Dio c’è (ma a volte è stanco o troppo preoccupato)
E’ strano Fratelli come si diventi tutti un po’ più religiosi nelle disgrazie; quando siamo in merda… chissà com’è, ma ci appelliamo all’Altissimo, qualunque sia il nome che gli diamo. Il carzero naturalmente non fa eccezione e lì la disperazione Fratelli, spesso abbonda. Poter professare il proprio culto è un diritto sancito dalla costituzione e l’eterogeneità di etnie che compongono la schiera dei prigionieri ha reso normale lì, forse più che altrove, la convivenza pacifica delle diverse divinità. Quasi tutti i musulmani pregano le volte prescritte dal corano (5 al giorno); i cristiani possono partecipare alla messa della domenica. La messa è un vero e proprio rito; anche perché è uno dei pochi momenti (l’altro è in occasione di incontri calcistici…sempre fede è!) in cui si possono incontrare i detenuti di altre sezioni e scambiare due parole. Questo non vale per i detenuti delle sezioni A.S. che partecipano ad una messa “tutta per loro” poiché hanno il divieto d’incontro con i detenuti cosiddetti “comuni”.
La presenza dei sacerdoti è, soprattutto per chi non fa colloqui, o ha la famiglia lontana, o non l’ha affatto, un supporto notevole, spesso più materiale che morale. Chi se non il prete può metterti dieci euro sul libretto per poter comprare almeno caffè e francobolli, quando non hai niente e nessuno? Molti carcerati, più spesso quelli di “lungo corso”, sono devoti a Santi Patroni particolari ed anche quelli che non lo sono in maggioranza pregano; il Vescovo è l’unica Autorità che visita regolarmente i detenuti, almeno una volta l’anno, in occasione del Natale o della Pasqua; questo contribuisce a sviluppare una “spiritualità” chiaramente favorita dal fatto che si vive una dura condizione umana.
A volte ci si sente davvero così abbandonati che resta solo Dio. Vi sono anche, tra i prigionieri, uomini che si professano atei; a volte lo sono…a volte lo sono così tanto d’aver spesso bisogno di un altro Dio. Nella discussione della cosiddetta “sintesi”, il risultato del programma di osservazione interna attraverso il quale si accede ai benefici di legge, viene chiesto un parere informale anche al cappellano del carcere, ed in molti casi è lui stesso che si fa garante, attraverso l’interessamento presso strutture rieducative, per periodi di affidamento in prova o a comunità. Alla luce della recente (per me che scrivo, n.d.r.) sentenza che sancisce per i “rasta” il diritto di “bruciare” l’incenso tanto caro al loro Dio, mi chiedevo se al di là del cancello, qualcuno non stia pensando di compilare delle “domandine” ad hoc. Insomma Fratelli, nel nome del Padrino, del figlio e dello spirito santo…buona autunno a tutti!!