Da quest’anno fanno tutti trap
“Io non canto con l’autotune / Sei una merda in live, bravo su Youtube / A me mi fanno Oh, a te ti fanno Buu / Dicono sia morto il rap / Infatti da quest’anno fanno tutti trap”. Musica e parole di Salmo, dal brano “La festa è finita” contenuto nel suo “Hellvisback”, uscito ad inizio Febbraio 2016. Un’iperbole chiaramente provocatoria del rapper sardo, che sottace però una verità di fondo: non siamo ancora pieni di interpreti trap, ma il fenomeno si sta diffondendo anche in Italia e, sebbene sia ancora alla ricerca di una propria identità, è già riconoscibile e soggetto a critiche. La trap, infatti, porta nel rap del nostro paese i suoi classici stilemi stilistici, in primis il quasi totale utilizzo dell’autotune, un software di manipolazione del comparto audio che crea effetti e distorsioni, ma anche correzioni sostanziali su voce e imperfezioni, da sempre visto come un espediente per celare l’incapacità di impugnare il microfono al di fuori dello studio. Un filone a fortissima impronta adolescenziale/giovanile, con la quale dovremo fare i conti nell’immediato futuro come branca a se stante del rap italiano.
Sfera Ebbasta nel video “Blunt & Sprite” diretto da Alessandro Murdaca
Dirty south
Le prime apparizioni del genere sulla scena musicale si fanno risalire addirittura ai primi anni ’90. Il termine “trap” è stato coniato ad Atlanta, in Georgia, per intendere un luogo di spaccio di droghe e, in senso lato, della difficoltà di uscirne per chi veniva da quei posti. Insomma, la trap era uno stile di vita vero e proprio, che rientrava man mano nelle liriche di rapper come OutKast, Goodie Mob, i Three Six Mafia e Master P, per citarne i più noti. L’album “Pocket Full of Stones” degli UGK, un duo texano formato da Bun B e dal compianto Pimp C, uscì nel 1992 e viene ritenuto il primo full lenght di trap music in assoluto. Da lì in poi diverrà un genere più o meno riconoscibile, nonostante venisse inserito nel più largo filone del southern hip hop, che si profilava come valida alternativa alla west coast e la east coast, fino ad allora e per molto altro tempo dominanti nel rap game americano.
Musicalmente, la trap ha un impianto piuttosto incisivo e rispetto alle strutture rap canoniche prevede un’accelerazione sostanziale dei bpm, attestandosi sulle velocità sincopate della dubstep, dalla quale eredita l’arrangiamento delle batterie; del dub, invece, riecheggiano le bassline e l’ossessiva ripetitività dei brani, che causano un effetto altamente straniante negli ascoltatori. Nonostante una discografia più o meno ricca, non è mai comparso un producer così influente come Lex Luger, un giovanotto classe 1991 di Atlanta, che dal 2010 in poi ha sfornato hit per artisti come Rick Ross, Waka Flocka Flame, Wiz Khalifa, ma anche i più classici Snoop Dogg e Kanye West. Attorno a lui si è consolidata una scena capace di avere una profonda eco anche in Europa, principalmente in Francia.
Mainstream francese
I cugini d’oltralpe vantano infatti una scena radicata e ben nota anche al mainstream: i video dei brani trap più conosciuti contano mediamente 20 milioni di views e hanno ormai imposto la tendenza come movimento più seguito del momento. Per fare qualche nome, c’è SCH, uno che sembrerebbe più un tronista che un rapper, che col suo “Gomorra”, girato a Scampia, raggiunge 15 milioni di click; sempre nella periferia napoletana è stato registrato “Le mond ou rien”, il video del duo PNL, con quasi 30 milioni di view. Questi, assieme a Alonzo, Lacrim e Booba rappresentano la scuola trap à la francese, giunta fino alle prime posizioni di classifica e capace di rigenerare un genere stanco: è in particolare a questa scena che si ispira il filone trap italiano.
Il «Ouais, ouais, oauis, ouais» dei PNL è ripreso da molti trap rapper italiani
Trap italiana
In riferimento alla scena italiana, il precursore assoluto è stato Jesto, che dai tempi di “Nuovo Guè” (2013) ha impresso una svolta decisiva al suo rap, anticipando una tendenza che di lì a poco sarebbe esplosa. A luglio 2014, uscì infatti il video di “Cioccolata”, un brano che sarebbe diventato una clamorosa hit a firma Maruego. Il tormentone fece puntare l’attenzione sul rapper che poi firmerà per l’etichetta Carosello e su una serie di giovani mc, più o meno venuti dal nulla, che da allora in poi cominciarono a sfornare mixtape e progetti veloci orientati proprio alla trap francese. Tra di essi spiccano Sfera Ebbasta e Charlie Charles, scritturati in seguito da Marracash nella sua Roccia Music col loro disco “XDVR”, probabilmente il progetto trap più convincente finora. Tra i colleghi troviamo Ghali, dopo il disastroso esordio in major con i Troupe d’Elite, i genovesi IZI (forse il più talentuoso del blocco) e Tedua, il team romano Dark Polo Gang, nonché i napoletani Enzo Dong e Coco, anche lui in Roccia Music.
Tra i commenti di Youtube, fan si divertono a trovare i numerosi messaggi subliminali di Alessandro Murdaca
L’iconografia è già riconoscibile: i video sono girati nei quartieri difficili, i rapper si muovono a scatti e fumano blunt, indossano maglie da calcio oppure polo Ralph Lauren con pantaloni skinny. Inoltre si fa ampio richiamo alla purple drank, il mix di codeina e Sprite che dà vita alla famosa sostanza viola che colora gran parte delle clip di Alessandro Murdaca, giovane filmaker capace di trasportare magnificamente in frame il sound ossessivo e compulsivo della trap. Finora il genere si è fondato sul talento assoluto del producer Charlie Charles e non ha ancora trovato particolare autonomia, che lo renda maggiormente credibile e riconoscibile: l’impressione è che il rap classico continuerà a vivere, poiché ben radicato e forte, ma dovrà fare i conti con una tendenza che muove ora i suoi primi passi, che potrà solo diffondersi.
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Tratto dal numero 63 di Dolce Vita Magazine