Dal seme alla micropropagazione: il futuro della cannabis è in vitro?
Tra un po’ di tempo la biotecnologia agraria potrebbe creare una variante del testo di “Ci vuole un fiore”, la famosa canzone di Sergio Endrigo. Per ci non la ricordasse, fa così: «Per fare un tavolo ci vuole il legno / per fare il legno ci vuole l’albero / per fare l’albero ci vuole il seme / per fare il seme ci vuole il frutto / per fare il frutto ci vuole un fiore / Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore / per fare un tavolo ci vuole un fiore». La canzone di per sé spiega in modo sintetico la cosiddetta riproduzione sessuale degli organismi vegetali.
Andando nel dettaglio le piante si riproducono in maniera simile agli umani. Queste, una volta raggiunto il momento propizio per riprodursi, generano un fiore, all’interno del fiore si forma un androceo e/o un gineceo, che sono rispettivamente gli organi sessuali maschili e femminili della pianta. L’androceo sviluppa il polline che a contatto con l’ovulo contenuto nel gineceo crea un frutto contenente il nuovo embrione detto altresì seme. Il seme è il risultato del rimescolamento del DNA delle due piante genitrici, il quale porta all’acquisizione o la perdita di nuove caratteristiche genetiche. Dal seme si possono ottenere nuovi esemplari di piante con caratteristiche nuove e migliori, legate alla maggiore quantità e/o migliore qualità del frutto o magari legate alla resistenza della pianta ai patogeni. Tuttavia, la riproduzione sessuale presenta anche delle problematiche molto rilevanti; il rimescolamento genetico può portare anche ad avere piante che presentano caratteristiche peggiori rispetto a quelle dei genitori, inoltre, salvo alcune tecniche agronomiche e approfondite selezioni genetiche, i semi genereranno delle nuove piante con caratteristiche talvolta molto diverse sia rispetto a quelle dei genitori che agli stessi fratelli.
Nel caso della canapa per limitare tale inconveniente si innesca un’auto-impollinazione. Tramite alcune sostanze, come ad esempio l’argento colloidale, si può indurre la produzione di fiori maschili su una pianta di sesso femminile: ciò porta alla formazione di semi molto simili alla pianta madre che al 90-95% dovrebbero dare vita a una pianta di sesso femminile. In ambito farmaceutico le infiorescenze prodotte da piante selezionate con tale tecnica non possono andare bene. Un farmaco è un prodotto standardizzato con una quantità di principio attivo precisa, la quale può essere dosata al fine di ottenere gli effetti terapeutici. Nel caso della canapa anche una piccola variazione genetica potrebbe creare piante che hanno quantitativi molto diversi dei principi attivi e di conseguenza non si avrebbero gli stessi effetti curativi. La canapa è un vero e proprio laboratorio, le sostanze prodotte e identificate sono 554, di cui 113 sono fitocannabinoidi e 120 terpeni. È quanto mai fondamentale avere delle piante che producano in quantità costante i principali principi attivi a uso farmaceutico.
La canapa ad uso medicinale solo inizialmente deriva da seme. I coltivatori prendono molti semi di una varietà ad alta produzione di principi attivi, tali semi vengono fatti crescere e da essi si sceglie generalmente una sola pianta madre che soddisfi le esigenze dei pazienti, queste piante madri vengono anche denominate piante élite. In seguito tale pianta madre viene mantenuta costantemente in fase vegetativa e da essa si ricavano poi delle talee, cioè delle porzioni di ramo staccate dalla pianta madre, le quali vengono fatte radicare e da cui si ottengono dei cloni con caratteristiche praticamente tali e quali alla pianta madre. Una volta che le talee si sono sviluppate a livello vegetativo possono essere indotte a produrre finalmente infiorescenze. Il taleaggio però non risulta essere una pratica molto vantaggiosa poiché una pianta madre può produrre un numero limitato di talee. Se si volessero ottenere più talee si dovrebbero avere più piante madri, questo vuol dire far crescere altre piante madri uguali alla pianta madre originaria e avere uno spazio ampio per farle crescere, inoltre va messo in conto la perdita di tempo per lo sviluppo delle altre piante madri. Lo spazio dedicato al mantenimento della fase vegetativa delle altre piante madri può essere dedicato allo sviluppo di piante in grado di produrre infiorescenze. Tale procedura è sia difficile a dirsi che a farsi. La soluzione a tutte queste problematiche è semplice: micropropagazione.
La micropropagazione è una tecnica che permette di ottenere numerosi cloni partendo da una sola pianta madre. Basta far sviluppare una piccola porzione di pianta, talvolta anche una singola cellula. Di fatto le piante presentano un interessante meccanismo di totipotenza, cioè, la singola cellula vegetale o una piccola porzione di pianta, se create le condizioni ideali, possono ricreare l’intera pianta. È come se da una nostra pellicina si potesse ricreare un intero clone di noi stessi.
La tecnica di micropropagazione della canapa risulta essere abbastanza semplice. Si parte dalle gemme ascellari dei rami, si preleva la sola gemma o la gemma con una parte piccola di ramo e la si fa crescere in contenitori in cui è presente un substrato gelatinoso che contiene i nutrienti necessari alla piccola plantula per crescere (Figura 1). Un ramo può avere numerose gemme ascellari, quindi da un singolo ramo potremmo avere numerose piante anziché una sola nel caso in cui usassimo quello stesso ramo per fare una talea. Le gemme ascellari coltivate in vitro sono in grado di emettere velocemente delle radici e si possono avere piantine formate in poche settimane. La problematica di tale tecnica sta nel fatto che si necessita di operatori specializzati nella produzione di colture asettiche e strumentazioni per lavorare in sterilità; di fatto tale coltivazione prevede una sterilizzazione delle gemme ascellari prima di essere coltivate, in maniera tale da far crescere in vitro solo la pianta senza avere contaminazioni funghi o batteri. Inoltre tali porzioni di pianta una volta emesse le radici necessitano di un periodo di adattamento dalle condizioni in vitro a quelle indoor o in outdoor. Passato tale periodo si hanno delle piante in grado di crescere e completare il loro ciclo vitale normalmente.
Le piante ottenute da micropropagazione, salvo rari casi in cui compare una mutazione spontanea o la si induce, mantengono uno stesso quantitativo di cannabinoidi simile a quello della pianta madre e alle talee da essa derivate (Figura 2). La micropropagazione potrebbe essere usata con altre tecniche di selezione genetica al fine di selezionare piante con caratteristiche farmaceutiche ben precise. In conclusione, la micropropagazione potrebbe essere utile e altamente proficua per gli enti pubblici che producono canapa medica, come ad esempio lo Stabilimento chimico farmaceutico militare italiano. In questi ultimi anni numerose sono state le lamentele dei pazienti italiani circa l’efficacia della qualità delle infiorescenze prodotte in Italia. Se si potessero sviluppare in questa maniera le piante, si avrebbe un prodotto di altissima qualità e gradevole al paziente, inoltre si avrebbe un’indipendenza per quanto riguarda l’importazione delle infiorescenze dall’Olanda.
Si spera che in Italia un giorno tale tecnica possa essere applicata per la crescita della canapa, fin quando la legislazione non permetterà alle aziende private di poter rifornire la domanda interna del nostro paese o fin quando le istituzioni pubbliche non aggiorneranno la loro tecnologia per farla andare di pari passo ai tempi moderni, difficilmente potremmo progredire nell’ambito canapicolo medico.
Magari un giorno la famosa canzone potrà avere questa variante: «Per fare un tavolo ci vuole il legno / per fare il legno ci vuole l’albero / per fare l’albero ci vuole la gemma…».