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Cibo: a chi troppo e a chi niente. Il sovrappopolamento è un falso problema

Cibo: a chi troppo e a chi niente. Il sovrappopolamento è un falso problemaNel 1974, al primo vertice delle Nazioni Unite sull’alimentazione a Roma, il segretario di Stato americano Henry Kissinger promise che la fame sarebbe stata debellata entro un decennio. All’epoca nel mondo c’erano circa 460 milioni di persone che soffrivano la fame. Ma invece di scomparire, la fame è aumentata costantemente: oggi, secondo le stime più prudenti, ci sono circa 800 milioni di persone nel mondo che patiscono la fame, mentre quelle più realistiche parlano di circa 2 miliardi di persone, quasi un terzo dell’umanità. È difficile immaginare un simbolo di fallimento più notevole dell’aumento della fame del mondo, soprattutto considerando che ogni anno produciamo una quantità di cibo più che sufficiente a sfamare tutti i 7 miliardi di abitanti del pianeta, e che ne avanzerebbe in abbondanza per altri 3 miliardi.

Tanto dovrebbe bastare per far cadere le preoccupazioni intorno al sovrappopolamento e per inquadrare la questione nei giusti termini, quelli di una più equa distribuzione delle risorse. Senza questa precondizione, nessuno potrà arrestare la fame, e quindi i flussi migratori. Mentre l’11% della popolazione mondiale è malnutrita, 600 milioni di persone sono obese, e 1,3 miliardi sovrappeso. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, ogni anno, un terzo di tutta la produzione alimentare viene buttata prima che arrivi al consumo. Vale a dire 1.3 miliardi di tonnellate di cibo.

Cibo: a chi troppo e a chi niente. Il sovrappopolamento è un falso problema

Di pari passo, la povertà sta aumentando invece di diminuire e la frattura fra paesi ricchi e paesi poveri si sta allargando, invece di assottigliarsi. Sarà evidente a tutti che nel nostro sistema economico c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato, che sta tradendo le aspettative della maggioranza dell’umanità e dev’essere cambiato al più presto.

All’inizio del 2014, la Oxfam riportava che le 85 persone più ricche del mondo erano arrivate ad accumulare una ricchezza maggiore di quella del 50 per cento più povero della popolazione mondiale, ovvero 3,6 miliardi di persone. L’anno seguente le cose erano già peggiorate, e così l’anno dopo ancora. All’ultimo evento annuale del World economic forum a Davos, la Oxfam ha annunciato che sarebbero 26 i miliardari (tra cui Jeff Bezos, Bill Gates, Warren Buffet, Bernard Arnault, Arancio Ortega) in possesso di tanta ricchezza quanto quella della metà più povera del pianeta.

Considerando che nei prossimi anni un grosso aumento demografico riguarderà le zone rurali, disagiate e instabili dell’Africa, cosa si pensa di fare? Le previsioni indicano che nel comtinente africano la popolazione quadruplicherà, passando da 1 miliardo a 4 miliardi entro la fine del secolo, quando sul pianeta saremo un numero mai così grande, poi destinato a scendere. Con una popolazione in crescita esponenziale e un inquinamento che altera l’intero ecosistema costruendo le premesse per carestie e tragedie climatiche, le prospettive della Terra sono allarmanti. Però ecco, non puntiamo il dito al sovrappopolamento.

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In una puntata di “Dataroom” sul tema, Milena Gabanelli ricordava che le più gravi food crisis nel mondo non sono causate dalla mancanza di cibo, ma dai conflitti armati che distruggono le infrastrutture, rendono impossibili le coltivazioni, impediscono le forniture, causano la chiusura di attività, interrompono l’occupazione e l’assistenza sanitaria, provocano recessioni economiche, e di conseguenza rendono proibitivo l’accesso ai mercati per l’acquisto del cibo.

Secondo la FAO (organizzazione dell’Onu che si occupa di cibo e agricoltura) il nostro pianeta potrebbe riuscire a produrre cibo a sufficienza anche per 20 miliardi di persone, forse anche di più grazie al progresso delle tecniche agricole. Di sicuro oggi abbiamo bisogno di una nuova “rivoluzione verde” che senza aumentare né l’estensione degli allevamenti, né quella dei campi coltivati, né l’impatto ambientale dell’acquacoltura, consenta di aumentare la produzione dei terreni esistenti, o di un cambiamento nelle nostre abitudini alimentari se vogliamo sfamare l’intera popolazione mondiale in maniera omogenea.

Coniugare temi apparentemente in attrito come pianificazione familiare, qualità della vita e (de)crescita economica è ancora possibile a patto di non stravolgere i termini della questione: il paradosso di avere nazioni in cui si muore di fame e altre in cui si getta l’eccesso di cibo nei cassonetti deve finire.

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