Dolce Vita 40 – Maggio/Giugno 2012
Diciamo la verità: la decrescita è felice soltanto se siamo noi a deciderla, a guidarla, a volerla. Se decresco perché mi hanno licenziato, o perché mi hanno aumentato l’affitto, o perché pagate le tasse non mi rimane niente da spendere per me, non sono affatto felice. Sono incazzato, e anche molto. Decrescita e crisi sono dunque due modalità molto diverse fra loro. E nell’Italia di oggi, a dire il vero, sono anche due modalità opposte.
La crisi, che è ancora nelle sue fase iniziali e che secondo gli analisti esploderà in tutta la sua forza devastante dopo l’estate, è affrontata dal governo tecnico di unità nazionale con un’unica arma: aumentare le tasse per migliorare i nostri disastrati conti pubblici. Questa non è decrescita, ma impoverimento e miseria: quando le tasse superano di gran lunga ciò che ragionevolmente si può pagare, gli imprenditori si suicidano e i lavoratori perdono il posto, i giovani non avranno mai un lavoro e gli anziani sono costretti a conservarlo per pagare allo Stato altri contributi, l’economia ristagna e la povertà dilaga.
Così è crollato l’Ancien régime nella Francia del Settecento: troppe tasse e tributi, troppa corruzione, una parete stagna fra classe dirigente e popolo, la raccomandazione al posto del merito, la fedeltà al posto dell’ingegno. L’Italia è esattamente in questa condizione, con in più un debito pubblico che potrebbe in ogni momento andare in default.
La prima, la più importante decrescita felice deve riguardare lo Stato, il governo, la politica, i partiti. Meno leggi, meno regolamenti, meno vincoli, meno tasse, meno invadenza del pubblico, meno controlli, meno intrusioni. Se voglio aprire un negozio o una fabbrica o un ristorante, devo poterlo fare il giorno stesso, senza chiedere il permesso a nessuno. Se sono un genitore o uno studente, devo poter scegliere la mia scuola, o aprirne una di mio gusto, senza chiedere il permesso a nessuno. Se sono omosessuale e voglio costruirmi una famiglia, devo potermi sposare e adottare tutti i figli che posso mantenere. Se sono mussulmano o cattolico e voglio pregare con i miei amici, devo poter aprire una moschea o una chiesa dove e quando voglio, senza chiedere il permesso a nessuno. Se ho la patente e voglio fare il tassista, devo poterlo fare. Se ho un negozio, devo poter vendere quello che voglio. Se penso che la mia vita sia ormai giunta al termine, e non restino che sofferenze per me e per gli altri, devo poter scegliere di andarmene senza chiedere il permesso a nessuno. Se assumo una persona, devo poterla licenziare. Se voglio lavorare, devo poterlo fare alle condizioni che liberamente stabilisco con il mio datore di lavoro, senza chiedere il permesso a nessuno. Se voglio esercitare una professione, devo poterlo fare come e dove meglio credo, alle tariffe che decido io, e senza chiedere il permesso a nessuno. Se la mia famiglia, il mio condominio, la mia comunità o la mia Regione decide liberamente di ridurre o interrompere i legami con lo Stato centrale, deve poterlo fare senza chiedere il permesso a nessuno. E così via. Se decresce lo Stato, siamo tutti più felici.
(editoriale numero 40)