Dargen D'Amico – Al Meccano (txt)
Quando abitavo in Lomellina ero meno di un metro. Montavo i pezzi sul tappeto, già dalla mattina. Mia madre metteva su Michelle, si metteva sul divano e mi osservava, col Meccano, costruire l’Eiffel. Ma, arrivato in cima, mancava sempre un dado. Non me ne capacitavo, sbriciolavo l’autostima, e liberando le dita dal peso delle brugole, scappavo con le nuvole del senso della mia vita. Ti costruisci una vita su basi solide e sane, poi perdi un pezzo e la vita va a puttane. Ed è come aver firmato contratti con mattite da disegno, e ti ritrovi senza poter firmare un assegno. Qualcuno consiglia: se le cose vanno storte, raddrizza la sorte con qualche droga e fatti forte. Io ho assaggiato l’eroina, la coca con l’aspirina, il mio sperma, la mia urina ma temo ancora la morte. Quando nasci confezionato nei quartieri basci, hai quattro amici buoni e lavori come pony, a 30 anni vuoi cambiare giro, o almeno provare, come un tiro, e toglierti di mezzo, ma ti manca l’attrezzo. Se anche trovi gli attrezzi, ti mancano sempre dei pezzi. E sono pezzi importanti, come colonne o le donne. E poi quando trovi lei per te sono già le sei, è il tuo tramonto e ti chiedono di chiudere il conto, di firmare il quadro. TU rispondi “Pensavo la vita fosse sogno e io sogno senza portafoglio”. POi qualcuno ti bussa dietro e tu preghi perché sia Pietro e ti renda leggero, e invece è solo un sogno passeggero. Chi ti bussa dietro è la sveglia e tarda è l’ora che segna. Ti alzi con gli arpioni e rincominci a fare il pony. Io e te lo sappiamo, non andremo lontano, lacrime sullo sterzo, chi gode è sempre il terzo.
Quand’ero sbarbato giocavo ai Playmobil ma soprattutto al Meccano. Quello che utilizzavo era usato e mancava qualche dado.