Decrescita felice: le 7 cose da sapere per comprenderla davvero
Tante volte ognuno di voi avrà sentito parlare di “decrescita felice“. E tante volte si sarà chiesto: ma che cos’è in realtà? Come funzionerebbe? Ecco spiegata in modo accessibile una teoria della quale (è inevitabile vista la necessità di rivedere il nostro modello di sviluppo) sentiremo sempre più spesso parlare.
1. LA DESCRESCITA È IL RITORNO ALL’ETÀ DELLA PIETRA?
No, la decrescita rappresenta la messa in discussione dei presupposti teorici insostenibili del consumismo, del capitalismo e della tecnologia. Ma non prevede l’eliminazione degli oggetti propri della modernità. Vivere la decrescita non significa rinunciare del tutto ad auto e aereo, ma certamente significa limitarne l’utilizzo allo stretto necessario. Allo stesso modo non significa tornare all’epoca dell’aratura manuale dei campi, ma prevede un’agricoltura rispettosa dei cicli e dei ritmi della natura, degli ecosistemi e di tutto il vivente. Non significa rifiutare la tecnologia, ma prevede che le invenzioni siano guidate da uno spirito di servizio verso la Terra. Accorgimenti che partono dall’assunzione di responsabilità di fronte alle gravi emergenze del nostro tempo. Non possiamo continuare a promuovere modelli tecnologici, economici ed etici che risultano aggressivi e devastanti nei riguardi della Terra, per questo vi è l’esigenza di radicali cambiamenti nel modo di produrre e di vivere: questo è il primo assunto teorico della decrescita.
2. DECRESCITA SIGNIFICA PROIBIRE LO SFRUTTAMENTO DI OGNI RISORSA NATURALE?
Certamente dovrebbero cessare al più presto tutti quei metodi di estrazione che danneggiano l’ambiente (come il fracking, le miniere a cielo aperto, ecc.), così come lo sfruttamento di materie prime che alimentano le guerre (coltan, diamanti, ecc.) e di quelle che richiedono troppa acqua per il processo di pulizia. Per tutte le altre risorse non rinnovabili (petrolio e gas in primis) occorrerebbe limitare lo sfruttamento in quantità al di sotto delle capacità di rigenerazione del bene stesso. L’obiettivo di fondo, nel quale andrebbe coinvolta la ricerca scientifica, deve essere quello di convertire al più presto tutta l’industria energetica alle fonti rinnovabili e pulite. Dovrebbe quindi essere avviato in tempi stretti un processo di mutamento in cui prevalgano obiettivi di salvaguardia e conservazione, mentre le limitazioni e i divieti sarebbero ispirati in larga misura a criteri di ridimensionamento delle produzioni in funzione di consumi concentrati sui bisogni essenziali e sulla soddisfazione di esigenze che saranno espresse rispettando la volontà delle popolazioni locali.
3. QUALE RUOLO AVREBBERO LA TECNOLOGIA E L’INDUSTRIA?
Così come l’industria energetica, e tutta la produzione in generale, anche la tecnologia deve essere liberata dai condizionamenti del potere economico e messa al servizio del benessere della collettività e del pianeta. Il paradigma che guida attualmente la nostra società, e che è a base del sistema produttivo liberista, ritiene che la tecnica sia in grado di risolvere ogni problema, sociale, ambientale o sanitario, in un ambiente dove energia e materie prime sono ritenute sempre disponibili, praticamente infinite. Si tratta di una visione sbagliata ed immotivatamente ottimistica, come dimostrano i dati sul disastro ambientale in atto e sulla scorretta distribuzione delle risorse. É necessario, quindi, un nuovo paradigma scientifico, coerente con la prospettiva della decrescita, che sviluppi tecnologie appropriate e condivise dalla collettività. Scienza, industria e ricerca devono essere poste al servizio della collettività, e guidate dal principio della ricerca del bene comune. Una società della decrescita non potrà delegare a tecnocrati o centri di potere economico quali ricerche svolgere e soprattutto non potrà affidare a valutazioni solo scientifiche il proprio presente e il proprio futuro, con la consapevolezza che scienza e tecnologia non possono risolvere limiti naturali, come l’esaurimento delle risorse, ma solo rispondere a domande sociali.
4.L’ATTUALE CRISI ECONOMICA È UN ESEMPIO DI DECRESCITA?
No, la recessione selvaggia in atto non va confusa con la decrescita scelta e selettiva. I processi di decrescita non vanno confusi con le politiche di austerità messe in atto dai governi e che sono un modo arrendevole di adattamento alla crisi e nemmeno con politiche neo-keynesiane (di sostegno pubblico all’economia di mercato) che servono solo ad attutire e dilazionare le conseguenze della crisi senza affrontare le sue ragioni profonde e strutturali. La decrescita invece comporta un completo cambiamento di modelli, un nuovo paradigma, un salto storico nelle relazioni e nelle logiche sociali, per un motivo molto semplice: le analisi formulate sullo “sviluppo”, hanno portato i teorici della decrescita a convincersi che è l’intero sistema dominante di tipo capitalistico che deve essere sostituito, poiché i danni arrecati al pianeta e alle popolazioni più deboli non possono essere modificati dall’attuale sistema economico e sociale. Il sistema dominante ha superato i limiti di sopravvivenza della biosfera, ha trasformato il clima e sta alterando le condizioni di sopravvivenza delle specie viventi (non solo di quella umana), il tutto dimostrando di non essere nemmeno in grado di garantire un’esistenza dignitosa a tutti gli abitanti del pianeta.
5. COME SI PONE LA DECRESCITA DI FRONTE AL BISOGNO DI SVILUPPO DEI PAESI POVERI?
Quel che spesso si chiede ai fautori delle decrescita è: “Ma cosa vorreste far decrescere ai paesi poveri? E ai tanti che anche nei paesi industrializzati vivono sotto la soglia di povertà?”. Si tratta di domande che però partono da un fraintendimento di fondo. La decrescita non è sinonimo di diminuzione dei beni e dei servizi necessari al benessere delle persone. La decrescita al contrario si propone di aumentare l’accesso ai beni primari, liberandoli dal giogo del denaro e del libero mercato che, invece, ne negano l’accesso a buona parte degli abitanti del pianeta. Secondo la teoria della decrescita, è solo fuoriuscendo dal dominio del capitalismo che è possibile “lasciare in loco”, a disposizione delle popolazioni locali, le immense risorse del Sud del mondo. La decrescita prevede l’abbattimento di tutte le logiche di sfruttamento neo-coloniale che affamano il sud del mondo: stop alle coltivazioni orientate solo all’esportazione nei paesi ricchi, all’uso di sostanze chimiche volte a massimizzare la produzione ma che distruggono l’habitat, ai fenomeni del land-grabbing e alle logiche dell’assistenza della cooperazione internazionale. Da questa rivoluzione può cominciare il riscatto dei paesi poveri, i quali potranno finalmente produrre, vivere e lavorare per la propria sussistenza.
6. CON LA DECRESCITA DIMINUIRÀ ULTERIORMENTE L’OCCUPAZIONE?
Ovviamente non è semplice convincere chi ha perso il lavoro, o si trova in condizione di ristrettezza economica a diventare un paladino della decrescita. “Già siamo messi male, se diminuisce pure la produzione industriale come troverò mai un lavoro?” potrebbe essere la risposta tipo. Eppure la decrescita sarebbe inaspettatamente utile proprio per chi si trova in queste posizioni. Proprio dalla liberazione della produzione dalle logiche dell’arricchimento di grandi imprenditori e multinazionali può infatti passare la creazione di nuovi posti di lavoro: specie per quanto riguarda l’agricoltura. Tornare ad una produzione alimentare su piccola scala, sostenibile, e finalmente slegata dalle logiche dell’industria e dalla tecnica delle enormi monocolture, produrrebbe un grande numero di posti di lavoro per piccoli produttori di materie prime più buone, sane e sostenibili. Inoltre, per chi un lavoro lo ha già, il passaggio verso un modello di produzione liberato dalle logiche del capitalismo dovrebbe permettere sia di ridurre le ore lavorate per persona (aumentando tempo libero e qualità della vita), sia di concentrare la produzione su beni e servizi realmente utili, pur mantenendo retribuzioni sufficienti alla soddisfazione dei bisogni non appagabili altrimenti (tramite l’autoproduzione).
7. QUALE AUTORITÀ DOVREBBE GOVERNARE LA DECRESCITA?
Una società della decrescita deve essere guidata dal senso del limite, del bastevole. Questa è l’assunto di base per permettere a tutti di avere risorse sufficienti alla propria vita, senza però negarne agli altri e senza gravare eccessivamente sul pianeta e sulle risorse a disposizione delle generazioni a venire. Ma chi può stabilire questo senso del limite? Un tempo, nell’epoca pre-industriale, ci pensavano le religioni, o i regimi assolutistici, oggi l’unica soluzione può, e deve, essere laica e democratica. Secondo il progetto politico della decrescita consapevole una trasformazione socioeconomica profonda può avverarsi solo partendo dalla presa di coscienza di ciascun individuo per diventare un movimento di popolo. La decrescita si sostanza in innumerevoli micropratiche di cittadinanza attiva che quotidianamente sperimenta modi di produzione sociale, senza fini di lucro, di beni e servizi utili per sé e per gli altri. La società della decrescita, che ha come obiettivo quello di raggiungere un equilibrio con la biosfera, è necessariamente una società autogovernata, con un più alto – non più basso – tasso di democrazia. L’unica “autorità”, quindi, che può decidere quanto prelevare, quanto consumare, quanto restituire nell’ambiente naturale esterno, è la comunità dei produttori e dei consumatori che abitano i loro territori, conoscendone le potenzialità e rispettandone i limiti.