Se parliamo di diritti, parliamo di cannabis
È passata un’altra estate e siamo pronti a un altro giro di boa che ci porterà a un autunno di unione delle forze, per far sì che, dopo i numerosi rinvii, la Commissione Giustizia e i membri del Parlamento non restino sordi alle richieste delle persone, ma decidano in coscienza di porre su questo paese un tassello di libertà permettendo l’auto coltivazione per uso personale di 4 piante di cannabis regolare.
È ormai passato più di un anno dalla disobbedienza civile ‘Io Coltivo’ che ha visto Meglio Legale, insieme a Dolce Vita e a molte altre associazioni, protagonisti di una riapertura del dibattito che dovrà essere sostenuto nel tempo: i proibizionisti e i conservatori infatti mantengono sempre un atteggiamento costante nel voler imporre quella che è la propria morale.
Il sottile filo rosso che unisce le diversità coinvolte nel tema cannabis ci fa comprendere come il proibizionismo abbia in sé un carattere di morale imposta che limita i diritti, insinuandosi nella vita privata delle persone.
Credo che il primo motivo per cui serva una legge sull’auto coltivazione e quindi sul consumo personale sia quello di togliere, a livello di legge, quel velo di ipocrisia che vuole vedere i cittadini ancora sotto una morale imposta, apportando così anche un cambiamento culturale.
D’altronde solo l’anno scorso Antonella Soldo passò qualche ora in questura, prima della manifestazione a Piazza Montecitorio, per sentirsi dire che le piante della disobbedienza civile non potevano essere portate. Chiunque conosca minimamente il processo di coltivazione di una pianta di cannabis sa che quelle piante erano totalmente innocue: non avrebbero dato alcun effetto qualunque modo di assunzione si fosse utilizzato.
Se la libertà individuale viene costantemente messa in pericolo, la proibizione sulla pianta come visto poco sopra impatta sulla vita dei pazienti che si curano con cannabis terapeutica e con gli imprenditori che vivono nell’opacità di una legge che va a interpretazione, rendendo l’Italia un Paese con problematiche a macchia di leopardo, a seconda delle caratteristiche politiche dei territori.
Da Walter De Benedetto a Cristian Filippo, passando per altrettanti pazienti che ci hanno scritto in questi mesi e faticano a trovare il farmaco, o non possono permetterselo economicamente vista la necessità che ogni Regione legiferi in materia di Cannabis Terapeutica per l’attivazione dei ticket gratuiti, gli esempi sono diversi.
Uno ci arriva da una ragazza che soffre di fibromialgia, malattia non riconosciuta come cronica e invalidante, obbligata quindi a spendere oltre 200 euro al mese per poter convivere con il dolore cronico.
Ci sono persone che ci scrivono che in alcuni ospedali non hanno ancora idea di cosa sia la cannabis terapeutica, o dell’impossibilità di trovare un medico prescrittore.
Di questo non ci possiamo stupire: sono ormai 14 anni che abbiamo una legge sulla Cannabis Terapeutica e, solo un paio di Università illuminate hanno iniziato a tenere corsi universitari per i medici che si vogliono interessare alla cannabis.
Forse lo Stato si nasconde dietro al fatto che la cannabis sia una medicina che viene somministrata solamente dopo aver percorso altre strade? Tra cui gli oppiacei?
Nel lassismo generale le quantità di cannabis terapeutica non bastano mai, la qualità dei piani terapeutici è scadente perché spesso capita che un paziente debba muoversi da una qualità all’altra di medicina, e i pazienti che non possono vivere senza terapia praticano l’auto coltivazione, rischiando tutti i procedimenti penali del caso.
Miopia scientifica o consapevolezza? Se guardiamo oltreoceano, in America, prima del proibizionismo lo Stato finanziava (addirittura) i progetti di ricerca sulla psilocibina e l’LSD a fini terapeutici: dalla John Hopkins ad Harvard. In Italia facciamo fatica a trovare una sola università che parli di ricerca scientifica in merito alla cannabis, mentre in altri centri di ricerca stanno studiando le proprietà delle numerose molecole da cui è costituita la cannabis.
Ignorare la ricerca scientifica, rispetto a quello che è naturale, è un problema per lo sviluppo della società: spesso inseriamo la questione del consumo personale all’interno della sola libertà, a volte un po’ superficialmente. Ma ricerca scientifica significa anche, ad esempio, capire che il consumo personale di cannabis è un ‘vizio’ minore rispetto all’uso dell’alcol. Saper controllare la sostanza e non farsi controllare da essa, come ci ha ricordato Susanna Ronconi durante una diretta con Meglio Legale parlando del Progetto NAHRPP, che ha delineato dei modelli di autoregolazione del consumo di cannabis nella prospettiva di riduzione del danno, facendo riferimento alla capacità dell’essere umano di regolarsi senza essere soggetto a uno stigma.
Stigma a cui sono soggetti anche gli imprenditori del settore, perché in Italia la guerra alla droga è una guerra alla cannabis, e dar la possibilità di interpretare le normative fa scaturire il rischio di negare la libertà economica alle persone. Anche gli imprenditori in Italia diventano parte debole della storia: la legge 309/90 infatti si inserisce in modo manipolatorio all’interno della 242/2016. Tra sentenze chiarificatrici o deleterie della Corte di Cassazione e interventi specifici del MIPAAF per dover chiarire la natura delle infiorescenze (per piante che hanno un THC inferiore allo 0,5%).
Eppure, ci sono procure che ancora oggi si ostinano, contro scienza, a voler dimostrare che la sola presenza di THC sia perseguibile. Vengono indagati imprenditori sulla presunzione di illegalità, con delle ripercussioni economiche non indifferenti da due punti di vista: dal punto di vista soggettivo, in quanto viene limitata la libertà imprenditoriale in una condizione di legalità di fatto, e dal punto di vista oggettivo rispetto al danno che si crea a tutti i cittadini reprimendo l’economia e riempiendo le aule giudiziarie e i tribunali. L’evoluzione dello stigma a livello imprenditoriale, mai abbandonato da alcune esponenti della destra: ricorderete le affermazioni di Giorgia Meloni sulla chiusura dei Grow Shop, a cui abbiamo risposto come Meglio Legale con una diffida portata avanti dai negozi che fanno parte della rete Meglio Legale Point.
Se è vero che la contingenza economica minaccia quasi sempre nella storia i diritti sociali, è anche vero che proprio nella battaglia per la cannabis legale viene esaltata quella che è l’etica sociale, tenendo insieme tre principi fondamentali: economia, giustizia sociale e libertà individuale, tre elementi che in un rapporto di tensione liberano le persone dalla soggezione dello Stato.
Fonte: www.megliolegale.it