Dolce Vita 33 – Marzo/Aprile 2011
Il denaro, come dicono i preti, è lo sterco del demonio? Angelo Caloia, per vent’anni presidente della banca vaticana, disse un giorno che “può anche diventare un buon fertilizzante”. Il banchiere di Dio aveva ragione: perché, come per ogni altra invenzione umana, il problema non è mai la cosa in sé, ma l’uso che se ne fa. E l’uso che facciamo dei soldi dipende da noi, non dai soldi.
Il denaro, che si sostituisce al baratto all’alba della nostra civiltà, è estremamente pratico perché può essere scambiato in qualsiasi momento con qualsiasi cosa; la carta di credito – quella geniale invenzione americana che ci consente di spendere oggi quello che guadagneremo domani – lo è ancora di più, perché contiene in un pezzetto di plastica tutte le nostre ricchezze, rendendole finalmente portatili, e dunque spendibili.
Ma il denaro, diciamo sempre, non compra la felicità. Se è per questo, neppure la povertà ci consente di comprarla. E il motivo, come spiega la pubblicità della MasterCard, è che ci sono cose che non si possono comprare. La mercificazione integrale della nostra vita quotidiana, l’elevazione della ricchezza a status da raggiungere a tutti i costi e con tutti i mezzi, la subordinazione delle buone maniere, della cultura, del merito e dell’intelligenza al dio denaro non sono in sé ostacoli al raggiungimento della felicità: sono semmai la prova fattuale che la nostra felicità è ancora lontana. È il desiderio di possedere, conquistare, accumulare ad avvelenarci la vita, non ciò che effettivamente possediamo o accumuliamo.
Il problema, come sempre, è nella nostra mente: nel nostro atteggiamento, nelle nostre pulsioni incontrollate, nella paura che muove l’avidità, il rancore, la grettezza. Diciamo la verità: essere ricchi è meglio che essere poveri, come la salute è preferibile alla malattia e la pancia piena alla carestia. È vero che la bellezza di un tramonto è incomparabile e gratuita, ma è anche vero che un tramonto gustato da una spiaggia tropicale è più bello di quello intravisto fra lo smog di una baraccopoli. Non ho mai creduto a chi dice che la povertà, come il dolore, sia un segno di purezza. La si può sopportare con dignità e con serenità, ma è sciocco santificarla.
Il denaro è una sostanza da usare in modo adulto e responsabile, tanto più in un mondo come il nostro dove gode di uno strapotere mai conosciuto prima. Bisogna legare il denaro al piacere, che è sempre doppio perché, come in un rapporto d’amore, ha bisogno del piacere altrui per inverarsi: il piacere di spendere vive insieme al piacere di donare, e senza generosità si rinsecchisce. È la grettezza, non la ricchezza a comprare l’infelicità.
(editoriale numero 33)