Dolce Vita 35 – Luglio/Agosto 2011
In una società di liberi e di giusti le carceri non dovrebbero esistere: non perché non ci sarebbero più i criminali (fare il male ai propri simili è una di quelle caratteristiche uniche e ineliminabili che ci distinguono dagli altri animali, e dobbiamo accettarlo), ma perché ci sarebbe un modo migliore per affrontare il problema.
Chiunque sia stato in una cella – a me è capitato per qualche ora da ragazzo – sa che si tratta di un’esperienza autenticamente disumana, perché colpisce al cuore la libertà di cui siamo fatti secondo natura.
La libertà, sebbene i filosofi e i maestri spirituali giustamente sostengano che è prima di tutto una predisposizione interiore, è anche, e in grandissima parte, una condizione fisica. Essere liberi significa potersi muovere, poter andare altrove, poter scappare. In questo siamo rimasti come gli altri animali: e se il nostro gatto non tollera una porta chiusa davanti a sé, anche se non ha nessun bisogno di varcarne la soglia, allo stesso modo noi non sopportiamo l’idea di non poter uscire dal luogo in cui siamo. Essere liberi significa potersene andare: la nostra condizione naturale è migratoria, perché abbiamo cominciato a diventare uomini, da scimpanzé che eravamo, quando siamo usciti dalla foresta, abbiamo lasciato le altre scimmie per esplorare la savana, ci siamo alzati in piedi per scrutare l’orizzonte, e abbiamo cominciato a correre.
La galera è l’impedimento fisico per eccellenza, e per questo è lo strumento più spietato per colpire la libertà naturale dell’uomo. Dovrebbe dunque essere usato con estrema parsimonia e circospezione, e soltanto in casi eccezionalissimi. La maggior parte dei reati dovrebbero essere depenalizzati all’istante, e le pene detentive trasformate in multe, sanzioni, lavori socialmente utili o, nei casi più gravi, arresti domiciliari. Soltanto i criminali peggiori, fortunatamente non molti, dovrebbero essere isolati dal resto della società: ma, anche in questo caso, il carcere può essere sostituito da una colonia penale dove si lavora e si guadagna secondo il proprio lavoro.
Del resto, che il carcere non serva a ciò per cui teoricamente esiste – la riabilitazione e il reinserimento nella società – è chiaro ed evidente a tutti: dalla galera, qualunque reato un detenuto abbia commesso, si esce decisamente peggiori di come si è entrati. In galera si subiscono abusi, molestie e stupri; c’è molta più droga pesante di quanta ne circoli fuori; ogni anno decine di donne e di uomini si tolgono la vita.

Chiudere le carceri è possibile, se lo vogliamo.
(editoriale numero 35)