Dolore cronico: la cannabis più efficace degli analgesici
È il risultato di uno studio pubblicato su Pain che conferma le doti della cannabis nel contrastare il dolore e nel ridurre l'uso di derivati dall'oppio
Uno studio recente pubblicato sulla rivista Pain ha confrontato l’efficacia della cannabis medica con quella dei farmaci analgesici tradizionali, offrendo nuove prospettive sul trattamento del dolore cronico.
CANNABIS E DOLORE CRONICO: LO STUDIO COMPARATIVO
I ricercatori dell’Università di Pittsburgh, insieme a quelli della Harvard Medical School e del National Cancer Institute (NCI), hanno analizzato due gruppi di pazienti affetti da dolore cronico: 440 individui autorizzati all’uso di cannabis medicinale e 8.114 pazienti trattati con analgesici convenzionali. Dopo tre mesi, il 38,6% dei pazienti che utilizzavano cannabis medicinale ha riportato miglioramenti clinicamente significativi nel dolore, nella funzionalità o nella percezione globale del cambiamento, mantenendo tali benefici anche a sei mesi. Nel gruppo trattato con farmaci tradizionali, il tasso di risposta positiva è stato del 34,9% dopo tre mesi.
RIDUZIONE DELL’USO DI OPPIACEI
Un aspetto rilevante dello studio riguarda l’uso concomitante di cannabis medicinale e oppioidi. Tra i 157 pazienti che assumevano entrambi, si è osservata una riduzione media del 39,3% nell’uso di oppioidi, misurata in equivalenti di morfina, dopo sei mesi. Questo dato suggerisce che la cannabis medicinale potrebbe essere utilizzata come supporto per diminuire gradualmente la dipendenza da oppioidi nei pazienti con dolore cronico.
Gli autori dello studio hanno concluso che la cannabis medicinale è risultata più efficace dei farmaci prescritti nel trattamento del dolore cronico, con una probabilità di risposta positiva 2,6 volte maggiore nel gruppo che utilizzava cannabis. Tuttavia, hanno sottolineato la necessità di ulteriori ricerche per confermare questi risultati in diverse popolazioni, data la natura osservazionale dello studio e le differenze tra i gruppi esaminati.

GLI STUDI PRECEDENTI
Come racconta il dottor Marco Bertolotto, già primario di Cure palliative presso l’ospedale di ALbenga e Pietra Ligure, nonché cofondatore di Clinn, Sono molti ormai i lavori scientifici pubblicati che dicono che la cannabis ha un suo razionale nel trattamento del dolore”. E’ un tema molto sentito, perché il dolore cronico colpisce il 25% della popolazione, “e quindi è un terreno dove agiscono le multinazionali farmaceutiche che producono antinfiammatori, ansiolitici, antidepressivi e oppiacei. Ma il tema non è la competizione tra case farmaceutiche o la competizione tra farmaci, il tema è la salute del paziente”.
“E allora quando abbiamo un farmaco come la cannabis che agisce perché migliora l’ansia, riduce la depressione, migliora il sonno e riduce il dolore, il paziente si trova in una situazione in cui la qualità generale della vita è migliorata”.
“Non è poca cosa, è già tantissimo, perché quando non abbiamo le armi per curare – un dolore cronico, se andiamo alla causa, è irrisolvibile – nel momento in cui rendiamo la qualità della vita del paziente migliore, abbiamo fatto un grande lavoro”.
Uno degli ultimi studi che ha analizzato la correlazione tra la legalizzazione nel Paese a stelle e strisce e la dipendenza da oppiacei ha notato un calo fino al 35% dei morti fra i consumatori abituali di medicinali a base di oppio, una statistica simile a quella evidenziata dallo studio in oggetto. §
Ricordiamo che l’epidemia di oppioidi negli Stati Uniti continua a rappresentare una grave emergenza sanitaria. Secondo i dati più recenti, nel 2022 si sono registrati circa 108mila decessi per overdose, con una leggera crescita rispetto ai 107mila del 2021. Di questi decessi, circa il 70% è attribuibile all’uso di oppiacei, in particolare il Fentanyl, un oppiaceo sintetico estremamente potente.