Diego Fusaro: “il futuro è nostro”
A soli 33 anni Diego Fusaro è un filosofo affermato che insegna all’Università, pubblica libri con editori prestigiosi, dirige una collana di testi filosofici, partecipa a convegni e viene spesso invitato in televisione per discutere di argomenti di attualità e capire come il giovane filosofo pensa il mondo in cui vive.
Il punto di partenza, per Diego Fusaro, è che la filosofia non sia solo lo studio dei grandi pensatori del passato, ma che possa essere la via per crearsi i propri strumenti per capire il mondo in cui viviamo ed agire su di esso, per cambiarlo in meglio. «I filosofi si sono limitati ad interpretare il mondo, mentre adesso è ora di cambiarlo», scriveva il Marx delle “Tesi su Feuerbach” in un pensiero che Fusaro sembra aver fatto proprio nel libro “Il futuro è nostro, filosofia dell’azione”.
Lui che si definisce allievo indipendente di Hegel e di Marx, insieme alla notorietà ed al crescente successo mediatico ha ricevuto anche molte critiche, ad esempio per le sue posizioni sull’Europa, sulla famiglia, sul superamento di destra e sinistra come categorie politiche e sul fatto che in generale a molti pensatori appaia molto abile nel distruggere il modello attuale, senza dare però una risposta altrettanto forte riguardo alle alternative possibili. Noi, in questo numero dedicato al lavoro, abbiamo pensato che l’opinione di un giovane filosofo italiano, potesse essere importante e costruttiva per tutti. Ecco cosa ci ha raccontato oggi Fusaro, annoverato nel 2013 da Maurizio Ferraris su La Repubblica tra i più promettenti giovani filosofi d’Europa.
Cosa direbbe Marx oggi del fatto che per “aiutare” i lavoratori si smantellano diritti acquisiti come successo ad esempio con l’articolo 18?
Più che altro non si stanno aiutando i lavoratori, evidentemente si sta andando nella direzione opposta e si sta agevolando la parte del capitale, quella dei dominanti. Marx oggi direbbe che la lotta di classe non è sparita ma sta vincendo la classe dominante senza che nemmeno la classe dominata sia in grado di resistere o di fare una contro-offensiva. Stanno subendo in silenzio e ci stanno portando via tutto. E quindi direbbe questo: che la lotta di classe sta continuando ma è ormai univocamente condotta dai dominanti.
E i sindacati che ruolo hanno in questo momento storico?
Sono impotenti e irrilevanti. Il sindacato aveva una sua forza di contrattazione quando c’era l’Unione Sovietica e quindi dietro al sindacato c’era l’ombra del colosso sovietico; dopo il 1989 il sindacato viene deriso e sbeffeggiato perché non ha più alcuna capacità rivendicativa, tant’è che oggi non si fanno più grandi scioperi per bloccare le produzioni, ma si fanno risibili scioperi dei mezzi di trasporto pubblici che non toccano in nessun modo la produzione e creano solo rabbia tra gli ultimi.
E cosa si potrebbe fare per invertire la tendenza?
Ad esempio si potrebbero fare scioperi generali per mettere in ginocchio la produzione su scala nazionale ed internazionale. Lo sciopero nasce come strumento di rottura della continuità lavorativa, se tu fai uno sciopero a settimana già non è più rottura, ma parte dell’ordine delle cose e poi deve essere continuativo e colpire gli interessi dei dominanti. E non è quello che accade con gli scioperi dei mezzi pubblici perché mica vai a colpire Marchionne o Davide Serra, vai a colpire l’altro operaio o addirittura il disoccupato.
Di recente ti sei scagliato contro Starace, l’ad di Enel, che in una conferenza stampa aveva sottolineato la necessità di terrorizzare i dipendenti…
L’episodio di Starace è uno dei tanti, pensiamo al sottosegretario Barracciu quando aveva detto che scioperare è reato. Questo di Starace è interessante perché rappresenta la violenza di classe dispiegata pienamente da parte della classe dominante che minaccia addirittura di terrorizzare i lavoratori. In altri tempi non si sarebbe nemmeno potuta dire una cosa del genere senza che si sollevassero proteste o moti di piazza e magari anche un uso certo condannabile della violenza. Oggi invece possono permettersi di dire quello che vogliono, anche con affermazioni volgari ed oscene come quelle di questo Starace, il cui nome suona inquietante in quanto tale (il riferimento è ad Achille Starace, segretario del partito nazionale fascista per 8 anni, ndr).
Parlando di robotizzazione del lavoro: può essere un vantaggio per tutti perché si possono produrre le stessi merci lavorando meno, o produrrà dei conflitti sociali perché le grandi aziende se ne approfitteranno semplicemente risparmiando sui dipendenti?
Io temo che si andrà nella seconda direzione. Basta vederlo su micro-scala quando andiamo al supermercato e ci sono le casse automatiche e vedi che hanno ridotto il personale, mica aumentato: hanno lasciato a casa dei lavoratori, è quella la contraddizione capitalistica. Il punto è che se si arriverà al fatto che si utilizzeranno solo le macchine, da dove lo tiri fuori il plusvalore? Il plusvalore lo ottieni sfruttando il lavoro vivo, non i macchinari.
Ma in un mondo ideale uno potrebbe pensare che se il lavoro viene svolto dalle macchine, la ricchezza rimane invariata e se distribuita nel modo giusto ognuno può dedicarsi alle proprie passioni…
È il vecchio argomento che aveva sollevato per primo Aristotele che diceva che se le statue potessero svolgere loro il lavoro, allora non ci sarebbe bisogno di schiavi e concludeva che, dato che possono, allora c’è bisogno di schiavi. Oggi possiamo dire che effettivamente le macchine possono svolgere molti lavori: il problema è che vengono utilizzate in nome del profitto e non dei bisogni umani, quindi la contraddizione resta quella classica capitalistica.
E cosa intendi tu per il superamento delle categorie di destra e sinistra? E quali nuovi termini potremmo usare per definire la politica di oggi?
Io intendo il fatto che la dicotomia destra e sinistra va bene fino a che la contrapposizione è tra capitale e lavoro, diciamo così. Nel momento in cui destra e sinistra dicono la medesima cosa e accettano entrambe la parte del capitale contro il lavoro io credo che si debba abbandonare questa finta dicotomia e creare una nuova dicotomia che poi non è molto nuova in verità: capitale e lavoro, servo o signore, la puoi chiamare come vuoi, il problema è che oggi destra e sinistra ripetono le stesse cose: sovranità assoluta del mercato liberista, subalternità assoluta del mondo intero alla potenza americana, e quindi non ha senso mantenere viva una contrapposizione se le due parti contrapposte dicono il medesimo messaggio e creano solo una finta contrapposizione. Io credo che si debba ricategorizzare la realtà e ricreare la vecchia dicotomia alto/basso, se vogliamo dire così: difensori dell’ordine mondiale capitalistico e nemici dell’ordine mondiale capitalistico.
È la stessa dinamica che si sta creando tra i fautori di un’Europa tecnocratica che non rappresenta i cittadini che governa e quelli che invece vagheggiavano degli Stati Uniti d’Europa completamente diversi da quelli di oggi?
Esattamente, tra l’altro io a questa mia argomentazione su destra e sinistra non ho mai sentito alcuna replica argomentata che non fosse l’accusa di fascismo o di essere di destra. Se dici di essere al di là di destra e sinistra, secondo alcuni, sei un fascista. È un insulto che è l’equivalente del buttare la palla in tribuna invece che giocare la partita. Sull’Europa sono dell’opinione che sosteneva Lenin nel 1912 quando diceva che era contrario agli Stati Uniti d’Europa perché creandoli in regime capitalistico sarebbe stata l’unione dei capitali europei contro le classi lavoratrici dei popoli europei, che è esattamente quello che è si è creato da Maastricht ad oggi.
Ma quindi il tweet che avevi scritto dicendo che serviva un fronte nazionale italiano per salvare l’Italia dalla dittatura europea, è stato uno scivolone o una cosa che rivendichi?
No, perché uno scivolone? Il fronte nazionale è una cosa nobilissima che ci fu ai tempi della liberazione nazionale con il Comitato di Liberazione Nazionale, la parola nazionale non è una parolaccia, la usa anche Gramsci.
Sì ma forse oggi se uno legge l’espressione “fronte nazionale” lo associa più ad un concetto di destra…
Ma perché c’è l’uso che ne fanno certe parti politiche. Allora usiamo Comitato di Liberazione Nazionale, se preferisci, conta il concetto, non la parola. Il concetto però è uno solo: oggi è evidente a tutti che democrazia fa rima con stato nazionale, non con internazionalismo e globalizzazione, c’è poco da fare. La vicenda della Grecia di Tsipras o il referendum in Gran Bretagna ne sono la prova: il popolo esiste democraticamente nello stato sovrano nazionale e non nello spazio globalizzato delle multinazionali o del TTIP e di entità che nessuno ha mai nemmeno visto e figuriamoci se ha eletto.
E qui arriviamo ad altre critiche che ti vengono mosse sulle tue posizioni considerate destrorse per il concetto di famiglia e quello di identità…
Certo, io sono destrorso e fascista come Tommaso D’Aquino, come Aristotele e come Gramsci e me ne vanto. Dire identità, non significa essere fascisti e dire famiglia non significa essere destrorsi è una stupidaggine clamorosa questa forma di non pensiero e di neo lingua con cui appena pronunci una parola vieni classificato. La famiglia è un concetto filosofico, non ha senso essere pro o contro, la famiglia esiste e il genere umano si riproduce attraverso il dimorfismo sessuale che è naturale e biologico e non c’è nulla di fascista a riconoscere questa ovvietà. È come il 2 più 2 che bisogna negare che faccia 4 nel romanzo di Orwell “1984”. L’identità significa avere delle radici, una cultura, una storia, come ogni popola ha. Non è fascista dire questo, magari è fascista dire che sulla base della propria identità bisogna annientare le altre ma io sono per il rispetto della pluralità delle identità e penso che l’Occidente capitalistico sia inguaribile nella misura in cui non accetta le alterità e le identità altrui e nemmeno più la propria. Dire identità significa dire radici e futuro, passato e prospettiva, mica manganello o carrarmato. Bisogna indicare qual è in nemico principale, la “contraddizione principale” – come diceva il presidente Mao – e non la troviamo nelle identità dei popoli ma nella forza scatenata della globalizzazione che uccide le identità, le comunità democratiche ed impone il dominio assoluto del mercato e dell’economia deregolamentata.
Tu sei un filosofo ormai affermato a livello internazionale però fai parte di quella generazioni di trentenni che sono stati insultati un po’ da tutti; che consiglio ti senti di dare ad un tuo coetaneo? Da dove possiamo ripartire?
Io consiglierei ai giovani di ripartire dallo studio dei classici e per classici intendo Platone, Tommaso D’Aquino, Macchiavelli, Aristotele, Hegel. Perché dobbiamo riappropriarci della nostra cultura e della nostra identità e soprattutto non dobbiamo curarci delle generazioni passate che hanno ipotecato il nostro futuro, in particolare la sciagurata generazione del ’68 che ha fallito e vuole trasformare il proprio fallimento anche nel nostro. Bisogna invece affrancarci da questi falliti che occupano oggi i principali posti di potere nella politica, nella cultura e nello spettacolo.
Hai scritto libri, insegni, animi da tempo un sito internet… Qual è stata la molla che ti ha fatto iniziare quest’opera divulgativa?
La vera filosofia si occupa della realtà e non di altra filosofia e quindi come diceva Hegel “la filosofia è il proprio tempo appreso nei concetti” quindi significa che la vera filosofia pensa alla realtà come si viene svolgendo e quindi è impossibile per un filosofo non occuparsi criticamente del proprio mondo storico; questo dovrebbe fare la filosofia anche se mi rendo conto che spesso viene anestetizzata e trasformata in una disciplina innocua in cui si studia cosa hanno detto i filosofi del passato e mai si prende in esame la realtà presente. Io provo nel mio piccolo a riportare la filosofia alla sua dimensione hegeliana di pensiero pensante del proprio mondo storico.