che stimola riflessioni, apre scenari ipotetici e mette a nudo gli ospiti, per quanto possibile. «La Versione di Bosca è stata introdotta in questa seconda stagione, sostituendo Favorite Things, ad esempio. La domanda sulla droga ha fatto parte della rubrica Favorite Things in un paio di occasioni, ma non volevo ripeterla troppo spesso – spiega Bosca. L’ho chiesta a Fritz perché sapevo che mi avrebbe risposto esaustivamente e a Salmo perché, diciamocelo, quando ti ricapita di far parlare Salmo di droga in un’intervista?»
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Quello che ne risulta è sì divulgativo, ma anche caratterizzato da un altissimo grado di precisione. Per i tecnici, la terminologia non ammette errori (Castoldi docet), così come la cronologia del genere è scandita per via diretta da gente che è l’Hip Hop italiano. Non solo: ce n’è per tutte e quattro le discipline, tenute ben distinte. Non si potranno più confondere hip hop e rap, né un rapper con un producer, né un writer con un breakdancer. Come ci raccontano entrambi, però, «DWB tratta principamente di musica e quella è la direzione del format, ci potranno spero essere casi in cui l’ospite non sarà un’artista rap un dj o un producer, l’importante è che sia una figura di riferimento per la musica Hip Hop in Italia»
Le chicche
Diverse le chicche (solo alcune, ma in realtà numerosissime): i vari intercalari, come il “roccia” di Fritz da Cat; il veneziano-mestrino di Shocca, con tanto di storia dei soprannomi affibbiati dallo stesso a diversi personaggi; l’ineccepibile spiegazione di Luca Barcellona di come i Cinque minuti di paura di Lou X altro non siano che una ripresa del flow dello Scarface di The Diary; il lato da digger e da cultore della materia di Ghemon.
Statistiche: Salmo la puntata più vista (più di 240’000 views); Novecinquanta la parola più detta nel corso di tutta la stagione e mezza andata in onda finora, probabilmente perché, secondo Bosca, «l’Akai s950 ha fatto la storia della produzione Hip Hop e la maggior parte di quelli che abbiamo ospitato sono attivi da abbastanza tempo da averci “messo le mani”»; come costante, molti dei più giovani sono costretti ad ammettere il proprio debito di riconoscenza per personaggi – nel bene e nel male – come Jovanotti o gli Articolo 31.
Tra le note di merito: l’apertura (tra ospiti e pubblico) ad ogni fascia di età, con conseguente abbattimento di barriere generazionali, non a caso, Bosca ci spiega che il format è molto apprezzato anche da tantissimi teenager, sebbene si potesse pensare che era più orientato ai “vecchietti”; l’“occhio lungo” su progetti di prossima o recente uscita (da EGreen a Salmo, passando per il ritorno dei Microspasmi); un invito alla fratellanza “di genere”, per cui non si devono per forza tenere distinti Don Joe e Noyz, Tormento o lo stesso Salmo. DWB sembra, in definitiva, il programma che chiude il cerchio su un genere di cui invoca a gran voce l’evoluzione: non tanto allo scopo di tenerlo in vita, quanto – forse – per farlo andare avanti.
Testo a cura di Alessandro Fabi
Intervista a cura di Francesco Theak