DAD: disagio a distanza
È trascorso quasi anno dalle prime lezioni telematiche. Partite male e zoppicanti, con un ritardo di quindici anni nel progresso di modernizzazione dell’istruzione, hanno mostrato come la didattica a distanza sia un’alternativa alla scuola tragicamente meno inclusiva. Mese dopo mese abbiamo visto crescere il divario fra gli studenti, ormai voragine, e la recente analisi del consiglio nazionale degli psicologi ha mostrato che questa è solo la punta dell’iceberg.
La fotografia che ne esce è di giovani costretti a casa e divorati da sbalzi di umore, fra stress e depressione. Un diffuso senso di malessere e mancanza di stimoli alimenta le paure degli specialisti che, osservando i ragazzi nel periodo marzo-dicembre 2020, vedono il disagio evolvere presto in disturbo.
Questa ricerca trasversale sullo studentato (13-19 anni) spaventa le aspettative future. Il 30% degli alunni si sente “cambiato radicalmente” e quasi la metà degli studenti non è certo che le scuole torneranno ad essere il vivace circo che erano prima. Imparare da remoto è una sfida quotidiana per molti di loro, purtroppo alcuni mollano, non partecipano alle lezioni e si fanno bocciare nell’attesa e forse nella speranza di rifare l’anno in presenza.
Eppure non doveva andare per forza così. Una DAD eseguita nel modo corretto, con tutti i limiti del caso, avrebbe potuto rivelarsi comunque efficace dal punto di vista formativo e didattico. Non questa così come l’abbiamo conosciuta, approssimativa e incapace di evoluzioni, frutto di anni di tagli, sprechi e disinteresse sull’istruzione.
La forbice economica ha tagliato troppe volte i soldi per la scuola pubblica: si diminuivano posti di lavoro e si aprivano le porte a progetti e appalti fallimentari che divorano le risorse e i fondi. Tutto, tutto, tutto era rallentato da questioni che impedivano di aggiornare il sistema digitale integrato al sistema scolastico. Davvero nel 2021 ancora si discute se mettere o no la lavagna interattiva multimediale nelle classi?
“Qui manca la carta igienica nei bagni, figuriamoci un computer in ogni aula”, ridevamo noncuranti dieci anni fa. Chi non mette piede in un liceo da parecchio tempo non sa che la situazione è rimasta pressoché invariata. Se andassimo oggi in un’aula potremmo ancora sederci su sedie di plastica rigida datate 1992 e tastare chewing-gum fossilizzati sotto i banchi, osservare le crepe nei muri di prefabbricato e constatare che i termosifoni sono appena appena tiepidi anche a gennaio. Se dovessimo poi andare a studiare lo sviluppo tecnologico dei licei italiani apprenderemmo che nel 2021 molte scuole hanno davvero computer obsoleti, vecchi e malfunzionanti, tenuti insieme dal nastro adesivo e da una connessione che funziona a intervalli. Oggi ci aspetteremmo scuole e istituti come centri nevralgici di tecnici e specialisti fondamentali per il tramite tra il mondo didattico e quello iperconnesso in cui viviamo. La realtà è ben diversa. L’istruzione, guardata per decadi come relitto nel mare dei finanziamenti statali non ha avuto neanche una chance di rimanere al passo con le novità tecno-didattiche degli ultimi anni ed era inevitabile che arrivasse del tutto impreparata alla DAD.
Forse nessuno poteva preparare famiglie, studenti e insegnanti a un test così pesante. Anche con problemi e disfunzioni, la scuola rimane lo spazio per eccellenza per la crescita psicologica e, sebbene l’apprendimento in remoto collabori a costruire senso di indipendenza e spirito critico, non è un surrogato dell’aula scolastica. L’aula ha una funzione fondamentale per strutturare le competenze, analizzare la realtà e crescere attraverso dinamiche inclusive.
Siamo indotti a credere che la scuola sia un contenitore di informazioni e nozioni, ma non è così. Al di là di tutte le date, poesie e regole matematiche che abbiamo inevitabilmente dimenticato, la scuola ci ha fornito di capacità del tutto estranee alle materie scolastiche. Flessibilità, maturità, contezza delle nostre idee e progetti. Capacità di fronteggiare le situazioni della vita, possibilità di relazionarsi, di costruire la nostra identità.
È proprio per via del nostro percorso scolastico che oggi capiamo l’angoscia di chi è uno studente a distanza da quasi un anno.