Dolce Vita 27 – Marzo/Aprile 2010
Il mostro fuoriuscito dai laboratori militari segreti e sfuggito al controllo dei suoi inventori, il Frankenstein del ventunesimo secolo profetizzato con toni cupi dalla fantascienza del ventesimo, si aggira intorno a noi e non è affatto un mostro: è invece il più straordinario mezzo di comunicazione, di espressione e di conoscenza che l’umanità abbia conosciuto.
Il web nasce al Pentagono con il nome di “Arpanet” (Advanced Research Projects Agency Network) per garantire un sistema di comunicazioni efficiente anche in caso di attacco termonucleare. L’attacco non c’è stato, e speriamo che non ci sia mai; in compenso internet è cresciuta fino a diventare più grande del mondo reale e nessuno è in grado di controllarla. Per questo fa tanta paura ai benpensanti.
Nei confronti di internet è in atto da anni una campagna di criminalizzazione che ha pochi paragoni al mondo: a leggere i giornali, sembrerebbe la causa principale di una serie pressoché infinita di reati, dallo stupro al terrorismo islamico, passando per la pedopornografia e il “graffitismo”. Il motivo per cui questa campagna isterica non riesce ad attecchire è semplice: perché tutti sanno che non è così. Tutti sanno che internet è un posto dove andare e, proprio come una chiesa o un coffee shop, è un posto dove puoi incontrare l’amore della tua vita o uno stupratore, una nuova occasione di lavoro o un vecchio amico o un serial killer. Tutti sanno che internet è una miniera infinita di informazioni, un pozzo senza fondo di novità, una finestra aperta su tutto ciò che esiste e su molte cose che non esistono, e che ci piacerebbe esistessero. Tutti sanno che internet è meno pericolosa della vita reale, perché lo schermo che dovrebbe inghiottirci in realtà ci protegge e ci fa sentire al sicuro.
Fortunatamente, è la tecnologia stessa a impedire ogni forma di controllo. Per ogni filtro, esiste un software che lo buca. Per ogni censura, c’è un trucco per abolirla o aggirarla. Ne sanno qualcosa i cinesi, che passano il tempo a tamponare le falle sempre più vistose che si aprono nella cortina di ferro virtuale che hanno costruito. Se neppure la bomba atomica può distruggerla, come pensano i dittatori di Pechino (o i moralizzatori di palazzo Chigi) di decidere che cosa può circolare e che cosa no?
Per i libertari di tutto il mondo – cioè per chi crede che il primo diritto naturale sia quello alla proprietà del proprio corpo, della propria coscienza e del proprio stile di vita – internet è la cosa più simile all’utopia che sia mai stata costruita; ed è una speranza sempre accesa per quei milioni che non conoscono ancora la libertà. Che poi sia nata in un laboratorio militare nel cuore della guerra fredda, pare a me una geniale ironia della storia.
(editoriale numero 27)