Editoriali e contenuti

Dolce Vita 43 – Novembre/Dicembre 2012

2014-04-14 04.38.50 pmVietare è una scorciatoia: è un modo per risolvere i problemi cancellandoli, come si fa con la polvere spostandola sotto il tappeto. Vietare è più facile che prescrivere, suggerire, convincere, presentare: è un taglio netto, l’abbassarsi di una saracinesca, la chiusura di ogni conversazione. Perché non posso farlo? Perché è vietato. Punto. La discussione è finita. E con la discussione finiscono anche il ragionamento, la nostra libertà, la nostra peculiarità di esseri razionali. Il divieto è un taglio lineare: non importano le persone, le circostanze, i momenti, le peculiarità di ciascuno e di ogni cosa. E’ vietato e basta.

C’è una cittadina in Germania – non una comune hippy, ma un Comune di 14 mila abitanti della Bassa Sassonia a maggioranza democristiana – che ha vietato i divieti per automobilisti e pedoni. Nel settembre del 2007 a Bohmte hanno cominciato a sparire i segnali stradali, i semafori, le strisce pedonali, persino i marciapiedi. E sono drasticamente calati gli incidenti.

Il senso dell’esperimento è chiaro: se non ho un sistema di controlli e di divieti che mi impone ad ogni istante una scelta, sarò indotto ad essere più responsabile e più prudente, a guardarmi intorno prima di attraversare una strada o un incrocio, a riflettere sulle conseguenze di ciò che faccio. L’abolizione dei divieti incrementa il senso di resposanbilità di ciascuno. Hans Monderman, l’ingegnere del traffico olandese che ha teorizzato per primo il concetto di “shared space”, cioè di spazio urbano condiviso fra pedoni e automobilisti, ha spiegato una volta che due regole sono più che sufficienti: si guida tenendo la destra, e si dà la precedenza a chi viene da destra. Sono regole, non divieti. “E se tutti le seguono – concludeva Monderman – non c’è bisogno di nessun cartello e di nessun semaforo. Ci si guarda intorno, si ragiona e tanto basta”.

Una società complessa non è probabilmente paragonabile al traffico di una cittadina sassone. Ma non ne è neppure troppo lontana dal punto di vista dei principi che devono regolarne il funzionamento. I divieti assopiscono, impigriscono, abbassano il livello di attenzione. Alcuni, fondamentali, sono naturalmente indispensabili: e sono più o meno quelli indicati tremila anni fa nei Dieci comandamenti. Gli altri, tutti gli altri divieti, o sono superflui o sono dannosi, perché nel limitare la libertà di ciascuno anestetizzano tutta quanta la collettività. Oggi accade il contrario: una miriade di leggi, circolari, regolamenti e decreti impone divieti e proibizioni di ogni sorta. E il risultato è abbastanza evidente: siamo uno dei paesi al mondo con il più alto tasso di illegalità, di corruzione e di evasione fiscale.

(editoriale numero 43)



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